Numeri e numerologia nella Bibbia ebraica

“Egli conta il numero delle stelle tutte loro chiama per nome” (Sal 147,4)

Numeri e numerologia nella Bibbia ebraica

di Gianpaolo Anderlini

In principio era il numero

            I numeri e la numerologia, vale a dire il valore simbolico dei numeri, sono due tratti fondamentali della Bibbia ebraica che hanno, nel tempo, favorito sviluppi interpretativi specifici elaborati dalla tradizione ebraica e, con modalità diverse, anche dalla tradizione cristiana.

            È cosa risaputa che alcuni numeri nella Bibbia abbiano un valore simbolico specifico: uno, due, tre, sette, otto, dieci, tredici, quaranta, settanta ed altri ancora.

            È altrettanto cosa nota che quando nella Bibbia, sia in quella ebraica sia in quella cristiana, si usano alcune espressioni numeriche quello che si intende non è il calcolo specifico ma il valore che tale struttura numerica aveva assunto nel contesto semitico in cui era nata. Si pensi, ad esempio, alle parole di Gesù:

“Allora Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette.»” (Mt 18, 21-22)

         È di per sé evidente che, come Pietro non intendeva parlare di sette successivi perdoni, così Gesù non pensava di certo ad un perdono fino a quattrocentonovanta volte. Intendeva dire che, nella prospettiva che egli inaugura, il perdono non ha limite alcuno, tende all’infinito (per usare una definizione matematica).

            Diciamolo con le parole di Alberto Mello:

“[…] il perdono che si deve agli altri è illimitato. “Settanta volte sette” potrebbe anche tradursi “settantasette volte”, ma non è una questione aritmetica (settantasette o quattrocentonovanta), è il rovesciamento della logica vendicativa di Lamech, che è la logica del risentimento umano: “Se Caino è vendicato sette volte, Lamech lo è settantasette volte” (Gen 4,24).”[1]      

            Il “settanta volte sette” di Gesù richiama, secondo le parole di Mello, il “settantasette volte” di Lamech.

            E’ significativo che Il primo manifestarsi dell’agire e del parlare dell’uomo, fuori dal Gan Eden, in un contesto di vita che non si richiama a Dio, abbia a che fare con i numeri ed il loro valore simbolico. Lamech, con parole tracotanti dall’andamento ritmico-poetico, afferma:

“Adà e Tsillà, ascoltate la mia voce,

mogli di Lamech, porgete orecchio al mio detto:

un uomo io ho ucciso per una mia scalfittura

e un ragazzo per un mio livido.

Sette volte sarà vendicato Caino,

e Lamech settantasette[2]!” (Gen 4,23-24)

            Detto in altro modo: fin dall’inizio sembra che l’uomo per esprimere il suo pensiero e la sua interiorità non possa fare a meno della poesia e dei numeri.

            Ma c’è ancora di più.

            Proviamo ad andare a ritroso e giungiamo al primo capitolo di Genesi/Bereshìt in cui è narrata la creazione del mondo. Nel creare il mondo Dio fa uso in successione di sette giorni (la prima settimana del mondo; sei giorni più uno), e lo fa numerando i singoli giorni in successione.

            Per il primo giorno viene utilizzato il numerale cardinale, per i restanti sei i numerali ordinali: giorno uno (Gen 1, 5) ad indicare l’unità ancora indistinta; secondo giorno (Gen 1,8), ad esprimere la rottura dell’unità[3]; terzo giorno (Gen 1,13) e così via fino al sesto giorno e, infine, al settimo giorno, lo Shabbàt, in cui Dio cessa dall’operare.        

            Una riflessione.

            Di norma, le traduzioni moderne traducono Genesi/Bereshìt 1,5 con il numerale ordinale “giorno primo” o “primo giorno”, mentre le traduzioni antiche (LXX e Vulgata) hanno mantenuto l’aderenza al testo ebraico conservando il numerale cardinale (LXX: ἡμέρα μία; Vulgata: dies unus ).

            È di per sé evidente che “giorno primo” e “giorno uno” non sono equivalenti anzi vanno in direzioni diverse. Se nel testo ebraico è scritto “giorno uno (echàd)” e non “giorno primo (rishòn)” ci deve essere un motivo e quanto è scritto lo è per darci un insegnamento.

            Uno è il numero proprio di Dio, del Dio d’Israele: il Dio Uno e non il Dio unico, come spesso si intende; il Dio dell’unità del tutto, il Dio che tutto ricapitola in sé.

            È detto, infatti: “Ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è Uno (echàd)” (Dt 6, 4); e ancora: “E sarà il Signore re su tutta la terra, in quel giorno il Signore sarà Uno (echàd) e il suo nome Uno (echàd)” (Zc 14,9).

            Ecco, allora, che, se volessimo riprendere l’indicazione numerica di Genesi/Bereshìt 1,5, potremmo tradurre in questo modo: “giorno dell’Uno”, ed avviarci, così, a comprendere più in profondità il testo biblico, i suoi richiami e le sue tessiture.

            Uno non è né primo né unico.

            Se c’è, all’inizio degli inizi, il “giorno uno” o il “giorno dell’Uno” e poi il “giorno secondo” vuol dire che a partire da questo secondo giorno si rompe l’unità dell’Uno, sia crea la dualità (Dio/mondo creato; ciò che è uno e ciò che non è più uno; maschio e femmina) e la dualità si apre alla pluralità; l’universo si fa pluriverso e questa è la cifra delle cose in questo mondo fino al giorno in cui tutto tornerà nell’Uno ad essere uno, definitivamente e per sempre.

