Letture festive – 58. Regalità – 34a domenica del Tempo Ordinario – Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

34a domenica del Tempo Ordinario – Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno C – 20 novembre 2022
Dal secondo libro di Samuèle – 2 Sam 5,1-3
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossési – Col 1,12-20
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 23,35-43


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letture festive 58

La regalità esercitata da Davide si presenta, nel secondo libro di Samuele, come attraversata da tensioni e ambivalenze: quella fondamentale riguarda il fatto che si parli di alleanza tra re e popolo, e di pascere il popolo stesso da parte del re. Il testo biblico, infatti, ha abituato i suoi lettori ad applicare questi termini alle relazioni tra Dio stesso e il suo popolo e non a quelle tra il popolo e il suo re. Si tratta già qui di indizi della problematicità di un’istituzione monarchica, che si propone di diventare in qualche modo il luogotenente di Dio di fronte al popolo. Ma precisamente di fronte all’esercizio della regalità come potere politico collegabile al divino veniamo messi in guardia rispetto alla tentazione insita in ogni potere: quella di essere utilizzato non per prendersi cura di altri ma per i propri interessi e per il proprio tornaconto personale. I limiti e le difficoltà nel gestire questa relazione tra il divino e il potere politico, del resto, si possono leggere tra le righe in questo stesso brano, quando si accenna a una fase in cui Saul regnava sulle tribù di Israele, ma era già Davide in realtà a condurre e ricondurre il popolo. Come narrato in altri brani biblici, ci si riferisce a quel momento finale di degenerazione paranoica del re Saul nell’esercizio della regalità che conduce alla drammatica successione da parte del nuovo ed emergente Davide, destinato peraltro a un esercizio della regalità non meno controverso e drammatico.

Nella lettera ai Colossési il tema della regalità, esercitata da colui che viene definito come Figlio dell’amore del Padre, viene proposto in un contesto radicalmente trascendente rispetto al mondo e alla storia. Si parla infatti di essere trasferiti nel regno di questo Figlio, per mezzo del quale si ha la redenzione e il perdono dei peccati. Di questo Figlio si parla come dell’immagine del Dio invisibile, del primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose, visibili e invisibili. Si afferma che è prima di tutte le cose e che tutte in lui sussistono. Egli è inoltre la testa di quel corpo spirituale che è la chiesa e il primogenito di coloro che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su ogni cosa, avendo riconciliato e pacificato tutte le cose del cielo e della terra con il sangue della sua croce. In questa descrizione non vi è nulla di veramente terreno, concreto e attuale, mentre tutto si presenta in una dimensione altra, celeste e trascendente, antichissima o futura, simbolica e spirituale, compreso il riferimento al sangue della croce. Questo testo di Colossési sembra volerci parlare di regalità come dimensione spirituale e trascendente che rivela e insieme nasconde il significato profondo della realtà e della storia, ponendosi in alternativa, mentre ne relativizza radicalmente l’importanza e il significato, con l’esercizio del potere terreno, inteso come tratto caratteristico della regalità. Si tratta quasi di una sorta di realtà parallela al mondo e alla storia, che a un livello superiore e celeste, trascendente e spirituale, costituisce il vero fondamento, la vera origine e il vero compimento di una regalità che nella storia e nel mondo rivela solo un proprio aspetto esteriore, apparente e superficiale.

Il passo di Luca sottopone il tema della regalità a una trasformazione ancora più profonda e radicale di quanto non faccia l’interpretazione spiritualizzante e trascendente della lettera ai Colossési. Nella scena evangelica un Gesù crocefisso insieme ai malfattori viene deriso e contestato dai soldati presenti per il modo in cui esercita la sua regalità, mentre i capi religiosi e persino uno dei malfattori crocefissi contestano invece Gesù per il modo in cui esercita la sua messianicità. Come ai tempi della monarchia di Saul e di Davide, anche qui la regalità del re e la messianicità del Cristo, la regalità come esercizio del potere politico e la regalità come rapporto con il divino di cui si è luogotenenti e inviati, tendono a sovrapporsi fino a identificarsi. Ma l’aspetto più sorprendente è che la regalità, insieme a quella sua trasposizione religiosa che è la messianicità, vengono richiamate esclusivamente come ruoli e strumenti di potere per salvare sé stessi, per sottrarre sé stessi alle difficoltà e alla morte. È infatti questo che viene rinfacciato a Gesù, quasi fosse una colpa o un indizio di falsa regalità o messianicità: non è in grado di salvare sé stesso, condizione ritenuta necessaria per poter eventualmente salvare anche altri. Inchiodato alla croce e senza parlare, Gesù induce i presenti a rivelare la loro vera concezione non solo dello scopo della regalità e del potere politico e terreno, ma anche dello scopo del potere religioso e messianico: non il prendersi cura di altri ma il salvare sé stessi. Che cosa rimane, allora, quando la regalità getta la maschera, rivelando il suo vero volto? Rimane il dialogo finale tra Gesù e l’altro malfattore, quello che chiede a Gesù di ricordarsi di lui quando entrerà nel suo regno e con il quale noi, lettori del vangelo, siamo invitati a identificarci. La risposta di Gesù, “oggi con me sarai nel paradiso”,diversamente da ciò che potremmo pensare, si riferisce non tanto a un paradiso celeste, futuro e ultraterreno – che finirebbe per somigliare pur sempre a un modo per salvare sé stessi – ma al fatto di scegliere di essere con lui, con Gesù, in questo modo di esercizio della regalità che rinuncia a salvare sé stesso. Precisamente questa è la scelta che ci colloca nel paradiso, cioè nel giardino – perché questo è il significato etimologico del termine paradiso – giardino che rappresenta simbolicamente un nuovo inizio, proprio nel momento in cui sembra ci sia solo la fine. Nel giardino in cui Gesù invita a essere con lui, potremmo vedere, infatti, sia il giardino di Eden – per cui saremmo riportati all’alba del mondo e collocati nella possibilità di un nuovo inizio – sia il giardino del sepolcro dove Gesù, deposto dalla croce e collocato, risulterà però introvabile, perché, come dicono nello stesso vangelo di Luca due uomini in vesti sfolgoranti, rivolgendosi alle donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”