Ama e fa ciò che vuoi

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

Ama-et-fac-quod-vis

La sentenza di s. Agostino «ama e fa’ ciò che vuoi» esprime in modo geniale lo stile dell’esercizio dell’autentica libertà. Questo pastore e padre della Chiesa, che in gioventù si era comportato spesso da libertino, dopo una travagliata esistenza in cerca della verità e della pace, comprese e insegnò che la libertà vera è vissuta solo nell’amore. Chi ama si comporta spontaneamente in modo da piacere alla persona amata e quindi evita di fare ciò che può rattristarla.

Questo è vero sia a livello naturale che a quello soprannaturale, perché, quando l’oggetto dell’amore umano è la Trinità, allora si vive nella libertà più profonda e autentica, quando ci si impegna ad amare concretamente queste persone divine in tutte le espressioni e in tutti i momenti dell’esistenza, pensando e facendo solo ciò che Esse da noi desiderano.

L’esercizio della libertà a questo livello soprannaturale forma il vertice della realizzazione della vocazione cristiana e della santità. Infatti con tale comportamento il credente riporta vittoria piena sulle passioni disordinate, sul peccato e si incammina sulla strada della perfezione.

I padri della Chiesa sono maestri di questo itinerario spirituale volto a raggiungere in pienezza la libertà vera. Essi però non ignorano né sottovalutano le espressioni naturali della libertà umana. Questi pastori e maestri della fede spiegano anche il valore e il significato della libertà umana, specialmente in una prospettiva religiosa. I loro interventi sono provocati soprattutto da finalità pastorali o apologetiche, per difendere ad esempio la retta dottrina della Chiesa dinanzi alle affermazioni tendenziose e aberranti dei nemici del Cristianesimo, siano essi giudei o giudaizzanti oppure siano eretici o filosofi pagani.

Clemente romano, quarto vescovo di Roma (sec. I) per esempio, scrivendo ai cristiani di Corinto, nell’elencare i doni divini concessi ai figli della Chiesa, esalta quello della verità nella libertà: «Quanto sono mirabili e preziosi i doni di Dio, fratelli carissimi! La vita nell’immortalità, lo splendore nella giustizia, la verità nella libertà, la fede nella confidenza, la padronanza di sé nella santità: tutto questo è stato messo alla portata della nostra intelligenza» (Breviario IV, CEI, Città del Vaticano 1989, 1471).

Nella solenne preghiera riportata verso la fine di questa Lettera troviamo più di una volta la supplica al Signore Dio di essere liberati dalle angosce, dalle tribolazioni della vita e soprattutto dal male e dal peccato: «Ti preghiamo, o Signore, sii nostro aiuto e sostegno. Libera quelli tra noi che si trovano nella tribolazione, abbi pietà degli umili, rialza i caduti, vieni incontro ai bisognosi, guarisci i malati, riconduci i traviati del tuo popolo. Sazia chi ha fame, libera i nostri prigionieri, solleva i deboli… O Signore e Dio nostro, fa brillare il tuo volto su di noi, perché possiamo godere dei tuoi beni nella pace, siamo protetti dalla tua mano potente, liberati da ogni peccato con la forza del tuo braccio eccelso e salvati da coloro che ci odiano ingiustamente» (Breviario, III, CEI, Città del Vaticano 1993, 41s.).

Ireneo di Lione nel suo monumentale trattato “Contro le eresie” ripropone l’insegnamento di s. Paolo sulla liberazione dei cristiani dalla debolezza della carne ad opera dell’amore del Figlio di Dio: «E ancora Paolo esclama: “Sono sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?” (Rm 7,24). Quindi presenta il liberatore: l’amore gratuito del Signore nostro Gesù Cristo» (111,20,3).

Nel trattato “La confutazione di tutte le eresie” dell’antipapa e martire s. Ippolito (+235) questi fa riferimento allo stato dell’uomo creato come persona libera, capace di scelte responsabili: «Queste cose Dio le ordinava al suo Verbo. Il Verbo le diceva in parole per distogliere con esse l’uomo dalla sua disobbedienza. Non lo dominava come fa un padrone con i suoi schiavi, ma lo invitava a una decisione libera» (X,33) (Id., 449).