            I numeri, quindi, nel contesto biblico sono una emanazione dell’Uno originario, nel tempo della molteplicità, per ritornare a quell’Uno che ci attende in un tempo altro e in un altrove.

            Se senza numeri non c’è creazione, senza numeri non c’è nemmeno vita, non c’è storia, non c’è rapporto tra uomo e Dio e tra Dio e uomo, non c’è attesa e non c’è redenzione.

            Se leggiamo le storie dei Patriarchi e le genealogie riportate in Genesi/Bereshìt scopriamo che tutto gira attorno agli inni vissuti e ad anni particolari della vita dei singoli Patriarchi, e gli anni sono espressi in numeri.

            Seguiamo, come esempio, la storia di Abramo, limitandoci ai soli dati numerici relativi alla sua vita e a quella di Sara, sua moglie:

– “Abram aveva settantacinque anni quando lasciò Carran” (Gen 12,4)

– “al termine di dieci anni da quando Abram abitava nella terra di Canaan” (Gen 16,1)

– “Abram aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì Ismaele” (Gen 16,14)

– “Quando Abram ebbe novantanove anni, il Signore gli apparve e gli disse” (Gen 17,1)

– «A uno di cento anni può nascere un figlio? E Sara all’età di novant’anni potrà partorire?» (Gen 17,17)

– “Abramo aveva novantanove anni, quando si fece circoncidere la carne del prepuzio. Ismaele, suo figlio, aveva tredici anni quando gli fu circoncisa la carne del prepuzio” (Gen 17, 24-25)

– “Abramo circoncise suo figlio Isacco quando questi ebbe otto giorni, come Dio gli aveva comandato. Abramo aveva cento anni quando gli nacque il figlio Isacco. (Gen 21, 4-5)

– “Gli anni della vita di Sara furono centoventisette” (Gen 23,1)

– “L’intera durata della vita di Abramo fu di centosettantacinque anni” (Gen 25,7).

            L’analisi dei versetti citati permette di fare alcune considerazioni: due di carattere tecnico e due legate alla storia e alla vita della comunità dei figli d’Israele.

            La prima considerazione è di carattere generale e vale come regola: nella Bibbia ebraica i numeri sono sempre riportati in lettere per esteso e mai in cifre o in notazione numerica. Questo permette, al di là dei problemi di trasmissione dei testi e della loro interpretazione, di non avere dubbi sui numeri riportati.

            La seconda considerazione riguarda il tessuto narrativo dei testi che, come nel caso della storia di Abramo, segue un preciso ordine cronologico senza errori palesi nella successione temporale degli eventi. Va poi aggiunto che se si considerano i numeri legati agli anni della vita di Abramo non si individuano, a meno di complesse analisi numerologiche, valori simbolici dei numeri utilizzati.

            La terza considerazione, invece, ha a che fare con il valore prescrittivo del tempo della circoncisione del figlio maschio che deve avvenire nell’ottavo giorno dalla nascita come ordinato dal Signore (Gen 17,12).

            La quarta ed ultima ci insegna che il figlio maschio, come è avvenuto nel caso d’Ismaele, entra a pieno diritto nella comunità all’età di tredici anni.

            Ma il tema dei numeri nella Bibbia ebraica non si limita a quanto finora esposto. C’è un libro, il quarto nella Torà o Pentateuco, i Numeri[4] secondo il titolo che ha prevalso nella tradizione cristiana, che ha a che fare con il computo numerico dei figli d’Israele che uscirono dall’Egitto e vissero (si presti attenzione anche a questo numero) quarant’anni nel deserto.

            È detto nei primi versetti del libro:

1Il Signore parlò a Mosé, nel deserto del Sinài, nella tenda del convegno, il primo giorno del secondo mese, il secondo anno dalla loro uscita dalla terra d’Egitto, e disse: 2«Fate il censimento di tutta la comunità dei figli d’Israele, secondo le loro famiglie, secondo i loro casati paterni, secondo il computo (mispar) dei nomi di tutti i maschi, testa per testa, 3dai vent’anni in su, quanti in Israele possono andare in guerra; tu e Aronne li registrerete (tifqedù, verbo paqàd), schiera per schiera.” (Num 1,1-3)

            Segue l’elenco degli uomini censiti tribù per tribù:

Reuben

46.500

Simeon

59.300

Gad

45.650

Giuda

74.600

Issachar

54.400

Zebulon

57.400

Efraim

40.500

Manasse

32.200

Beniamino

35.400

Dan

62.700

Asher

41.500

Naftali

53.400

603.550

            I numeri singoli ed il totale, al di là del fatto che i censiti sono solo i maschi di più di vent’anni, è esorbitante se si considera che questa strabordante comunità itinerante ha dovuto vivere per quarant’anni nel deserto, o meglio nella steppa, e che un tale contingente armato avrebbe sconfitto direttamente non solo i cananei ma anche il potente Egitto. Va, inoltre, aggiunto che dal computo del censimento è esclusa la tribù di Levi, i cui maschi adulti, in quanto sacerdoti e leviti, erano esclusi dal servizio militare e dalla guerra[5].

            Dato che è impossibile individuare un valore simbolico per i numeri relativi alle singole tribù ed al totale, si deve ritenere che tali numeri seguano lo schema proprio delle narrazioni del Vicino Oriente Antico che, per celebrare le imprese vittoriose dei re, gonfiano oltre misura i numeri giungendo a cifre iperboliche e, per questo, non credibili.

            Un esempio evidente tratto dalla Bibbia è l’epinicio cantato in onore di David: “Ha ucciso Saul i suoi mille e David i suoi diecimila” (1Sam 21,12). È evidente che pur essendo Saul e, soprattutto, David grandi eroi in guerra non possono in alcun modo avere ucciso quel numero esorbitante di nemici. Se così, infatti, fosse stato, le città filistee sarebbero divenute spopolate.

