Fratelli non si nasce

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli
  1. Nella nota polemica coi farisei che amavano titoli e onori, Gesù rispondeva: «Ma voi non fatevi chiamare “rabbì’’, perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). L’affermazione è perentoria: non c’è solo una fraternità naturale, legata ai legami di sangue, ma ce n’è un altra, che presume interamente da questa, che è la fraternità cristiana. A questa illustrazione è dedicato questo numero di “germogli”.
  1. Partiamo da alcune pagine paradigmatiche delle Scritture Ebraiche: l’Antico Testamento. é un dato ormai acquisito che i primi capitoli del libro della Genesi (1-11), quello che apre il Pentateuco, non sono una cronaca di quello che è accaduto, ma descrivono ciò che nell’uomo/umanità è primordiale, cioé quello che è costitutivo dell’uomo in ogni tempo, latitudine e cultura.

Il primo brano sulla fraternità umana ha per protagonisti Caino e Abele:

«1 Adamo si unì a Eva sua moglie, la quale concepì e partorì Caino e disse: «Ho  acquistato un uomo dal Signore».  2 Poi partorì ancora suo fratello Abele. Ora  Abele era pastore di greggi e Caino lavoratore del suolo. 3 Dopo un certo tempo, Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; 4 anche  Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso. Il Signore gradì Abele e la sua offerta, 5 ma non gradì Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato e il suo volto era abbattuto. 6 Il Signore disse allora a Caino: “Perché sei irritato e perché è  abbattuto il tuo volto? 7 Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non  agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo”.    8 Caino disse al fratello Abele: “Andiamo in campagna!”. Mentre  erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise. 9 Allora  il Signore disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?”.  Egli rispose:  “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”» (Gen 4,1-9). 

Nella creazione dove tutto è “bello e buono”, dopo la caduta si è insinuato il male, la potenza e la paura della morte. Non solo i rapporti uomo-natura e uomo-Dio sono gravemente compromessi, ma sono ugualmente compromessi i rapporti dell’uomo con i suoi simili. In Caino, il primogenito e in Abele, il minore, sono a confronto le differenze: due differenti posizioni familiari e due attività lavorative. Perché il primo è agricoltore sedentario mentre il secondo è un pastore nomade. Sono di fronte, conseguentemente, due civiltà molto diverse. Anche il nome dei due fratelli fa pensare: Caino deriva dal verbo ebraico qanàh che vuol dire “acquistare”, “possedere”, ma anche “generare”, “creare”; Caino può significare anche “fabbro”, oppure “geloso”. Abele suona in ebraico hevèl e significa “alito”, “soffio”, “vapore”. Possono essere nomi dati a caso? Nei nomi c’è la loro storia. La diversità è percepita come motivo di paura.

  1. Il conflitto latente esplode quando i due fratelli fanno un’offerta compiendo un atto di culto: «Caino offrì frutti del suolo in sacrificio al Signore; anche  Abele offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso» (vv. 3s.). Attenzione! Il testo non dice che Abele offrì cose migliori di quelle di Caino, né vi sono apprezzamenti negativi sull’offerta del fratello maggiore. Semplicemente Dio mostra di gradire i doni di Abele – il minore -, pur non condannando Caino per ciò che gli offre. Non solo la diversità della forma di culto espresso da Abele irrita Caino, ma anche la preferenza che Dio ha per il fratello minore, lo indispone; quel fratello che non erediterà la benedizione che il padre riservava al primogenito. C’è nella Genesi, e non solo, tutta una linea teologica che sottolinea lo spostamento intenzionale dell’elezione di Dio dal figlio maggiore al minore.