Melitone di Sardi (+190) nella sua “Omelia sulla Pasqua”, riattualizzando l’esodo ebraico in prospettiva cristologica, presenta Gesù Cristo come l’agnello pasquale, che liberò i cristiani dalla schiavitù di Satana e donò loro la libertà e la vita divina: «Egli infatti fu condotto e ucciso dai suoi carnefici come agnello, ci liberò dal modo di vivere del mondo come dall’Egitto e ci salvò dalla schiavitù del demonio come dalla mano del Faraone… Egli è colui che ci trasse dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita, dalla tirannia al regno eterno… Egli è la Pasqua della nostra salvezza» (Breviario, II, CEI, Città del Vaticano 1988, 409).

  1. Giovanni Crisostomo (+407) nelle “Catechesi” ripropone quella attualizzazione della liberazione dei figli della Chiesa dalla schiavitù del diavolo, tiranno più crudele e più orribile del Faraone: «Tu non hai visto il Faraone sommerso con il suo esercito, ma hai visto il diavolo affondare con le sue schiere. I giudei attraversarono il mare, tu hai sorpassato la morte. Essi furono liberati dagli egiziani, tu dai demoni. Essi la sciarono una schiavitù barbara, tu la schiavitù, molto più triste, del peccato» (111,24) (Id., 142).
  2. Atanasio (+373) insegna che i grandi personaggi della storia salvifica, quali Mosè, Samuele e Davide, per la loro santità hanno raggiunto la libertà perfetta nella gloria del Cielo: «Per questo stile di vita essi raggiunsero la libertà e ora fanno festa in Cielo. Ripensano con gioia al loro pellegrinaggio terreno, capaci ormai di distinguere ciò che era figura e ciò che è divenuto finalmente realtà» (Lettere pasquali XIV, 1) (Id., 313).
  3. Sofronio (+638) presenta i cristiani come il nuovo Israele salvato dal Cristo e perciò liberato dal peccato, a somiglianza del santo vegliardo Simeone, il quale fu introdotto nella gloria dopo aver contemplato il bambino Gesù: «La salvezza di Dio, infatti, preparata dinanzi a tutti i popoli e manifestata a gloria di noi, nuovo Israele, grazie a lui, la vedemmo anche noi e subito fummo liberati dall’antica e tenebrosa colpa, appunto come Simeone, veduto Cristo, fu sciolto dai legami della vita presente» (Breviario, III, 1266s.).
  4. Andrea di Creta (+740) nel suo primo “Discorso” ripropone la dottrina paolina sulla liberazione dalla legge mosaica operata dal Cristo, per cui ora i membri della Chiesa vivono nella libertà dei figli di Dio: «Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà. In questo modo non siamo più “schiavi degli elementi del mondo” (Gal 4,3), come dice l’Apostolo, né siamo più oppressi dal giogo della legge, né prigionieri della sua lettera morta» (Breviario, IV, 1259).

Questo Padre nel “Discorso 10” proclama la croce del Cristo strumento di liberazione e di vita divina: «La sentenza di condanna scritta per il nostro peccato non sarebbe stata lacerata, noi non avremmo avuto la libertà, non potremmo godere dell’albero della vita, il paradiso non sarebbe stato aperto per noi. Se non ci fosse la croce, la morte non sarebbe stata vinta, l’inferno non sarebbe stato spogliato» (Id., 1279).