            Per quanto riguarda l’analisi di questi numeri, in particolare quelli riportati nella tabella, nessuna delle proposte interpretative dà risultati soddisfacenti o in linea con il testo conservato; di conseguenza, è meglio mantenere le indicazioni numeriche riportate nei testi considerandole come una elaborazione propria della cultura che quei testi ha prodotto.[6]

            L’analisi dei dati della tabella, comunque, permette di comprendere quale fosse la consistenza delle singole tribù nella prima fase della permanenza nel deserto e quello che emerge è che la tribù di Giuda era la più numerosa.

            Sarebbe interessante confrontare i dati con quelli del secondo censimento riportato in Numeri/Bamidbar 26, prima dell’ingresso nella terra promessa, per vedere come sono mutati i rapporti numerici; la tribù di Giuda, comunque, rimane sempre la più numerosa.

  1. Contare/raccontare

            Facciamo ora un passo avanti e analizziamo più da vicino le caratteristiche dei numeri nella Bibbia ebraica.

            Partiamo da una semplice analisi lessicale.

            Nell’ebraico biblico i verbi utilizzati per indicare il processo relativo al contare sono due.

            Il primo e il più importante è il verbo safàr, “contare, enumerare; raccontare”, usato 107 volte.
            È interessante osservare che il verbo ha, in una sua forma di coniugazione (safàr), il significato di “contare” e, in un’altra (sippèr), di “raccontare”. Non è questo un fatto strano in quanto il raccontare è, in primo luogo, un enumerare i fatti accaduti. Se, poi, si pensa alla lingua italiana, contare e rac-contare vengono dalla medesima radice.

            Dalla radice s-p-r derivano due parole importanti:

mispàr, “numero, conto” (134x)

sèfer, “documento, libro” (187x).

            Il secondo verbo, manà, “enumerare, calcolare, censire; assegnare”, è meno usato (28x).

            Il verbo compare nel versetto che abbiamo usato come titolo: “egli conta (monè) il numero (mispàr) delle stelle” (Sal 147,4), e in questo contare sta il prendere le stelle ad una ad una per assegnare, come prosegue il versetto, a ciascuna il suo nome.

            In alcuni libri della Bibbia ebraica, in particolare in Numeri/Bamidbar, è usato un altro verbo: paqàd, “passare in rassegna, censire, registrare, arruolare”. Il verbo lo abbiamo già incontrato nel passo sopra citato (Num 1,3). Dall’uso che ne viene fatto se ne può dedurre che è il verbo specifico per indicare l’azione del censire anche con il valore specifico di arruolare.

            Per quanto riguarda, invece, il misurare il verbo specifico è madàd, usato 52 volte. Dalla medesima radice (m-d-d) deriva il sostantivo middà, “misura, dimensione”, usato 55 volte.

            Come anticipato sopra, i numeri nella Bibbia ebraica sono sempre riportati in forma letterale e mai in cifre o altre modalità di segnatura numerica. Questa è una specificità dei testi biblici, in quanto nei materiali scritti provenienti dalle diverse civiltà del Vicino Oriente Antico i numeri erano di preferenza indicati con diversi sistemi di numerazione, sia nella scrittura cuneiforme, sia in quella geroglifica sia in quelle alfabetiche. Lo stesso avviene anche nei testi epigrafici alfabetici in lingua ebraica provenienti dalla terra d’Israele.

            In un periodo successivo alla stesura dei testi biblici, verrà introdotto un sistema di numerazione che fa uso delle lettere dell’alfabeto ebraico, alle quali vengono attribuiti, secondo la successione canonica dei grafemi, specifici valori numerici; ad esempio: alef = 1; bet = 2; ghimel = 3; […]; yod = 10; […]; qof = 100.

            L’esegesi rabbinica (midrash, in particolare) e la qabbalà daranno un peso particolare al valore numerico delle lettere dell’alfabeto e analizzeranno le parole secondo la somma del valore numerico delle lettere che le compongono (ghematria).

            Facciamo un esempio utilizzando il Nome divino impronunciabile, il Tetragramma sacro formato da quattro lettere: yod-he-waw-he (YHWH)[7]:

                        yod      =          10

                        he        =            5

                        waw    =            6

                        he        =            5

                        Totale =          26

            Per dare un’idea di come può essere usato questo metodo esegetico, riporto un detto della tradizione rabbinica: “quando entra il vino (yàyin) esce il mistero (sod)” (bSanhedrin 38a). La parola vino, in ebraico è composta da tre lettere: yod-yod-nun, che hanno rispettivamente il valore numerico di 10+10+50 per un totale di 70. Allo stesso modo la parola mistero in ebraico è formata da tre lettre: samek-waw-dalet, che hanno rispettivamente il valore numerico di 60+6+4 per un totale di 70.

            Cosa se ne può dedurre?

            Parole che hanno lo stesso valore numerico si richiamano e sono fra di loro sostituibili; questo crea una complessità di rimandi e di legami che amplificano il testo e che fanno esplodere le parole.

            Per quanto riguarda il rapporto vino/mistero si può insistere sul valore simbolico del numero settanta e dare al passo del Talmud un valore profondo. Il detto rabbinico, infatti, non vuole significare che il vino sciolga la lingua e faccia uscire i segreti che l’uomo conserva nel cuore, ma che, come il vino/yàyin, ha valore di settanta, così la Scrittura mostra i suoi settanta volti e, come il mistero/sod ha valore di settanta, così si rivela quel senso della Scrittura che è simile a un vino speziato: il senso mistico. Senso profondo che fa uscire dal testo ciò che il testo contiene e che rivela solo a chi sa andare al di là di ciò che è detto e di ciò che scritto. Senso che odora di umano e di divino. Senso finito ed infinito. Senso che inebria e che stordisce come il vino. Senso che può portare ad una visione mistica di Dio o alla perdizione.

