XXXII Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei

 di Gianpaolo Anderlini
 
E’ significativo che la “XXXII Giornata per l’approfondimento e lo sviluppo del dialogo tra cattolici ed ebrei” tenutasi  il 17 gennaio 202 sia dedicata alla Megillat Qohelet, al rotolo di Qohelet, o all’Ecclesiaste, per usare il termine proprio della Bibbia in lingua greca e latina. E’ significativo perché le parole di questo uomo che “oltre che essere sapiente insegnò al popolo la conoscenza” (Qoh 12,9), sono proposte a noi oggi in un tempo di grande difficoltà che sembra, nel suo perdurare, mettere in discussione tutto ciò su cui stavano saldi i nostri piedi, nel rapporto sia con gli altri uomini ed il mondo, sia con Dio; in un tempo in cui non sappiamo trovare risposte alle domande che ci assillano e tutto, come dice Qohelet, sembrano un vano affaticarsi sotto il sole.
Siamo sull’orlo dell’abisso e Qohelet è il nostro viatico o un’ancora di salvezza a cui aggrapparci, tutti: donne e uomini, malati e sani, credenti e non credenti.
Di fronte a questo libro, difficile da comprendere nella sua complessità, nelle contraddizioni che lo animano e nell’apparente girare a vuoto delle parole che sembrano rincorrersi su sponde opposte, si sono trovate spesso impotenti le generazioni dei figli dell’uomo, da quando il libro è entrato nel canone della Bibbia ebraica (e, di conseguenza, in quella cristiana) fino ai nostri giorni. Per questo, quando ci si avvicina a Qohelet, si è fortemente condizionati dalla storia dell’interpretazione del libro e dalla modalità di lettura che, rispettivamente la tradizione ebraica e quella cristiana, hanno proposto e imposto.
La precomprensione ebraica passa attraverso l’interpretazione del Midrash e del Targum che fanno di Qohelet insieme un saggio e un pio che indica all’uomo qual è la via da seguire: affaticarsi nello studio della Torà.4
La traduzione in lingua aramaica di Qoh 1,3, ci indica chiaramente qual è la chiave di lettura che il pio ebreo deve seguire nelle leggere le parole di Qohelet:
“Che cosa rimane all’uomo dopo la sua morte di tutti gli sforzi che egli ha compiuto sotto il sole in questo mondo, a meno che egli non si sia dedicato allo studio della Torà, che gli consentirà di ricevere una piena retribuzione nel mondo a venire davanti al Maestro del mondo”. (Targum Qoh 1,3)
La precomprensione cristiana, invece, si è fondata per lungo tempo sulla lettura che ne fa Tommaso da Kempen nel De imitatione Christi: Qohelet, sulla scorta della traduzione di Girolamo, Vanitas vanitatum et omnia vanitas, diviene il portabandiera della vanità delle cose del mondo che in quanto tali devono essere disprezzate:
Vanitas vanitatum et omnia vanitas præter amare Deum et illi soli servire. Ista est summa sapientia per contemptum mundi tendere ad regna cælestia.
Vanità delle vanità e tutto è vanità eccetto l’amare Dio e servire lui solo. Questa è la somma sapienza: tendere al regno celeste tramite il disprezzo del mondo”. (De imitazione Christi, I, 3)
Se questo non è Qohelet, o forse queste letture sono solo volti tra i mille volti di Qohelet, non sono Qohelet nemmeno le letture che noi moderni imponiamo alle sue parole, anche se è vero che ogni generazione tende a leggerle con le domande e con i dubbi che le sono propri. Possiamo dire che esiste anche una precomprensione contemporanea che tende a fare di Qohelet un antesignano dei nostri dubbi esistenziali (e, perché no, teologici) o il nostro compagno nella vana e inutile ricerca del senso di una vita ormai orfana di Dio sotto il sole.
Allora, tra una lettura conservatrice che ne fa un asceta, un lettura peggiorativa che lo vede senza Dio e un migliorativa che riconosce in lui una spinta irrinunciabile alla ricerca dell’eterno, qualunque cosa sia, chi è Qohelet?
Qohelet è forse un pessimista ateo o è colui che cerca e trova Dio per altre vie?
E’ uno scettico deluso e disperato o uno scettico fedele?
E’ forse il filosofo dell’aurea mediocritas o il negatore del senso dell’etica e della giustizia?
E’ il predicatore della gioia o il negatore di ogni possibile felicità?
E’ l’ultima parola possibile della Bibbia o è parola che si apre ad altro e ci interroga oltre?
E’ la posizione della logica dei doppi pensieri o l’impossibilità di trovare un punto di equilibrio nelle contraddizioni della vita?
E’ una porta che si apre per tutti anche per quelli che non vogliono entrare o è la constatazione che entra solo chi non esce dalla tradizione in cui è nato?
Forse, per noi oggi figli del nostro tempo e di una condizione umana sempre più fragile, potrebbero bastare per leggere Qohelet le parole di Paolo De Benedetti che insistono sulla laicità delle vie percorse da Qohelet:
“Qohelet è un intellettuale che pensa “laicamente” in maniera singolarmente moderna e in polemica, ora tacita ora esplicita, contro il ben pensare religioso. Il suo punto d’appoggio religioso è la certezza che Dio c’è e che agisce: ma agisce in modo incomprensibile […] E’ di grande importanza che Qohelet sia stato incluso nel canone biblico: ciò significa che una religiosità così laica, conflittuale, critica, negatrice di tutta la tradizione, è legittimata addirittura come “parola di Dio”. Non dobbiamo vedere in questo qualcosa di contraddittorio, quanto piuttosto un’implicita ammonizione a coloro che si adagiano soddisfatti nel pensare religioso e che considerano il pensiero laico un affronto fatto a Dio”.
 

Se vuoi scaricare il testo completo in PDF dell’intervento