Letture festive – 69. Inviati – 2a domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

2a domenica del Tempo Ordinario Anno A – 15 gennaio 2023
Dal libro del profeta Isaìa – Is 49,3.5-6
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1 Cor 1,1-3
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 1,29-34


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letture festive 69

Per i personaggi biblici quella di essere inviati è un’esperienza frequente, spesso preceduta da una chiamata, da una vocazione, come nel caso del passo del profeta Isaia. Qui colui che è chiamato per essere inviato è insieme un servo e qualcuno sul quale si manifesterà la gloria divina, qualcuno che è stato plasmato come servo fin dal seno materno per poter compiere la missione di ricondurre e riunire. Ma si tratta anche di qualcuno al quale si dice che è troppo poco essere servo per compiere la missione affidata, per cui quello che era inizialmente un servo sarà reso luce delle nazioni e inviato per portare salvezza fino alle estremità della terra. Si tratta della dinamica biblica del rapporto – mai prevedibile nei suoi sviluppi – tra essere chiamati ed essere inviati, tra insufficienza personale e forza ricevuta per compiere una missione. Per chiunque – con Dio o senza Dio – si lasci coinvolgere nelle dinamiche innescate dalle parole bibliche, identità personale e compimento futuro si colgono davvero e si chiariscono reciprocamente solo cammin facendo. Ciò che siamo chiamati a essere e ciò per cui siamo inviati, infatti, non mantiene mai la sua forma originaria, ma è sottoposto a vicende di trasformazione incessante e solo in parte prevedibile. Può avvenire così che ciò che sembrava identificarci – l’essere servi – ed essere sufficiente per un determinato compito – ricondurre i superstiti – ad un certo punto si riveli essere troppo poco, non solo per realizzare un compito, ma anche per definire la nostra identità. Ciò diventa un problema se costruiamo la nostra vita basandoci – in modo rigido e non modificabile – su questa identità e su questa definizione iniziale di quello che siamo e che dovremmo essere. Ma questo non è ciò che le pagine bibliche insegnano e neppure ciò che si aspettano da coloro che si rendono disponibili per essere inviati.

Paolo apre la sua lettera ai cristiani di Corinto parlando di due chiamate che dicono identità ma che insieme aprono all’essere inviati verso qualcosa che sta ancora davanti, davanti a lui, Paolo, davanti ai destinatari del suo scritto, i corinzi, ma anche davanti a noi che leggiamo oggi le sue parole. La prima chiamata riguarda l’identità di Paolo come apostolo, parola che in greco significa precisamente inviato, a confermare lo stretto legame tra essere chiamati ed essere inviati che attraversa le Scritture ebraiche e cristiane. La seconda chiamata, per i cristiani di Corinto, ma anche per tutti noi – cristiani di oggi, con Dio o senza Dio – è quella ad essere santi, una chiamata che comporta un duplice movimento: il primo movimento consiste nel prendere in qualche modo le distanze da quella condizione umana e spirituale ancora generica e indistinta che tutti ci accomuna, venendone in qualche modo separati, in vista di quello che è il secondo movimento: l’essere inviati nella direzione di uno specifico cammino, personale e comunitario, che consiste nel prendere come riferimento ispiratore la figura di Gesù. Anche qui, come per il personaggio del brano di Isaia, le chiamate che stanno all’inizio e le identità che possiamo già intravedere sono solo germinali e incompiute, perché la loro direzione, la loro storia e il loro compimento dipendono in buona parte dal tipo di risposta vissuta che i chiamati sapranno e vorranno dare, diventando cammin facendo ciò che sono chiamati a diventare. Nel caso di Paolo e dei cristiani di Corinto, poi, questo intreccio tra essere chiamati e inviati, questo intreccio tra identità inziale e identità che si determina e si compie solo nel tempo, si trovano in una relazione di ulteriore reciprocità. Ciò che Paolo è chiamato a essere e afferma come propria identità – essere apostolo e quindi inviato – può trovare attuazione e forma compiuta solo attraverso l’interazione reciproca con i corinzi e con le altre comunità cristiane. Ciò che i cristiani di Corinto sono chiamati a essere e a riconoscere come propria embrionale identità – essere santi – può trovare attuazione e forma compiuta solo attraverso l’interazione reciproca con l’apostolo Paolo, in quanto annunciatore per loro del vangelo di Gesù. Nel nostro caso, di odierni con Dio e senza Dio, una duplice fondamentale interazione che ci consente un’identità cristiana di embrionale santità e che ci pone nella condizione di essere inviati, è l’interazione con le comunità nelle quali viviamo e con i testi biblici dai quali possiamo ascoltare parole evangeliche, quelle che ci chiamano per poi inviarci: dove? Ancora non lo sappiamo.

La reciprocità di rapporto e di identità tra due che sono inviati per una missione si ripropone anche nel testo che il quarto vangelo dedica alla relazione tra Giovanni, il battista precursore, e Gesù. Il Giovanni battista del quarto vangelo parla della propria identità di battista, di battezzatore nell’acqua, come determinata in relazione a Gesù, che invece battezza nello Spirito. Questo stesso Giovanni, inoltre, come precursore, cioè apripista, – benché dica di Gesù: non lo conoscevo – presenta il proprio essere inviato come finalizzato a preparare il manifestarsi di Gesù e darne testimonianza. Nonostante questa asimmetria qualitativa tra Gesù e Giovanni che il quarto vangelo sottolinea, vi è comunque un rapporto di reciprocità che riguarda sia l’identità che l’essere inviato di Gesù. Chi suggerisce quale sia la vera identità di Gesù e a quale scopo sia stato inviato è infatti Giovanni, che ne parla come dell’Agnello di Dio, come di colui che toglie il peccato del mondo e che battezza nello Spirito. Il Gesù del quarto vangelo, pur nella asimmetria del rapporto con Giovanni, non potrà prescindere da questa identità e da queste finalità del suo invio, per come vengono messe in bocca al suo precursore Giovanni. Anche qui, però, nel caso di Gesù come nel caso di Isaia e di Paolo – ma anche nel nostro caso di cristiani, con Dio e senza Dio – l’identità iniziale e l’inziale essere inviati, anche quando vengono delineati o anticipati nei loro tratti fondamentali e nelle loro finalità, sono destinati a modificarsi e trasformarsi, più e più volte, in qualcosa di sempre diverso da quanto immaginato e previsto inizialmente: in qualcosa di più doloroso e arduo in certi casi, in qualcosa che sorprende positivamente in altri casi. Anche quando riteniamo di poter dire qualcosa della nostra identità, anche quando ci riconosciamo come inviati per un qualche tipo di missione, ci troviamo in realtà collocati nel mezzo di un cammino. Si tratta – ci insegnano le parole bibliche – di un cammino che sta ancora e sempre davanti a noi e nel quale potrà esserci richiesto di modificare la nostra identità e la destinazione verso la quale – obbedendo a chi ci ha inviati – ci stiamo dirigendo.