            Questa riflessione di obbliga a precisare quali siano gli usi dei numeri nella Bibbia ebraica. Stando ai testi e alla loro interpretazione, si può osservare che due sono gli usi prevalenti:

– l’uso convenzionale

– l’uso simbolico.

            A questi si può aggiungere l’uso retorico o letterario in specifiche strutture testuali basate su schemi numerici.

            L’uso mistico dei numeri, invece, non è presente in modo diretto nella Bibbia ebraica ma diviene elemento fondamentale con l’interpretazione che i qabbalisti faranno dei testi biblici.

2.1. L’uso convenzionale dei numeri

            I numerali, o nomi di numero, nell’ebraico biblico si distinguono, dal punto di vista morfologico, in quattro categorie di cui solo le prime due sono produttive:

1

cardinali

2

ordinali

3

moltiplicativi (poco usati)

4

frazionari (poco usati)

        L’uso sintattico permette, inoltre, di riconoscere particolari e specifici valori dei numerali ordinali e cardinali:

  • distributivo,
  • moltiplicativo,
  • frazionario.

            Per quanto riguarda il loro utilizzo specifico, possono essere usati in senso proprio e, con specifiche modalità, con valore approssimativo.

            Il sistema di numerazione è in base dieci.

            Nel testo biblico sono attestate solo regole aritmetiche semplici, ad esempio: le quattro operazioni.

            L’addizione è usata in alcuni testi biblici, ad esempio nella genealogia di Genesi/Bereshìt 5 che da Adamo giunge a Noè e nel censimento di Numeri/Bamidbar 1 e 26.

            In Numeri/Bamidbar 1,46 è detto: “Ed ecco tutti gli arruolati erano 603.550”. Come abbiamo visto sopra, il numero corrisponde alla somma dei censiti nelle singole tribù.

            Nel testo ebraico il numero, scritto per esteso, è espresso con la seguente modalità:

“sei cento mille e tre migliaia e cinque cento e cinquanta”

600.000+3.000+500+50.

            Il numero, a differenza di quanto avviene in italiano, è suddiviso in (almeno) quattro componenti: centinaia di migliaia[8]/migliaia/centinaia/decine unite dalla congiunzione “e” (in ebraico we-).

           Un esempio di sottrazione si trova in Genesi/Bereshìt 18,28:

27Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: 28forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque» (Gen 18,27-28).

                    Anche in questo caso il numerale 45, risultato della sottrazione 50-5, in ebraico è espresso dividendo le decine e le unità: “quaranta e cinque”[9].

            La moltiplicazione è usata in Levitico/Wayyiqrà 25,8:

“Conterai (wesafartà – verbo safàr) sette settimane di anni, cioè sette volte sette anni; queste sette settimane di anni faranno un periodo di quarantanove anni.”

            In questo caso il numero 49, risultato della moltiplicazione 7×7 è indicato nel seguente modo: “nove e quaranta”. Questo mostra che nella formulazione del numero a livello morfosintattico le decine possono precedere o seguire le unità.

            Un esempio più complesso di moltiplicazione si ha un Numeri/Bamidbar 3, 46-50:

46Come riscatto dei duecentosettantatré eccedenti rispetto ai leviti tra i primogeniti degli Israeliti, 47prenderai cinque sicli a testa; li prenderai conformi al siclo del santuario: venti ghera per un siclo. 48Darai il denaro ad Aronne e ai suoi figli come riscatto di quelli tra loro eccedenti». 49Mosé prese il denaro del riscatto di quelli che oltrepassavano il numero dei primogeniti riscattati dai leviti. 50Da questi primogeniti degli Israeliti prese in denaro milletrecentosessantacinque sicli, conformi al siclo del santuario.”

            Il numero 273 è indicato con questa modalità: “tre e settanta e duecento”, e 1375 con quest’altra: “cinque e sessanta e tre cento e mille”. In entrambi i casi la notazione è retrograda a partire dalla unità.

            È di per sé evidente che 1365 è dato dalla seguente moltiplicazione: 273×5.

            Un caso complesso di divisione si ha in Numeri/Bamidbar 31 a proposito del bottino derivante dalla guerra contro i madianiti:

