Letture festive – 56. Viventi – 32a domenica del Tempo Ordinario Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

32a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 6 novembre 2022
Dal secondo libro dei Maccabèi – 2 Mac 7,1-2.9-14
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési – 2 Ts 2,16-3,5
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 20,27-38


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letture festive 56

Il secondo libro dei Maccabei presenta la vita e l’essere in vita del credente come qualcosa che ha qualità, valore e merita di essere vissuto solo a determinate condizioni. Ciò che infatti rende viventi in modo autentico, ciò che conferisce qualità a una vita degna di essere vissuta è per i credenti la fedeltà a ciò che costituisce il centro del loro credere e del loro vivere. Quando questa fedeltà venisse resa impossibile da imposizioni o costrizioni, la vita del credente non sarebbe più degna di essere vissuta e l’essere viventi non sarebbe – né si potrebbe più definire – autenticamente tale. Ciò spiega e giustifica l’atteggiamento e il comportamento dei sette fratelli e della loro madre che preferiscono la morte alla prosecuzione di quella che non sarebbe più davvero vita, in quanto privata di quel nucleo che la costituisce nel suo essere una vita credente. Nel contesto storico che fa da sfondo a questa narrazione biblica il centro della vita credente è costituito dall’osservanza delle prescrizioni alimentari tramandate dalle leggi dei padri. Riguardo poi alla concezione antropologica che in questa narrazione biblica fa da sfondo al pensarsi autenticamente viventi, essa prevede espressamente la speranza di una resurrezione dei corpi. Ma in ogni nuovo e diverso contesto storico e culturale, così come in ogni nuova e diversa concezione antropologica, tutti i cristiani – con Dio e senza Dio – sono invitati come credenti a interrogarsi sempre di nuovo su questi temi fondamentali: Qual è oggi, per i credenti, il nucleo davvero irrinunciabile? Che cosa conferisce all’essere viventi credenti quella qualità che rende la vita credente degna di essere vissuta? Quale concezione antropologica può fare da sfondo al pensarsi viventi oltre la morte?

La seconda lettera ai Tessalonicesi mette a fuoco uno di questi aspetti qualitativi che rendono i credenti, con Dio e senza Dio, autenticamente viventi: si tratta di quel mantenersi fedeli al nucleo del vangelo – nell’attraversare le avversità – che rende degna di essere vissuta la vita dei credenti. Credenti autenticamente viventi sono, anzitutto, coloro che vivono sé stessi come destinatari di un amore gratuito capace di dare consolazione e infondere speranza, così da rendere il nucleo della propria persona come un cuore forte e pulsante, in grado di trasmettere vita attraverso opere e parole di bene. Credenti autenticamente viventi sono, inoltre, coloro che – coltivando l’esercizio interiore della preghiera – rendono possibile la diffusione contagiosa della parola che salva, una vera e propria corsa che consente persino di sfuggire agli uomini corrotti e malvagi che vorrebbero fermarla, perché privi di quella fede che consente di riconoscere e accogliere questa stessa parola che salva. Credenti autenticamente viventi sono, infine, coloro che si rivelano obbedienti e operosi non per un ordine impartito o per una costrizione imposta dall’esterno, ma perché guidati interiormente dall’amore e dalla pazienza appresi dalla figura di Gesù.

Il vangelo di Luca ci introduce al tema di che cosa significhi essere davvero viventi attraverso il racconto di una controversia tra Gesù e un gruppo della corrente sacerdotale sadducea, sostenitrice – riguardo alla resurrezione dei morti – di quella posizione scettica che, nell’ebraismo e nella maggior parte dei libri dell’Antico Testamento, corrispondeva alle credenze più antiche e tradizionali. Il caso – presentato dai sadducei a sostegno della propria tesi – dei sette fratelli che hanno sposato uno dopo l’altro la medesima donna, rimasta più volte vedova, viene sottoposto a Gesù per tendergli una trappola. I sadducei, infatti, evidenziando l’assurdità della credenza nella resurrezione dei morti – corrispondente alla posizione meno tradizionale e meno antica, sostenuta dalla corrente dei farisei – vogliono costringere Gesù a schierarsi, prendendo posizione a favore dell’uno o dell’altro partito. Ma Gesù, come di consueto in questi casi, sfugge all’alternativa che gli viene posta, indicando una terza via: quella di un modo di essere viventi che riguarda fondamentalmente questa vita, ma che dopo la morte viene realmente trasformato dalla resurrezione in un modo di essere viventi di tipo radicalmente altro e diverso. Da una parte, infatti, le parole evangeliche sembrano affermare che le relazioni tra gli umani – di cui quella tra marito e moglie è una delle più rilevanti e significative – appartengono esclusivamente a questo mondo, a questo tempo e a questa vita e non possono essere proiettate, prolungate o riproposte in una vita dopo la morte. Dall’altra parte, però, vi è un modo di essere viventi – da risorti e in un’altra vita dopo la morte – che nel passo evangelico viene assimilato a quello degli angeli. Come interpretare questa affermazione?

Si potrebbero richiamare il significato e le funzioni che nella bibbia vengono attribuite alle figure degli angeli che – in relazione alle rispettive funzioni – sono chiamati Gabriele: “forza di Dio”, Michele: “chi è come Dio?” e Raffaele: “Dio ha guarito”. Si tratta, infatti, di figure collegate dal loro nome ebraico a quello che potremmo definire l’esercizio di una pura anche se specifica funzione di supporto e di aiuto a favore degli esseri umani viventi: quella di dare forza e sostegno per compiere una missione, per combattere il male e per guarire. In base a questo approccio sarebbe possibile – tanto per i con Dio quando per senza Dio – riconoscere con gratitudine coloro che sono morti come dei risorti viventi, che svolgono una funzione di supporto a noi ancora viventi in questa vita. E ciò in diversi modi: attraverso quello che ci hanno trasmesso con insegnamenti personali e diretti – o anche indiretti, da parte di chi non abbiamo incontrato personalmente ma che ci ha parlato ad esempio attraverso scritti o altre modalità – e soprattutto – nel caso delle persone che ci sono state care e vicine – attraverso il ricordo di ciò che hanno rappresentato per noi nel bene e come testimonianza di vita vissuta.