Il “gradimento” per l’offerta di Abele irrita molto Caino; è una preferenza che suscita in lui un’“ira bruciante”. Ricorda il libro dei Proverbi che «l’invidia è carie nelle ossa» (14,30). A sottolineare il fatto che Dio non è per nulla alterato, sta il tono paterno con cui amabilmente consiglia Caino: «“Perché sei irritato e perché è  abbattuto il tuo volto? Se agisci bene, non dovrai forse tenerlo alto? Ma se non  agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, ma tu dòminalo”» (vv. 6s.). Sembra dire: “Finora hai agito bene, continua ad agire bene dominando il tuo istinto!”. Ma Caino si lascia trascinare dall’ira e uccide il fratello. La fratellanza naturale minacciata al suo nascere è spezzata: l’istinto a conservare i propri privilegi, avvertire l’elezione di Dio verso il fratello minore come un pericolo, l’orgoglio ferito si sono trasformati in violenza cieca.

  1. Questa conflittualità in famiglia emerge nel seguito del racconto genesiaco. La storia dei patriarchi ce ne offre numerosi esempi.

Prendiamo il caso di Lot, nipote di Abramo:

«5 Ma anche Lot, che  andava con Abram, aveva greggi e armenti e tende. 6 Il territorio non consentiva  che abitassero insieme, perché avevano beni troppo grandi e non potevano abitare  insieme. 7 Per questo sorse una lite tra i mandriani di Abram e i mandriani di Lot,  mentre i Cananei e i Perizziti abitavano allora nel paese. 8 Abram disse a Lot:  «Non  vi sia discordia tra me e te, tra i miei mandriani e i tuoi, perché noi siamo fratelli» (13,5-9). 

Di ritorno dall’Egitto, Abramo e Lot giungono nel territorio fra Betel ed Ai. Sono due clan molto numerosi e ricchi di bestiame, greggi, armenti e tende. La zona non consente che possano pascolare insieme e nessuno vuole favorire l’altro. Nascono liti al punto che Abramo cede, ma una separazione si rende necessaria. L’essere fratelli non favorisce facili soluzioni. 

Un altro caso è quello di Isacco e Ismaele. Ismaele è il figlio che Abramo ha avuto da Agar, la schiava personale della moglie Sara. Secondo il diritto mesopotamico una sposa sterile poteva dare a suo marito una schiava per moglie e riconoscere come suoi i figli nati da questa unione. Ismaele non è il figlio della promessa, ma una soluzione umana all’imbarazzante sterilità di Sara. Quando nascerà Isacco, il figlio tanto atteso, Sara si vendicherà delle offese ricevute da Agar allorché si trovò in cinta, facendo cacciare di casa lei e Ismaele:

«8 Il bambino crebbe e fu svezzato e Abramo fece un grande banchetto quando  Isacco fu svezzato. 9 Ma Sara vide che il figlio di Agar l’Egiziana, quello che essa  aveva partorito ad Abramo, scherzava con il figlio Isacco. 10 Disse allora ad Abramo: “Scaccia questa schiava e suo figlio, perché il figlio di questa schiava non  deve essere erede con mio figlio Isacco”.  11 La cosa dispiacque molto ad Abramo per riguardo a suo figlio. 12 Ma Dio disse ad Abramo: “Non ti dispiaccia questo, per  il fanciullo e la tua schiava: ascolta la parola di Sara in quanto ti dice, ascolta la sua  voce, perché attraverso Isacco da te prenderà nome una stirpe. 13 Ma io farò  diventare una grande nazione anche il figlio della schiava, perché è tua prole”» (Gen 21).

In questo caso, un figlio generalmente accettato nel clan, viene cacciato, estromesso. Le ragioni non sono naturalmente giuridiche. Il figlio maggiore è Ismaele e crescendo avrebbe fatto valere i suoi diritti su Isacco; Sara non vuole questa subalternità e ottiene da Abramo ciò che le preme. Anche in questo caso la fraternità non ha alcuna incidenza benefica. Si potrebbe continuare, ma cito soltanto altri due casi. Anche la moglie di Isacco era sterile. Quando concepirà, saranno due gemelli Esau e Giacobbe e saranno fratelli rivali già nel grembo materno (cf. 25,20-28). Come non ricordare poi la storia di Giuseppe, il figlio minore di Giacobbe e la rivalità dei suoi fratelli (cf. Gen 37-50). Sì, fratelli proprio non si nasce.