  1. Leone Magno (+461) in una delle sue lettere (Lett. 31) insegna che la libertà dei credenti dalla schiavitù del demonio e del peccato è il frutto dell’incarnazione del Figlio di Dio, che ha condiviso pienamente la nostra natura umana: «Se infatti quest’uomo nuovo, fatto a somiglianza della carne del peccato (cf. Rm 8,3), non avesse assunto il nostro uomo vecchio, ed egli, che è consostanziale con il Padre, non si fosse degnato di essere consostanziale anche con la Madre e se egli, che è il solo libero dal peccato, non avesse unito a sé la nostra natura umana, tutta quanta la natura umana sarebbe rimasta prigioniera sotto il giogo del diavolo» (Breviario, I, 316).
  2. Andrea di Creta in uno dei suoi discorsi in onore della Madre del Signore esalta la liberazione dalla lettera della legge mosaica, ispirandosi all’insegnamento di s. Paolo: «“Il termine della legge è Cristo” (Rm 10,4). Si degni egli di innalzarci verso lo spirito ancor più di quanto ci libera dalla lettera della legge. In lui si trova tutta la perfezione della legge, perché lo stesso legislatore, dopo aver portato a termine ogni cosa, trasformò la lettera in spirito, ricapi­tolando tutto in sé stesso. La legge fu vivificata dalla grazia e fu posta al suo servizio in una composizione armonica e feconda. Ognuna delle due conservò le sue caratteristiche senza alterazioni e confusioni. Tuttavia la legge, che prima costituiva un onere gravoso e una tirannia, diventò, per opera di Dio, peso leggero e fonte di libertà. In questo modo non siamo oppressi dal giogo della legge, né prigionieri della sua lettera morta… La beata Vergine Maria ci fa godere di un duplice beneficio: ci innalza alla conoscenza della verità e ci libera dal dominio della lettera, esonerandoci dal suo servizio. In che modo e a quale condizione? L’ombra della notte si ritira all’approssimarsi della luce del giorno e la grazia ci reca la libertà in luogo della schiavitù della legge» (Breviario IV, 1259s.).
  3. Anselmo di Aosta (+1109) e s. Bernardo di Chiaravalle (+1153) mettono in risalto la mediazione della Madre del Signore nella liberazione dei figli della Chiesa dal peccato e dal male: «Per la pienezza della tua grazia anche le creature che erano negli inferi si rallegrano nella gioia di essere liberate, e quelle che sono sulla terra gioiscono di essere rinnovate. Invero per il medesimo glorioso figlio della tua gloriosa verginità, esultano, liberati dalla loro prigionia, tutti i giusti che sono morti prima della sua morte vivificatrice». «Ecco, (o Vergine,) che ti è offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, saremo subito liberati… Tutto il mondo è in attesa, prostrato alle tue ginocchia: dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione dei prigionieri, la liberazione dei condannati, la salvezza di tutti i figli di Adamo» (Breviario I, 1089s.339).

Il Concilio Vaticano II ha dedicato ampio spazio al tema della libertà umana, soprattutto nella costituzione pastorale Gaudium et Spes (nr 17.21) e nel decreto Dignitatis humanae, consacrato alla libertà religiosa. Ecco un brano significativo: «La Chiesa crede che il riconoscimento di Dio non si oppone in alcun modo alla dignità dell’uomo, dato che questa dignità trova proprio in Dio il suo fondamento e la sua perfezione: l’uomo riceve da Dio Creatore le doti di intelligenza e di libertà ed è costituito libero nella società, ma soprattutto egli è chiamato a comunicare con Dio stesso in qualità di figlio e a partecipare alla sua stessa felicità. Inoltre essa insegna che la speranza escatologica non diminuisce l’importanza degli impegni terreni, ma anzi dà nuovi motivi a sostegno dell’attuazione di essi» (GS 21).

Il nostro Concilio esalta il valore eccezionale della libertà umana, presentandola come segno altissimo dell’immagine di Dio nella creatura razionale: «Ma l’uomo può volgersi al bene soltanto nella libertà, quella libertà cui i nostri contemporanei tanto tengono e che ardentemente cercano, e a ragione. Spesso però la coltivano in malo modo, quasi sia lecito tutto quel che piace, compreso il male. La vera libertà, invece, è nell’uomo segno altissimo dell’immagine divina. Dio infatti volle lasciare l’uomo “in mano al suo consiglio” (Sir 15,14), così che esso cerchi spontaneamente il suo Creatore e giunga liberamente, con l’adesione a Lui, alla piena e beata perfezione. Perciò la dignità dell’uomo richiede che egli agisca secondo scelte consapevoli e libere, mosso cioè e indotto da convinzioni personali, e non per un cieco impulso interno o per mera coazione esterna. Ma tale dignità l’uomo la ottiene quando, liberandosi da ogni schiavitù di passioni, tende al suo fine con scelta libera del bene e si procura da sé e con la sua diligente iniziativa i mezzi convenienti. La libertà dell’uomo, che è stata ferita dal peccato, può rendere pienamente efficace questa ordinazione verso Dio, solo con l’aiuto della grazia divina» (GS 17).