25Il Signore disse a Mosé: 26«Tu, con il sacerdote Eleàzaro e con i capi dei casati della comunità, fa’ il computo di tutta la preda che è stata fatta: della gente e del bestiame; 27dividi la preda a metà fra coloro che, usciti in guerra, hanno sostenuto la battaglia e tutta la comunità. 28Dalla parte spettante ai soldati che sono usciti in guerra preleverai un contributo per il Signore: cioè un individuo su cinquecento, tanto delle persone quanto del bestiame grosso, degli asini e del bestiame minuto. 29Lo prenderete sulla metà di loro spettanza e lo darai al sacerdote Eleàzaro, come offerta da presentare quale contributo in onore del Signore. 30Della metà che spetta agli Israeliti prenderai una quota di uno su cinquanta tanto delle persone quanto del bestiame grosso, degli asini e del bestiame minuto; la darai ai leviti, che hanno la custodia della Dimora del Signore».
31Mosé e il sacerdote Eleàzaro fecero come il Signore aveva ordinato a Mosé. 32Il bottino, cioè tutto ciò che rimaneva della preda fatta dagli uomini dell’esercito, consisteva in seicentosettantacinquemila capi di bestiame minuto, 33settantaduemila capi di bestiame grosso, 34sessantunmila asini 35e trentaduemila persone, ossia donne che non si erano unite con uomini. 36La metà, cioè la parte di quelli che erano usciti in guerra, fu di trecentotrentasettemilacinquecento capi di bestiame minuto, 37dei quali seicentosettantacinque per il tributo al Signore; 38trentaseimila capi di bestiame grosso, dei quali settantadue per il tributo al Signore; 39trentamilacinquecento asini, dei quali sessantuno per il tributo al Signore, 40e sedicimila persone, delle quali trentadue per il tributo al Signore. 41Mosé diede al sacerdote Eleàzaro il contributo dell’offerta prelevata per il Signore, come il Signore gli aveva ordinato. 42La metà che spettava agli Israeliti, dopo che Mosé ebbe fatto la spartizione per gli uomini dell’esercito, 43la metà spettante alla comunità fu di trecentotrentasettemilacinquecento capi di bestiame minuto, 44trentaseimila capi di bestiame grosso, 45trentamilacinquecento asini 46e sedicimila persone. 47Da questa metà che spettava agli Israeliti, Mosé prese la quota di uno su cinquanta degli uomini e degli animali e li diede ai leviti che hanno la custodia della Dimora del Signore, come il Signore aveva ordinato a Mosé.” (Num 31, 25-47)

            Prendiamo, come esempio, il calcolo riportato nel v. 38: 36.000 capi di bestiame grosso di cui 72 come contributo per il Signore.

            Il calcolo è il seguente:

36.000 : 500 = 72.         

            È possibile incontrare nel testo biblico anche calcoli complessi relativi al perimetro e al volume, anche se è vero più che di calcolo aritmetico si tratta di uso di specifiche unità di misura.

            Un caso interessante lo si ha in 1Re 7,23.26:

23Fece il Mare, un bacino di metallo fuso di dieci cubiti da un orlo all’altro, perfettamente rotondo; la sua altezza era di cinque cubiti e una corda di trenta cubiti lo poteva cingere intorno. […]

26Il suo spessore era di un palmo; il suo orlo, fatto come l’orlo di un calice, era a forma di giglio. La sua capacità era di duemila bat.”

            Se il diametro del bacino di metallo è di 10 cubiti e la circonferenza di 30 cubiti, ne deriverebbe che il pi greco che se è di 3, di conseguenza il calcolo non può essere corretto. Ma va aggiunto che come indicato nel v.26 lo spessore dell’orlo era di un palmo, di conseguenza il calcolo della circonferenza interna diverrebbe corretto.

            Quello che interessava era definire il volume del bacino, determinato in bat, cioè una unità di misura relativa ai liquidi.

            Per comprendere tali modalità di misura occorrerebbe un complesso discorso sulle unità di peso, di volume, di superficie, eccetera.

            Indico solamente che il cubito biblico equivale, secondo l’interpretazione più diffusa, a 44,45 cm e il palmo a 7,4 cm.

            La circonferenza, quindi, sarebbe la seguente: 44,45 x 30 = 1333,5 cm (13,335 mt).

            Per quanto riguarda il volume espresso con la quantità dei litri di liquido contenuti, la misura utilizzata è il bat equivalente a 36,36 litri:

2.000 x 36,36 = 72.720 litri.

            Dato che 1 litro equivale a 1 dm3, il bacino di bronzo poteva contenere 72,72 m3 d’acqua.

            E qui mi fermo perché la matematica non è il mio forte e perché non è così semplice fare calcoli utilizzando i dati del testo biblico.

            Lascio al lettore il compito di verificare il calcolo del volume del bacino di bronzo.

2.2. Il valore simbolico dei numeri

            I numeri nel testo biblico possono assumere un valore simbolico sulla base di due diverse modalità:

– valore derivante dalle modalità interpretative della struttura morfosintattica di un numero

– valore simbolico legato alle caratteristiche proprie del numero indipendentemente dalla sua struttura.

            Come esempio della prima modalità prendiamo l’indicazione della durata della vita di Abramo.

            In Genesi/Bereshìt 25, 7, secondo la traduzione corrente, è detto: “L’intera durata della vita di Abramo fu di centosettantacinque anni”. Per noi 175- centosettantacinque è un’unica parola e anche il numero, pur se composto da unità, decine e centinaia, ci appare nel suo insieme e non nelle parti che lo compongono.

            Il testo ebraico, come abbiamo visto in esempi riportati sopra, definisce con altre modalità il numero degli anni della vita di Abramo:

“E questi sono i giorni degli anni della vita di Avraham che visse: cento anni e settanta anni e cinque anni” (Gen 25,7).

            Non è detto: “cento e settanta e cinque anni” ma è detto: “cento anni e settanta anni e cinque anni” con una tripartizione che, al di là della modalità specifica della lingua ebraica di indicare i numeri, vuole insegnarci qualcosa di più profondo.

            Mi rifaccio al commento di Rashì:

Cento anni e settanta anni e cinque anni – All’età di cento era come se ne avesse settanta, e all’età di settanta come se ne avesse cinque, senza peccato”. (Rashì, ad locum)

            È lo stesso paradigma che ritroviamo in Genesi 23,1 per i “cento anni e venti anni e sette anni” della vita di Sara, e, al proposito, Rashì così precisa:

“Per questa ragione il termine anni è ripetuto ad ogni cifra, per insegnarti che ognuna delle cifre deve essere interpretata in se stessa”. (Rashi, ad locum)

            È un invito a dare voce ad ogni particolare del testo biblico e lasciare che ci dica: “Interpretami!”