  1. Fino a questo momento la lettura dei testi biblici ci ha messo di fronte a una conflittualità insuperabile inscritta nei rapporti familiari e nei clan. Scorrendo la Scrittura si assiste all’espansione dell’idea di fraternità fino ad abbracciare tutte le tribù d’Israele. In Egitto i figli di Giacobbe si stanziano nella terra di Gosen e la comune origine come il legame con Abramo si stabilizza nelle generazioni successive. La schiavitù che i faraoni impongono ai figli di Israele (=Giacobbe), li trova fratelli, una fraternità collettiva, di popolo, ormai consolidata.

Lo si può notare all’inizio del libro dell’Esodo, quando Mosè, divenuto adulto presso la corte del faraone, fa visita ai campi di lavoro degli ebrei. Leggiamo: «In quei giorni, Mosè, cresciuto in età, si recò dai suoi fratelli e notò i lavori pesanti da cui erano oppressi» (2,11). I suoi fratelli non sono dei singoli, ma un popolo intero sottoposto ai lavori forzati. L’autore di questa pagina esprime indubbiamente una mentalità postesilica (sec. VI a.C.) a cui non è estranea l’idea di elezione.

Così il termine “fraternità” si affranca impercettibilmente dell’ambito familiare e comincia ad avere il senso di “appartenenza”. Lo possiamo constatare in un libro di redazione postesilica come il Levitico:

«13 Non opprimerai il tuo prossimo, né lo spoglierai di ciò che è suo; il salario del bracciante al tuo servizio non resti la notte presso di te fino al mattino dopo. 14 Non disprezzerai il sordo, né metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il Signore. 15 Non commetterete ingiustizia in giudizio; non tratterai con parzialità il povero, né userai preferenze verso il potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia.      16 Non andrai in giro a spargere calunnie fra il tuo popolo né coopererai alla morte del tuo prossimo. Io sono il Signore. 17 Non coverai nel tuo cuore odio contro il tuo fratello; rimprovera apertamente il tuo prossimo, così non ti caricherai d’un peccato per lui. 18 Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il tuo prossimo come te stesso. Io sono il Signore» (cap. 19).

Il termine “prossimo” è prevalente; ma anche i termini “bracciante”, “sordo”, “cieco”, “povero”, “potente”, riguardano i  “figli del tuo popolo”, sono “fratelli”. “Fratello” è colui che appartiene all’unità non di un popolo qualsiasi, ma dell’unico popolo eletto di Dio. La fraternità non si appoggia perciò sulla propria origine carnale, ma sulla comune elezione. Questa elezione è ben illustrata da Dt 4,32-40 e che lascio alla tua lettura.

Si potrebbe dire che si riconosce nell’Israele biblico una fratellanza diretta, propria dei connazionali e ancor più viva nei correligionari. Fratello è solo chi abita entro i confini d’Israele o nelle comunità della diaspora. L’ebreo è tenuto a comportarsi come prossimo soltanto verso chi è come lui. Legittimamente diverso può essere il comportamento verso chi è lontano, chi è estraneo alla fede mosaica, pagano nella cultura e nei costumi. Si vengono così stabilizzando due tipi di comportamenti a seconda dell’appartenenza. Per essere più chiari se avessi potuto porre questa domanda a un giudeo religioso: «Chi è il tuo prossimo?», oppure l’equivalente: «Chi consideri fratello?», mi sarei sentito rispondere: «Il mio connazionale», oppure «Chi ha la mia stessa fede».

  1. L’elezione, ratificata dalla legge mosaica, conferisce una certa sacralità all’appartenenza, ma la fraternità non è garantita da questo elemento pur così significativo. Bastano alcuni brevi brani profetici per evidenziarlo.