L’uomo infatti è libero e autonomo, perché partecipe della natura del Creatore (cf. GS 68). Il Concilio quindi con soddisfazione prende atto della sete di libertà da parte dell’uomo contemporaneo, pur rilevando le numerose e sottili forme moderne di schiavitù: «Mai come oggi gli uomini hanno avuto un senso così acuto della libertà, e intanto si affermano nuove forme di schiavitù sociale e psichica» (GS 4).

La dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa si apre, costatando la crescita della dignità umana, favorita dall’esercizio sempre più marcato della libertà: «Nell’età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive. Parimenti gli stessi esseri umani postulano una giuridica delimitazione della pubblica potestà, affinché non siano troppo circoscritti i confini dell’onesta libertà tanto delle singole persone quanto delle associazioni. Tale esigenza di libertà nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società» (DH 1 ).

In questo documento – Dignitatis humanae – però è ricordato che l’uso della libertà umana deve essere educato, perché la civiltà moderna conosce e adopera tanti mezzi subdoli e sofisticati, per privare l’uso di una sana libertà: «Questo Concilio Vaticano esorta tutti, ma soprattutto coloro che sono impegnati in compiti educativi, ad adoperarsi per formare esseri umani i quali, nel pieno riconoscimento dell’ordine morale, sappiano obbedire alla legittima autorità e siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e che si impegnino a perseguire tutto ciò che è vero e buono, generosamente disposti a collaborare a tale scopo con gli altri» (DH 8).

Il Concilio infine, ispirandosi all’insegnamento di s. Paolo (cf. Rm 8,19ss), ricorda che la liberazione profonda e definitiva dell’uomo con tutto il creato avverrà alla fine dei tempi, nell’era escatologica, quando il Signore creerà cieli nuovi e una terra nuova, rendendo i credenti partecipi della sua gloria divina: «Sappiamo, però, dalla rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova, in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono nel cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i figli di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato nella debolezza e corruzione rivestirà l’incorruzione; e restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà, che Dio ha creato appunto per l’uomo» (GS 39).

Nella liturgia della Chiesa secondo il rito romano la libertà umana e la liberazione dal male formano un tema importante della preghiera ufficiale comunitaria. Il celebre “Preconio pasquale” della veglia di Pasqua canta la liberazione del popolo di Dio dalla schiavitù, riattualizzando in prospettiva cristiana i prodigi del primo esodo degli ebrei, per cui con la morte e risurrezione di Gesù i figli della Chiesa sono riscattati dalla schiavitù del peccato e consacrati all’amore del Padre: «Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, che con il suo sangue consacra le case dei fedeli. Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri padri, dalla schiavitù dell’Egitto e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre e li unisce nella comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro. O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio! » (v. Messale Romano).

Nella preghiera liturgica dei “riti di comunione” che commenta l’ultima domanda del “Padre nostro”, implora la grazia della liberazione da ogni male, per sperimentare la libertà dal peccato: «Liberaci, o Signore, da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato».

Il Breviario continuamente nei “tempi forti” e nel “tempo ordinario” ci invita a pregare per il dono della libertà in tutte le sue dimensioni: naturale, sociale, religiosa, soprannaturale, per essere liberati dalla schiavitù del peccato, del male, dei condizionamenti culturali del mondo. Evidentemente la richiesta più frequente ha per oggetto la liberazione dall’influsso venefico del Maligno e dalle catene dei vizi e delle colpe morali. Nelle orazioni liturgiche alcune volte il Padre è presentato come fonte e origine dell’autentica libertà e perciò è invocato come il liberatore dal male e dal peccato: «Accogli con bontà, o Signore, la preghiera mattutina della Chiesa e illumina con il tuo amore le profondità del nostro spirito, perché siano liberi dalle suggestioni del male coloro che hai chiamati allo splendore della tua luce». «Salga a te, Dio misericordioso, la voce della tua Chiesa e fa’ che il tuo popolo, libero dalla schiavitù del peccato, ti serva con amore e viva sicuro nella tua protezione» (III,711.994).