Riflessioni teologiche – 35. Cristianesimo ecumenico e problema della verità (parte 5: RAPPORTO TRA VERITÀ ED ERRORE NELLA TEOLOGIA DI RAHNER)

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico richiede un modo diverso di impostare il problema della verità, sul quale l’ecumenismo novecentesco è rimasto bloccato nella ricerca di una convergenza rivelatasi impossibile. Per sciogliere questo nodo della verità servirebbero la reciproca legittimazione – quando inevitabile – della possibilità di errare e l’umiltà di una fede che si vuole proiettata verso la realtà a cui ci orienta il vangelo e non vincolata alle proprie enunciazioni; queste ultime, infatti, devono cercare di essere vere – almeno per il soggetto che le formula – senza però dimenticare di essere fallibili e superabili. Su errori ed enunciazioni riguardanti la verità – elementi di un pluralismo non superabile – andrebbe affermata la prevalenza evangelica dell’amore perdonante, della reciproca accoglienza, del desiderio di unità e delle esperienze concrete di comunione vissuta (parte 5: RAPPORTO TRA VERITÀ ED ERRORE NELLA TEOLOGIA DI RAHNER)


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Nella teologia di Karl Rahner, la dialettica tra verità ed errore nell’esperienza di fede viene trattata da diversi punti di vista. Un primo riferimento è alle convinzioni religiose del popolo ebraico che, in un determinato momento della storia, sarebbero state non monoteistiche ma enoteistiche (cioè secondo la convinzione che esistano più divinità ma che la propria sia superiore a tutte le altre). Rahner afferma che nel contesto politeistico dell’epoca, condiviso anche dai credenti ebrei, il monoteismo rigoroso – che si sarebbe affermato nella fede ebraica solo successivamente – non avrebbe potuto in quel determinato contesto storico e culturale essere luogo di autentica esperienza spirituale. In quel momento l’enoteismo – benché in sé erroneo sul piano della verità – avrebbe quindi rappresentato per l’ebraismo l’unica possibilità concretamente praticabile di sperimentare la fede in Dio. Si tratta di un caso in cui, come afferma Rahner «ciò che è sbagliato ed errato sotto il profilo intramondano può servire da mediazione alla verità assoluta».

Qualcosa di simile avviene, secondo Rahner, nel caso di visioni ed esperienze mistiche descritte da cristiani illustri, della cui onestà personale non vi è motivo di dubitare, ma nelle cui visioni oggi dobbiamo riconoscere errori, falsità e deformazioni del messaggio cristiano. In questi casi si tratta di persone verosimilmente sante quanto alla condotta di vita cristiana, convinte – a torto – di aver sperimentato autentiche esperienze di visione, esperienze che oggi probabilmente verrebbero interpretate dal punto di vista della psichiatria e della salute mentale come allucinazioni o come altri disturbi e patologie, tali da deformare gravemente la percezione della realtà. Una situazione apparentemente opposta, ma in realtà per certi versi analoga, è quella degli atei che Rahner chiama cristiani anonimi (di cui abbiamo parlato nel video n. 2 di queste riflessioni teologiche). Sul piano della oggettiva verità del contenuto, infatti, Rahner ritiene erronea la loro convinzione in buona fede riguardo alla non esistenza di Dio, ma sul piano della autenticità, bontà e verità della condotta di vita, Rahner riconosce negli atei che si possono considerare cristiani anonimi una fedeltà al vangelo profonda e reale, benché inconsapevole.

Un altro ambito esplorato da Rahner è quello dell’interpretazione delle definizioni dogmatiche e in generale delle formulazioni dei contenuti di fede come “amalgama” di verità e di modelli rappresentativi e modi di comprensione anche erronei. Questi modelli rappresentativi erronei possono cioè essere espressi e tramandati insieme all’affermazione dogmatica senza distinzione e come cosa ovvia, mentre in seguito si riveleranno non vincolanti o addirittura errati. Solo a posteriori, con uno sguardo retrospettivo e spesso dopo molto tempo, sarà possibile distinguere ciò che, in un determinato periodo storico, nell’amalgama di una formulazione dei contenuti di fede apparteneva al suo nucleo e quanto invece a un modo di esprimerla culturalmente condizionato. Proprio questo modo culturalmente condizionato di esprimere la fede potrebbe risultare – in un tempo successivo o in un contesto linguistico e culturale diverso – insufficiente o anche errato. Rahner sottolinea che neppure l’attuale nostra formulazione dei contenuti di fede si presenta in una sorta di purezza chimica, quasi fosse il modo definitivo e finalmente adeguato di esprimere i contenuti della fede. In realtà anche noi, come tutte le generazioni cristiane passate, presenti e future, possiamo cogliere ed esprimere la nostra fede solo in modo storicamente e culturalmente condizionato.

Riferimenti:

K. Rahner, «Antico Testamento e dogmatica cristiana», in Id., Scienza Teologia dell’esperienza dello Spirito. Nuovi saggi VI, Roma 1978, 273-293.

K. Rahner, Visioni e profezie. Mistica ed esperienza della trascendenza, Milano 1955, 19952.

K. Rahner, «Storia dei dogmi e della teologia di ieri per domani», in Id., Dio e rivelazione. Nuovi saggi VII, Roma 1980, 13-57.

Per i testi di Rahner sui cristiani anonimi vedi quelli indicati in Riflessioni teologiche 2 – Cristiani anonimi del 27 novembre 2021.

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