Letture festive – 24. Nonviolenza – Domenica delle Palme: Passione del Signore Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Domenica delle Palme: Passione del Signore Anno C – 10 aprile 2022
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 19,28-40
Dal libro del profeta Isaìa – Is 50,4-7
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési – Fil 2,6-11
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Luca – Lc 22,14-23,56


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letture festive 24

La domenica delle Palme si apre con il brano del vangelo di Luca che descrive una sorta di messa in scena simbolica, profetica e insieme utopica dell’ingresso a Gerusalemme di Gesù acclamato come re nonviolento da una folla dei discepoli che evoca pace in cielo.

Ma il passo del profeta Isaia ci riporta rapidamente alla drammaticità di un contesto di violenza nel quale il protagonista è un discepolo che si sente chiamato anzitutto all’ascolto, per poi a propria volta essere in grado di parlare a chi è ormai privo di fiducia. Si tratta di una situazione paradossale, nella quale la sfiducia potrebbe travolgere anzitutto proprio questo discepolo, sottoposto a brutali violenze, un discepolo che sceglie però di non opporre una resistenza violenta, ma di rimanere saldo e consapevole, in un atteggiamento che non mostra debolezza, né confusione o vergogna ma manifesta forza e capacità di affrontare nel modo migliore una situazione estrema.

Nel solenne inno liturgico, con il quale Paolo descrive il percorso di abbassamento e il successivo innalzamento di Cristo Gesù, la violenza – nella forma brutale della crocefissione – viene posta al centro, come una violenza subita senza che il protagonista vi reagisca in modo violento. Proprio questa violenza – alla quale non corrisponde un’eguale e contraria reazione violenta – una volta toccato il fondo ed esaurita la propria carica distruttiva, lascia il posto a un movimento di risalita, in direzione opposta, quasi si trattasse di una forza di rimbalzo verso l’alto, resa possibile dal venir meno del peso della violenza, una peso che trascina verso il basso mentre è incapace di portare verso l’alto. È come se la violenza venisse portata, nella morte del crocefisso, alla sua massima concentrazione, per essere infine disarmata e annientata, attraverso un percorso discendente descritto in termini di rinuncia a privilegi divini e di svuotamento di sé, nella direzione di una condizione servile e umanamente umile, che viene definita obbediente fino alla morte, ma che si rivela tale per il suo essere invece radicalmente disobbediente agli imperativi della violenza. Questa obbedienza nonviolenta fino alla morte diventa perciò il motivo del successivo innalzamento, a partire dal dono di un nome destinato a superarne ogni altro.

Nel racconto evangelico della passione e morte di Gesù secondo Luca vi sono, come è noto, alcuni episodi, passaggi e parti di testo presenti soltanto in Luca e non negli altri evangelisti. Precisamente in alcuni di questi testi, che troviamo esclusivamente in Luca, è possibile riconoscere – sullo sfondo storico dei tentativi di resistenza armata e violenta all’invasore romano – un filo tematico riconducibile ai temi della resistenza non armata e della nonviolenza. Al termine dell’ultima cena, l’invito di Gesù a prepararsi a lottare e a resistere, con il ricorso all’immagine di una spada che ci si deve procurare, viene frainteso dai discepoli che mostrano a Gesù due spade. Queste spade vengono rifiutate dallo stesso Gesù, che risponde semplicemente: «Basta!», ma quando si avvicina il momento della cattura, quelli che sono con Gesù gli chiedono nuovamente se debbano colpire con la spada e – senza attendere la sua risposta – uno di questi taglia l’orecchio di uno degli aggressori. Davanti a questa domanda e a questa reazione armata e violenta, Gesù dice: «Lasciate! Basta così!» e prende subito l’iniziativa di toccare l’orecchio del ferito, guarendolo. Si tratta, nella narrazione evangelica, dell’ultima delle tante guarigioni operate da Gesù. La lotta alla quale Gesù invita a prepararsi è infatti quella non armata e non violenta che lui stesso si trova ad ingaggiare – attraverso una sorta di sofferta preghiera – anzitutto con la propria immagine di Dio, una lotta quindi fondamentalmente interiore, per riuscire a condurre il proprio cammino fino al suo compimento. Nel racconto della passione vengono descritte diverse forme di violenza alle quali Gesù viene sottoposto: deriso, percosso e insultato, fino a essere crocefisso e lasciato a morire, nella modalità dolorosa di quel supplizio che, per la sua crudeltà, non può essere inflitto ai cittadini romani, ma solo agli schiavi e agli stranieri. Di fronte al crescendo di questa violenza inferta a Gesù, un ultimo comportamento radicalmente nonviolento, che il racconto evangelico di Luca attribuisce allo stesso Gesù, si trova nelle parole di perdono rivolte a coloro che, sbagliando nel giudicarlo e quindi non riconoscendone l’innocenza, lo stanno mettendo a morte. Si tratta addirittura di un perdono che non è richiesto dai suoi uccisori, un perdono, quindi, gratuito e consapevolmente inteso, che diventa perciò – per iniziativa di un Gesù vittima di violenza fino alla morte – l’ultima parola della sua provocazione nonviolenta.

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