            Per quanto riguarda il valore simbolico dei numeri in sé e per sé il discorso è più complesso.

            Per comprendere a fondo il valore simbolico dei numeri nella Bibbia ebraica e nella tradizione che la interpreta, riporto una canzone, che viene cantata al termine del Sèder pasquale, il cui testo enumera da uno a tredici i valori simbolici dei rispettivi numeri.

            Il titolo della canzone è Echad mi yodèa, “Chi sa che cosa è uno?”.

            Riporto il testo in forma semplificata, tralasciando ad ogni strofa la menzione retrograda del valore dei singoli numeri che costituisce l’elemento ludico e insieme mnemonico della canzone.[10]

“Chi sa che cosa è uno?

Io lo so: uno è il nostro Dio che è in cielo e in terra.

Chi sa che cosa è due?

Io lo so: due sono le tavole dell’Alleanza.

Chi sa che cosa è tre?

Io lo so: tre sono i Padri di Israele[11].

Chi sa che cosa è quattro?

Io lo so: quattro sono le Madri[12].

Chi sa che cosa è cinque?

Io lo so: cinque sono i libri della Torà[13].

Chi sa che cosa è sei?

Io lo so: sei sono gli ordini della Mishnà.

Chi sa che cosa è sette?

Io lo so: sette sono i giorni della settimana.

Chi sa che cosa è otto?

Io lo so: otto sono i giorni della milà/circoncisione.

Chi sa che cosa è nove?

Io lo so: nove sono i mesi della gravidanza.

Chi sa che cosa è dieci?

Io lo so: dieci sono i Comandamenti.

Chi sa che cosa è undici?

Io lo so: undici sono le stelle[14].

Chi sa che cosa è dodici?

Io lo so: dodici sono le tribù (d’Israele).

Chi sa che cosa è tredici?

Io lo so: tredici sono gli attributi di Dio[15].”

            Il canto, così come strutturato, ha un valore sia simbolico sia educativo in quanto vuole farci riflettere sui principi della fede ebraica attraverso gli elementi richiamati dai numeri. È evidente che un testo di questo tipo insiste più sul valore educativo che su quello simbolico e che per la maggior parte dei numeri non viene messo in rilievo il valore simbolico specifico che ha nel testo biblico; nonostante ciò, ci aiuta ad entrare nella mentalità di chi legge la Bibbia ebraica incarnandola all’interno di una tradizione che di quel testo si è nutrita e che di quel testo ha fatto la base per costruire, di generazione in generazione, la fedeltà a Dio.

            Considerato che è opinione diffusa che i numeri biblici del valore simbolico dei numeri, veniamo agli aspetti specifici di tale valore così come testimoniato nei testi biblici. Va precisato, ad onor del vero, che tale valore non è direttamente espresso nei testi biblici ma è legato al contesto culturale e spirituale in cui tali testi si sono formati, sono stati trasmessi e, di generazione in generazione, interpretati. Va, inoltre, sottolineato che la tradizione che legge ed interpreta il testo ebraico della Bibbia assegna ad ogni lettera dell’alfabeto un valore numerico, per cui, ad esempio, la lettera alef, prima lettera dell’alfabeto ebraico, e il numero 1 sono tra di loro strettamente correlati.

            Partiamo da una citazione tratta da un libro, attribuito a Salomone, trasmesso in greco e quindi presente nella Bibbia cristiana ma non in quella ebraica: “ma tu hai tutto disposto con misura, con calcolo/numero (ἀριθμῷ) e con peso” (Sap 11,20).

            In uno stupendo passo di Isaia è riportata l’opera di misura, alla stregua di un agrimensore, di Dio:

“Chi ha misurato (madàd) con il cavo della mano le acque del mare

e ha calibrato l’estensione dei cieli con il palmo?

Chi ha dimensionato[16] con un terzo (di efa) la polvere della terra,

ha pesato con la bilancia le montagne

e i colli con la bascula?” (Is 40,12)

            Se Dio ha disposto il mondo con un ordine misurabile e se tutto è secondo calcolo e misura, i numeri, che sono l’espressione di quell’ordine, assumono giocoforza un valore simbolico e, scavando in profondità, mistico.

            Il numero, che, senza ogni ombra di dubbio, assume valore simbolico nella Bibbia ebraica, è il sette. Senza nascondere che il numero ha un valore simbolico in tutta l’area del Vicino Oriente Antico, si può sostenere che l’idea che esprime nella Bibbia ebraica sia di completezza e di perfezione e, inoltre, di sacralità.

             Per la sacralità si pensi al settimo giorno (lo Shabbàt) che ha uno statuto diverso rispetto agli altri sei giorni della settimana; ai sette giorni del pane azzimo a Pèsach; ai sette giorni della festa di Sukkòt; al settimo anno o anno sabbatico; alle sette settimane di giorni (7×7), il tempo che separa Shavuòt/Pentecoste da Pèsach/Pasqua; alle sette settimane di anni e al Giubileo; ai sette bracci della menorà.

            Per il ciclo completo si faccia, invece, riferimento ai sette anni di servizio di Giacobbe; ai sette anni di abbondanza e ai sette di carestia; ai sette giorni di festa nuziale di Giacobbe e di Sansone; alle sette figlie di Ietro; ai sette figli di Iesse.

            Si pensi, poi, ad un testo che grande influenza ha avuto nello sviluppo della spiritualità monastica cristiana:

“Sette volte al giorno ti lodo

per i giudizi della tua giustizia” (Sal 119, 164).

            Non va dimenticato che questo versetto costituisce la base nella Regola di San Benedetto per stabilire le sette ore canoniche della preghiera quotidiana.

