Letture festive – 99. Avvicinarsi – 19a domenica del Tempo ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

19a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 13 agosto 2023
Dal primo libro dei Re – 1Re 19,9a.11-13a
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 9,1-5
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 14,22-33


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letture festive 99

Nell’episodio che descrive l’avvicinarsi reciproco tra Elia e il Signore Dio, quella che viene messa radicalmente in discussione è l’idea stessa che il profeta si è fatto finora di Dio, idea che anche per noi, lettori con Dio o senza Dio, contribuisce a definire il nostro modo di avvicinarci a ciò che, in un modo o nell’altro, la parola Dio indica per ciascuno di noi. Elia, infatti, come racconta il primo libro dei Re nei capitoli precedenti, ha sperimentato la vittoria trionfale sui nemici di Dio, culminata con la spietata uccisione dei profeti di Baal sul monte Carmelo. Questa esperienza lo ha abituato a un Signore Dio vittorioso e violento, onnipotente e protettivo verso i propri servitori fedeli, tra i quali Elia ritiene di poter includere anche sé stesso. Ma questa immagine di Dio si è drammaticamente incrinata con la persecuzione alla quale Elia è stato sottoposto da parte della regina Gezabele, che lo ha costretto alla fuga. Stremato e sfiduciato, Elia è arrivato al monte di Dio, quello stesso Oreb dove la tradizione biblica colloca un altro avvicinarsi fondante per la fede biblica: quello tra Mosè e il Signore Dio. Anche per Mosè l’Oreb è stato il luogo di un duplice avvicinarsi, prima al Dio misterioso che al roveto ardente si definisce come il “sarò colui che sarò” e poi al Dio che dal fuoco parla per stabilire con il popolo l’alleanza basata sul dono della legge, ma che si adira con il medesimo popolo infedele fino a volerlo distruggere. Per Elia è come se si riproponesse la duplice e ambivalente teofania già sperimentata da Mosè, ma in una successione invertita: prima le possenti manifestazioni naturali nelle quali tipicamente le religioni riconoscono l’avvicinarsi del divino: vento impetuoso, terremoto e fuoco. Ma, come ripete il testo biblico: il Signore non era nel vento, non era nel terremoto, non era nel fuoco. L’avvicinarsi del Signore è invece e infine in quello che viene chiamato il sussurro di una brezza leggera e che la biblista Laura Invernizzi propone di tradurre come “voce di un silenzio che si frantuma”. Se i con Dio possono leggere in questo testo la inafferrabilità stessa di Dio, ai senza Dio questa pagina suggerisce, da una parte, quanto possano essere multiformi e contrastanti tra loro le rappresentazione umane di Dio e, dall’altra, come una forma matura di avvicinarsi alla realtà di Dio possa essere precisamente quella di riconoscerla nel frantumarsi delle sue figure tradizionali per lasciare il posto a un silenzio che però rimane abitato – per chiunque voglia porsi in ascolto – dalla voce delle parole bibliche.

Paolo descrive ai cristiani di Roma una sua personale e drammatica esperienza interiore: quella di una dolorosa lacerazione rispetto a due movimenti di avvicinamento, vissuti però come alternativi e che sembrano escludersi reciprocamente. Si tratta, da una parte, dell’avvicinarsi a Cristo, al quale Paolo è arrivato a legare profondamente l’intera esistenza, mentre, dall’altra parte, si tratta del proprio avvicinarsi ai fratelli israeliti e – tramite loro – alla comunità e tradizione culturale e religiosa da cui lo stesso Paolo proviene e alla quale, in realtà, non ha mai cessato di appartenere. Ciò che Paolo sperimenta come una sofferenza continua dipende dalla profonda attrazione che Cristo da una parte e gli israeliti dall’altra – quasi fossero poli magnetici contrapposti – esercitano su di lui, fin quasi a lacerarlo interiormente. A entrambe queste realtà Paolo vorrebbe avvicinarsi e da entrambe queste realtà vorrebbe essere avvicinato, ma in questo passo neotestamentario, in un modo sorprendente che probabilmente va inteso come provocazione paradossale, Paolo dichiara che vorrebbe essere separato da Cristo a favore dei suoi fratelli israeliti. Il testo non lo spiega chiaramente, ma sembrerebbe che questa separazione da Cristo che Paolo accetterebbe a favore dei fratelli israeliti, dovrebbe essere una separazione che consente infine a questi stessi fratelli israeliti di avvicinarsi a loro volta a Cristo. In questo modo il paradosso cristologico suggerito da Paolo sarebbe quello di un suo allontanamento da Cristo che misteriosamente consente un avvicinamento allo stesso Cristo da parte degli israeliti. Così troverebbe compimento la loro storia di salvezza, già così profondamente segnata – ricorda Paolo – da adozione a figli, gloria, alleanze, legislazione, culto, promesse, patriarchi. La conclusione del ragionamento di Paolo sottolinea peraltro come la stessa figura di Cristo provenga dalla medesima storia di salvezza. Se i con Dio possono vedere in questa paradossale dialettica di un avvicinarsi prodotto da un separarsi il dispiegarsi del disegno salvifico operato da Dio, i senza Dio possono trovare conferma di come il messaggio cristiano inviti a porre al primo posto l’avvicinarsi con dedizione ai fratelli – addirittura prima della salvaguardia delle specificità della propria e personale esperienza religiosa.