Vediamo Isaia:

«18 Per l’ira del Signore brucia la terra e il popolo è come un’esca per il fuoco; nessuno ha pietà del proprio fratello.19 Dilania a destra, ma è ancora affamato, mangia a sinistra, ma senza saziarsi; ognuno mangia la carne del suo vicino. 20 Manàsse contro Efraim ed Efraim contro Manàsse, tutti e due insieme contro Giuda. Con tutto ciò non si calma la sua ira e ancora la sua mano rimane stesa» (9,18-20).

Sono lotte intestine, rivalità, avidità. egoismi fra fratelli. Un altro profeta dell’VIII sec., Michea parla di corruzione generalizzata:

«2 L’uomo pio è scomparso dalla terra, non c’è più un giusto fra gli uomini: tutti stanno in agguato per spargere sangue; ognuno dà la caccia con la rete al fratello. 3 Le loro mani son pronte per il male; il principe avanza pretese, il giudice si lascia comprare, il grande manifesta la cupidigia e così distorcono tutto. 4 Il migliore di loro non è che un pruno, il più retto una siepe di spine. Il giorno predetto dalle tue sentinelle, il giorno del castigo è giunto, adesso è la loro rovina.  5 Non credete all’amico, non fidatevi del compagno. Custodisci le porte della tua bocca davanti a colei che riposa vicino a te. 6 Il figlio insulta suo padre, la figlia si rivolta contro la madre, la nuora contro la suocera e i nemici dell’uomo sono quelli di casa sua» (7,2-6).

Il quadro è desolante: la religiosità che ispirava comportamenti giusti si è eclissata, la violenza sembra esser diventata una consuetudine popolare, il principe è avido, il giudice si può facilmente corrompere, l’amicizia è una convenienza e anche gli affetti domestici sono snaturati, stravolti, irriconoscibili.

Un ultimo brano, lo prendo da Zaccaria, profeta postesilico del VI sec. a.C.:

«8 Questa parola del Signore fu rivolta a Zaccaria: 9  “Ecco ciò che dice il Signore degli eserciti: Praticate la giustizia e la fedeltà; esercitate la pietà e la misericordia ciascuno verso il suo prossimo. 10 Non frodate la vedova, l’orfano, il pellegrino, il misero e nessuno nel cuore trami il male contro il proprio fratello”. 11 Ma essi hanno rifiutato di ascoltarmi, mi hanno voltato le spalle, hanno indurito gli orecchi per non sentire. 12 Indurirono il cuore come un diamante per non udire la legge e le parole che il Signore degli eserciti rivolgeva loro mediante il suo spirito, per mezzo dei profeti del passato. Così si accese un grande sdegno da parte del Signore degli eserciti.13 Come al suo chiamare essi non vollero dare ascolto, così quand’essi grideranno, io non li ascolterò, dice il Signore degli eserciti. 14 Io li ho dispersi fra tutte quelle nazioni che essi non conoscevano e il paese si è desolato dietro di loro, senza che alcuno lo percorresse; la terra di delizie è stata ridotta a desolazione» (7,8-14).

Sono passati secoli, ma la conflittualità che la Toràh intendeva mitigare è rimasta vivissima. La Parola di Dio non viene più as coltata, hanno voltato le spalle a Dio e il Signore li ha allontanati dalla sua terra. L’ingiustizia nei rapporti fraterni porta desolazione anche ai terreni coltivati. Non solo la fraternità naturale, ma anche quella che è frutto dell’appartenenza al popolo eletto –  particolare dono di Dio – sono sconvolte.

  1. é tempo di passare all’insegnamento di Gesù. Secondo lo Schelkle, Gesù usa il termine fratello principalmente in tre modi.

nel senso di correligionario ebreo:

«21 Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. 22 Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. 23 Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, 24 lascia lì il tuo dono davanti all’altare e và prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5,21-24; 7,3; … 18,15s.).