            Il testo va inteso in senso letterale o simbolico?

            San Benedetto, insistendo sul senso letterale, ha istituito le sette ore canoniche della preghiera. La tradizione ebraica, invece, ha interpretato diversamente applicando le sette lodi alle preghiere che precedono e seguono la recita, due volte al giorno, dello Shemà, “Ascolta”:

Sette volte al giorno – al mattino due volte prima della recita dello Shemà e una dopo, e alla sera due volte prima e due volte dopo.” (Rashì, ad locum)

            Per quanto riguarda gli altri numeri, cosa si può desumere dai testi biblici?

            Non è facile, stando alla lettera dei testi biblici, individuare un valore simbolico per altri numeri, ma, alla luce della tradizione ebraica che ha letto e interpretato i testi biblici, si possono ipotizzare, e sottolineo ipotizzare, per alcuni numeri i seguenti valori:

numero

Valore simbolico

1

unità indivisa

2

divisione, separazione, rottura dell’unità

3

Pienezza, completezza e perfezione di Dio (tre volte santo di Is 6,3; i tre uomini di Gen 18,2)

4

Mondo creato (i quattro angoli del mondo)

5

grazia, favore

6

incompletezza (7-1) – numero dell’uomo (creato il sesto giorno)

7

completezza e perfezione

8

nuovo inizio (7+1)

9

giudizio divino

10

ordine divino stabilito dalla Legge (Dieci comandamenti)

12

perfezione e completezza nell’organizzazione del tempo (12 mesi) e della comunità (12 tribù)

40

tempo della prova e della preparazione

70

completezza che tutto ingloba (settanta nazioni, settanta sensi della Torà)

            Un’attenta lettura del testo biblico lascia intendere che solo pochi numeri abbiano un evidente valore simbolico e che il loro utilizzo vada oltre il valore numerico, ma non bisogna non considerare che i testi biblici sono stati letti ed interpretati, generazione dopo generazione, e che, di conseguenza, al valore originario dei testi si è aggiunto tutto ciò che gli uomini a partire da quei testi hanno detto per dare un senso e una direzione alla propria vita ed alla propria fede.

            La tradizione ebraica sostiene che tale procedimento di lettura e di analisi faccia emergere i settanta sensi che la Scrittura in sé contiene già nell’atto della sua rivelazione al monte Sinài; la tradizione cristiana, con le parole di san Gregorio Magno, afferma, invece, che la Scrittura cresce con chi la legge[17]. Di conseguenza, i numeri si caricano di valori simbolici e mistici che, figli delle generazioni che hanno interpretato i testi, divengono parte integrante di quei testi.

            Detto in altre parole, la Bibbia continua a parlare a noi, qui ed ora, perché noi continuiamo a porre domande e ad interpretare, nel solco di una tradizione o secondo il percorso che di ognuno di noi fa un uomo libero e figlio di Dio.

2.3. Uso retorico dei numeri

            Chi ha dimestichezza con il testo biblico avrà di sicuro notato che in diversi passi della Bibbia ebraica i numeri vengono a fare parte di specifiche strutture retoriche e letterarie che sono proprie del contesto storico e culturale in cui i testi sono nati.

            Lo schema numerico più usato è quello che può essere indicato con la formula x/x+1, che può essere definita climatica o intensiva o progressiva. In questo contesto specifico i numeri non sono utilizzati con il loro valore specifico e nemmeno e on quello simbolico.

            L’esempio letterariamente più complesso lo si trova nei capitoli 1-2 del libro del profeta Amos, nei quali per otto volte è utilizzata la formula x/x+1 (“per tre… e per quattro) :

3Così dice il Signore:
«Per tre misfatti di Damasco
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché hanno trebbiato Gàlaad
con trebbie ferrate.
4Alla casa di Cazaèl manderò il fuoco
e divorerà i palazzi di Ben-Adàd;
5spezzerò il catenaccio di Damasco,
sterminerò chi siede sul trono di Bikat-Aven
e chi detiene lo scettro di Bet-Eden,
e il popolo di Aram sarà deportato in esilio a Kir»,
dice il Signore.
6Così dice il Signore:
«Per tre misfatti di Gaza
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché hanno deportato popolazioni intere
per consegnarle a Edom.
7Manderò il fuoco alle mura di Gaza
e divorerà i suoi palazzi,
8sterminerò chi siede sul trono di Asdod
e chi detiene lo scettro di Àscalon;
rivolgerò la mia mano contro Ekron
e così perirà il resto dei Filistei»,
dice il Signore.
9Così dice il Signore:
«Per tre misfatti di Tiro
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché hanno deportato popolazioni intere a Edom,
senza ricordare l’alleanza fraterna.
10Manderò il fuoco alle mura di Tiro
e divorerà i suoi palazzi».
11Così dice il Signore:
«Per tre misfatti di Edom
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché ha inseguito con la spada suo fratello
e ha soffocato la pietà verso di lui,
perché la sua ira ha sbranato senza fine
e ha conservato lo sdegno per sempre.
12Manderò il fuoco a Teman
e divorerà i palazzi di Bosra».
13Così dice il Signore:
«Per tre misfatti degli Ammoniti
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché hanno sventrato le donne incinte di Gàlaad
per allargare il loro confine.
14Darò fuoco alle mura di Rabbà
e divorerà i suoi palazzi,
tra il fragore di un giorno di battaglia,
fra il turbine di un giorno di tempesta.
15Il loro re andrà in esilio,
egli insieme ai suoi comandanti»,
dice il Signore.