L’episodio dell’avvicinarsi di Gesù ai suoi, camminando sul lago, e del tentativo di avvicinarsi di Pietro a Gesù, costituisce per noi, lettori con Dio o senza Dio, una pagina decisiva sul rapporto di fede che è possibile stabilire con la figura di Gesù. Nel racconto dell’evangelista, Gesù sembra voler creare anzitutto e intenzionalmente una distanza tra sé stesso e i discepoli, che vengono costretti a salire sulla barca per dirigersi sull’altra riva, mentre lui se ne sta da solo sul monte. Questa premessa consente a Matteo di porre al centro del suo testo l’avvicinarsi di Gesù ai discepoli e il tentativo di Pietro di avvicinarsi a Gesù, due movimenti che possono essere interpretati in modi diversi e che suggeriscono le diverse forme che la fede può assumere, a seconda di quale sia la figura di Gesù che i discepoli si rappresentano. La scena decisiva si svolge sul lago divenuto un mare tempestoso a causa del vento contrario e simile quindi alla realtà quando talvolta ci appare priva di un senso e di una direzione predeterminati, quasi fosse un abisso minaccioso capace di inghiottire chiunque non sia in grado di attraversarne la superficie insidiosa rimanendo in piedi. In questa scena i con Dio potranno infatti riconoscere come degno di fede il Gesù davanti al quale prostrarsi in quanto Figlio di Dio, dotato di poteri divini grazie ai quali riesce miracolosamente a camminare sul mare in tempesta e a salvare un Pietro generoso ma ancora troppo poco credente. I senza Dio potranno invece riconoscere come la loro fede sia invitata a trovare la propria autenticità e verità in due passaggi fondamentali. Il primo passaggio consiste nell’accettare che l’avvicinarsi della figura di Gesù ai discepoli senza Dio si manifesti precisamente come l’avvicinarsi di colui che a prima vista potrebbe sembrare soltanto un fantasma, cioè il frutto di una visione illusoria e disincarnata, per il fatto di non essere una persona viva in carne ed ossa. Il secondo passaggio richiede – per avvicinarsi come discepoli senza Dio alla figura di Gesù – di basarsi quasi esclusivamente sulla fede fiduciosa nella sua parola. Si tratta della parola che nel vangelo lo stesso Gesù rivolge al discepolo Pietro, disposto ad avvicinarsi a lui camminando sul mare, quando gli dice: Vieni! Ma questa parola di Gesù, capace di avviare nel discepolo Pietro quell’avvicinarsi nella fede che consente di camminare sulle acque, ben presto viene sopraffatta in lui dalla paura che questa stessa parola da sola non sia sufficiente a sostenerlo nel cammino sul mare in tempesta. Per evidenziare questa poca fede di Pietro, Matteo fa intervenire allora un rassicurante e tangibile Gesù in carne ed ossa che, mentre Pietro sta affondando nel mare, si avvicina afferrandolo per un braccio e quindi salvandolo non attraverso una parola di cui fidarsi ma attraverso la concretezza di un gesto miracoloso diretto alla fisicità del corpo di Pietro. La fede dei senza Dio – forse più ancora di quella dei con Dio – è consapevole di dover imparare a fidarsi e affidarsi precisamente alla parola del Gesù evangelico, una parola che, in certi momenti, si sarebbe tentati di sminuire o di ritenere insufficiente, quasi fosse quella della figura poco concreta di un fantasma disincarnato, privo di corpo e di storia. A questa tentazione noi discepoli con Dio o senza Dio che ci troviamo sulla barca – tanto quella della chiesa quanto quella del nostro pianeta ondeggiante sull’abisso – siamo invitati a reagire lasciandoci interpellare dalla domanda rivolta da Gesù a Pietro: uomo di poca fede, perché hai dubitato?

Riferimenti:

Laura Invernizzi, La solitudine di Elia, conferenza del 2020 a Carpi
promossa dal Centro Informazione Biblica
e trascritta nel volume Il silenzio di Dio, Edizioni San Lorenzo, Reggio Emilia 2021