Gesù adotta il concetto speciale di fratello in uso presso i rabbini che amavano chiamare “fratelli” i loro discepoli:

 «31 Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; 32 ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,31s.; cf. Mt 20,17; 23,8).

La fraternità cristiana si realizza quando i discepoli accettano la volontà di Dio, cioé il Vangelo. Un brano esemplare è quello di Marco:

«31 Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. 32 Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero:  “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano”.  33 Ma egli rispose loro: “Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 34 Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse:  «Ecco mia madre e i miei fratelli! 35 Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre» (3,31-35). 

Nell’insegnamento di Gesù, è chiaramente superato sia il riferimento alla parentela carnale, sia il riferimento a quella parentela collettiva affermata dal mondo ebraico e rabbinico. Nasce una famiglia nuova e nasce dalla docilità alla volontà di Dio espressa nella buona notizia. La fraternità, nei gesti concreti che la caratterizzano, è direttamente proporzionale all’obbedienza all’evangelo. Perché «In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva gia al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (Mc 10,25-28).

  1. Ma si evolve anche il concetto di prossimo al punto che per il cristiano non c’è più limite alla fraternità. Vediamo due pericopi notissime e legate l’una all’altra.

«25 Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?”. 26 Gesù gli disse:  “Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?”. 27 Costui rispose: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”.  28 E Gesù:  “Hai risposto bene; fà questo e vivrai”» (Lc 10).

Il dottore della legge risponde con abilità alla domanda di Gesù  unendo insieme due versetti delle Scritture ebraiche: Dt 6,5 e Lv 19,18. Saldando insieme un amore senza riserve per Dio e un amore sollecito e generoso verso il prossimo. Se Dio ha il primato, da questa centralità deriva il vero amore per i fratelli. Ma la concezione di prossimo del dottore della legge non sembra sicura al punto che chiede «volendo giustificarsi, disse a Gesù: “E chi è il mio prossimo?”» (Lc 10,29). La domanda non era così peregrina perché si discuteva su questo punto. Il proselita, cioé il pagano simpatizzante per l’ebraismo e divenuto correligionario più o meno stretto, è tuo prossimo? Il soldato romano che assicura l’ordine e il controllo del territorio è tuo prossimo? Il pastore, il ladro, la prostituta, il conciatore di pelli, ecc. sono il tuo prossimo?

La seconda parte del brano è quella in cui Gesù, per spiegare cosa lui intenda per prossimo, racconta al dottore della legge la parabola del buon samaritano. Non la riporto perché arcinota. Ricordo soltanto che il malcapitato è «un uomo (che) scendeva da Gerusalemme a Gerico» (v. 29). Un uomo che non ha un volto e ha tutti i volti; non lo si può nè descrivere, nè definire. Rimane uno sconosciuto e non è importante sapere chi sia. Quello che conta è imitare il samaritano – disprezzato per la sua posizione dottrinale e paragonato a un pagano dai circoli religiosi più in vista – e non ripetere ciò che fanno i due addetti al culto che incomprensibilmente lo scansano. Dopo questa parabola, il prossimo non lo si definisce più, ma bisogna piuttosto farsi prossimi, chinarsi, prendersi cura, usare e spendere del proprio.

  1. Nelle lettere apostoliche, guardando alla relazione reciproca di quanti credono in Gesù, la fraternità acquista maggiore spessore: penso si possa dire che diventa sacramentale.

Un brano eloquente appare la 1Pt:

 «22 Dopo aver santificato le vostre anime con l’obbedienza alla verità, per amarvi sinceramente come fratelli, amatevi intensamente, di vero cuore, gli uni gli altri, 23 essendo stati rigenerati non da un seme corruttibile, ma immortale, cioè dalla parola di Dio viva ed eterna. 24 Poiché tutti i mortali sono come l’erba e ogni loro splendore è come fiore d’erba. L’erba inaridisce, i fiori cadono, 25 ma la parola del Signore  rimane in eterno. E questa è la parola del vangelo che vi è stato annunziato» (1,22-25).