2,1Così dice il Signore:
«Per tre misfatti di Moab
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché ha bruciato le ossa del re di Edom
per ridurle in calce.
2Manderò il fuoco a Moab
e divorerà i palazzi di Keriòt
e Moab morirà nel tumulto,
al grido di guerra, al suono del corno.
3Eliminerò dal suo seno chi governa,
ucciderò, insieme con lui, tutti i suoi prìncipi»,
dice il Signore.
4Così dice il Signore:
«Per tre misfatti di Giuda
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché hanno rifiutato la legge del Signore
e non ne hanno osservato i precetti,
si sono lasciati traviare dagli idoli
che i loro padri avevano seguito.
5Manderò il fuoco a Giuda
e divorerà i palazzi di Gerusalemme».
6Così dice il Signore:
«Per tre misfatti d’Israele
e per quattro non revocherò il mio decreto di condanna,
perché hanno venduto il giusto per denaro
e il povero per un paio di sandali,
7essi che calpestano come la polvere della terra la testa dei poveri
e fanno deviare il cammino dei miseri,
e padre e figlio vanno dalla stessa ragazza,
profanando così il mio santo nome.” (Am 1,3 – 2,7)

            Questo oracolo presenta una struttura letteraria complessa incentrata sulla ripetizione per ben otto volte dello schema: “Per tre misfatti (x) … e per quattro (x+1) non revocherò il mio decreto di condanna”. È evidente che non è il numero dei misfatti a spingere il Signore ad emettere il decreto di condanna; lo schema numerico, infatti, vuole attirare l’attenzione dell’uditore e del lettore sul fatto che la punizione divina è, comunque, inevitabile qualunque sia il numero delle colpe commesse. Lo schema numerico, poi, assume una forza particolare quando, come nel caso riportato, è utilizzato in un contesto poetico.

            Diverso è il caso di un passo come il seguente:

“Tre cose mi sono difficili,

e quattro che io non comprendo:

il sentiero dell’aquila nell’aria,

il sentiero del serpente sulla roccia,

il sentiero della nave in alto mare,

il sentiero di un uomo in una giovane.” (Pr 30,18-19)

            In questo detto sapienziale la successione x/x+1 punta sul valore numerico del secondo numero e vuole mettere in evidenza la difficoltà del comprendere le quattro situazioni riportate.

  1. Al di là del numero

            Come in ogni cultura, anche in quella che ha dato vita al testo biblico, il numero è un elemento fondamentale perché assieme alle unità di misura o alle modalità di misura e di calcolo permette di creare mappe mentali ed algoritmi che consentono di organizzare la visione del mondo e di leggerlo in modo matematico e, volendo, geometrico.

            L’uomo fa suo il mondo perché lo misura e perché lo calcola, e con la misura e il calcolo può fare e rifare le cose del mondo e progettare oltre le cose del mondo.

            Questa capacità se interiorizzata, gli permette di misurare e calcolare se stesso e, se è possibile dirlo, anche Dio.

            Tutto, allora, si fa numero e può essere detto a partire dai numeri e con i numeri.

            Ma così facendo l’uomo rischia di fermarsi al numero sei e di non giungere mai al numero sette perché gli manca quell’uno che gli consente di cambiare la propria vita e di prepararsi a fare il salto in un altrove al di là del numero.

            Se, infatti, noi restiamo sempre nell’orizzonte del sei dove tutto è fare e operare e non ci apriamo al vuoto del sette, a quel cessare dal fare come prevede il settimo giorno/Shabbàt, non potremo mai vivere nella prospettiva dell’attesa di quell’ottavo giorno in cui saremo redenti definitivamente perché disposti ad aprirci a Dio e a ritornare nell’uno, senza più divisione e separazione.

            Senza più numeri altri.

Riferimenti:

[1] A. Mello, Evangelo secondo Matteo. Commento midrashico e narrativo, Qiqajon, Magnano (Bi), 1995, p. 329.

[2] Lett.; “settanta e sette”.

[3] È interessante notare che solo per il secondo giorno nel testo biblico non è detto: “e vide Dio che era casa buona”.

[4] Secondo la tradizione ebraica il libro si chiama, dalla prima parola: Bamidbar, “Nel deserto”.

[5] Secondo il censimento riportato in Numeri/Bamidbar 3,39 i maschi della tribù di Levi, da un mese d’ età in su, erano 22.000.

[6] Per una analisi delle proposte interpretative rimando a John J.Davis, Biblical Numerology. A Basic Study of the Use of Numbers in the Bible, Baker, Grand Rapiods (Mi), 1968, pp. 55-78.

[7] Ricordo che nell’alfabeto ebraico non sono presenti le vocali.

[8] Il numero 600.000 è espresso con la giustapposizione asindetica di tre numeri: 6-100-100. Si ha una scomposizione progressiva: unità – centinaia – migliaia.

[9] Si può usare anche la seguente disposizione: “cinque e quaranta”.

[10] Per ascoltare il canto in ebraico con traduzione in inglese rimando a: https://www.youtube.com/watch?v=1XU-3IuzPEE

[11] Abramo, Isacco e Giacobbe.

[12] Sara, Rebecca, Rachele e Lia.

[13] E’ il Pentateuco.

[14] Sono le undici stelle che Giuseppe vide in sogno (Gen 37,9)

[15] I tredici attributi di Dio sono riportati in Esodo/Shemòt 34,6-7.

[16] Le traduzioni in genere usano il verbo “misurare” ma per fare comprendere che in ebraico non è usato lo stesso verbo della prima parte del versetto, preferisco tradurre con “dimensionare”.

[17][17] “(Scriptura Sacra) aliquo modo cum legentibus crescit” (Moralia in Iob, XX, I,1)