La “santificazione delle anime” di cui parla l’autore di questa pagina, è avvenuta nella nuova nascita, cioè nella rinascita del battesimo. Tolto il peccato dal proprio cuore, la persona è diventata tempio dello Spirito santo che, abitando nei credenti, li rende di fatto famiglia di Dio. Così rigenerati tutti dallo stesso Spirito, è possibile far circolare quell’amore, l’agape, che è il più comune e il più grande dei doni spirituali, dei carismi (cf. 1Cor 12,28-13,8a).

L’apostolo Paolo è forse colui che precisa meglio il termine “fratello”. Vediamo un tratto della lettera ai Romani:

«11 E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.12 Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; 13 poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l’aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete. 14 Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. 15 E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: “Abbà, Padre!”. 16 Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di    Dio. 17 E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria» (cap. 8).

Il punto di partenza è il fatto che lo Spirito del Signore abita nel cuore del cristiano, caparra e garante della nostra risurrezione futura (v. 11). Poichè questa presenza è opera gratuita di Dio, siamo debitori di un dono celeste che agisce in noi per la nostra crescita spirituale, un’azione che va assecondata e favorita vigilando perché, quello che l’Apostolo chiama l’“uomo vecchio”, non recuperi terreno (vv. 12-13). Si è figli di Dio infatti non solo per la presenza dello Spirito, ma perché si diventa docili alle sue ispirazioni e ci si lascia guidare nella vita nuova (v. 14). Come ogni figlio può attendersi un’eredità dal proprio genitore, così anche i cristiani possono attendersela da Dio, che è loro padre in modo pieno, purché rimangano fedeli nonostante le difficoltà (v. 16s.).

Lo Spirito opererà una conformazione definitiva al Cristo glo rioso: «Poiché – continua l’Apostolo – quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29). Nei cieli ci aspetta una fraternità poiché: «colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli» (Eb 2,11).

  1. In questo cammino le diversità di appartenenza originarie, anche le più grandi, non sono più un ostacolo e si fa l’esperienza di una nuova eguaglianza.

Scrive s.Paolo ai Galati:

«26 Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù, 27 poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. 28 Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù. 29 E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa» (cap. 3).

“Uomo-donna”, “giudeo-greco”, “schiavo-libero”, sono coppie  umanamente non assimilabili; la distanza di ciascun membro rimane secondo natura e per la propria cultura o status inconciliabili. Col battesimo e in forza del battesimo queste distanze sono collassate. La rinascita di tutti nello Spirito ha attivato una fraternità inimmaginabile essendo ciascuno e tutti in comunione grazie a, in, con Gesù Signore. Una fraternità che certo è un privilegio, ma che impegna gli uni verso gli altri: «Poiché dunque ne abbiamo l’occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede» (Gal 6,10; cf. 1Pt 2,17; in partic. Ef 4,17-5,21).

All’inverso, vita cristiana e ostilità verso i fratelli non stanno insieme. Riporto in sequenza alcuni brani senza commentarli:

«9 Chi dice di essere nella luce e odia suo fratello, è ancora nelle tenebre. 10 Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo. 11 Ma chi odia suo fratello è nelle tenebre, cammina nelle tenebre e non sa do ve va, perché le tenebre hanno accecato i suoi occhi» (1Gv 2).

«15 Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna.16 Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. 17 Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio? 18 Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 16).

Sempre parlando dell’amore fraterno:

«7 Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. 8 Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore» (1Gv 7s.).

«19 Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo. 20 Se uno dicesse: “Io amo Dio”,  e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. 21 Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo          fratello» (1Gv 19-21).

Per concludere un brano di s.Paolo che esorta i Colossesi a far in modo che la carità (l’agape) e la pace regnino sempre nella comunità di chi ha ricevuto la vita nuova col battesimo:       

«12 Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza; 13 sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha    perdonato, così fate anche voi. 14 Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione. 15  E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!» (cap 3).