La liturgia non è un guscio

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

 

Indubbiamente il rapporto tra missione evange­lizzatrice della chiesa e liturgia  è stato compreso e vissuto con accenti differenti in questo mezzo secolo segnato dalla riforma del concilio Vaticano II. Non avrebbe potuto essere altrimenti, anche perché si è verificato un grande mutamento della presenza del­la comunità cristiana nel mondo, mutamento che si potrebbe sintetizzare nell’espressione “dalla cristia­nità a una chiesa di minoranza”, almeno nel nostro occidente. Negli anni settanta-ottanta del secolo scorso si sen­tiva il bisogno di reagire contro una certa “sacramen­talizzazione”, ritenuta eccessiva e spesso proposta senza un’ adeguata preparazione: per questo si registrò una sorta di opposizione ideologica tra evangelizza­zione e liturgia. Oggi invece, in una situazione carat­terizzata da una forte secolarizzazione ma anche da un’intensa ricerca spirituale, abbiamo compreso che “un’evangelizzazione che non si fonda sulla liturgia e sui sacramenti non porta i frutti desiderati” ; pro­prio la liturgia, infatti, può essere evangelizzatrice, svolgendo addirittura un ruolo di “iniziazione” per quanti, non conoscendo la fede cristiana, assistono alle celebrazioni sacramentali dei cristiani in occasio­ne degli eventi salienti dell’esistenza umana. Non si può inoltre dimenticare che oggi molti giungono alla fede attraverso itinerari complessi, in cui la cele­brazione liturgica ha un ruolo fondamentale, né che per moltissimi l’unica fonte di evangelizzazione nel­la loro vita è costituita dalla liturgia eucaristica do­menicale. Affermare che la liturgia può essere proposta come un cammino di evangelizzazione è dunque innanzi­ tutto un obbedire al realismo. Ciò però va fatto con la dovuta cautela. A cosa mi riferisco?  Oggi l’esigen­za di pensare l’annuncio del vangelo in stretta rela­zione con la liturgia è sentita e affermata, ma occorre vigilare per non correre il rischio di strumentalizza­re la liturgia, di ridurla allo statuto di discorso pe­dagogico. Annuncio e celebrazione sono indissocia­bili, ma se era certamente errato porre la liturgia al termine dell’itinerario di evangelizzazione, come si pensava negli anni settanta (anche da parte del ma­gistero!), oggi è ugualmente errato ridurre la liturgia a strumento di catechesi. Si faccia attenzione: c’è il rischio di passare da un annuncio del vangelo, un annuncio pre-liturgico e a volte a-liturgico, a una li­turgia pensata solo come annuncio e pedagogia.
Negli anni cinquanta il teologo evangelico olan­dese Johannes Christiaan Hoekendijk formulò le tre istanze essenziali della vita ecclesiale mediante la trilogia martyria-koinonia-diakonia, ma noi oggi com­prendiamo bene come queste funzioni debbano ave­re la loro fonte e il loro culmine nella liturgia. Senza di essa, infatti, sono condannate a essere funzioni ri­piegate su di sé e in un certo senso riduttive, in par­ticolare senza la tensione verso il culmen che la litur­gia celebra ed epifanizza: la comunione con il Signore, la partecipazione al mistero di Cristo, l’essere il suo corpo tra gli uomini. Con convinzione gioiosa torniamo sempre a ribadire le parole di Sacrosanctum concilium   “La liturgia è il culmine verso cui ten­de l’azione della chiesa e, insieme, la fonte da cui promana tutta la sua virtù”. Sì, è nella celebrazione della liturgia che la chiesa riceve e apprende la sua missione. Come non ricordare in proposito che negli Atti degli apostoli la missio degli inviati per eccel­lenza, degli “apostoli” Barnaba e Saulo, è avvenuta proprio durante la liturgia (cf. At 13,1-3)?
Già Pio XI, ricevendo in udienza Bernard Capel­le, monaco benedettino di Maredsous e poi abate di Mont-Cesar, dichiarò: “La liturgia è una grande cosa. È il più importante organo del magistero ordinario della chiesa” . Recentemente Benedetto XVI ha af­fermato che liturgia e missione sono legate in modo indissociabile: “L’eucaristia non è solo fonte e culmine della vita della chiesa; lo è anche della sua mis­sione … Anche noi dobbiamo poter dire ai nostri fratelli con convinzione: ‘Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi’ (1Gv 1,3)”. Dal can­to mio, vorrei sottolineare che non c’è solo una prio­rità della liturgia sulla martyria  -la testimonianza tra gli uomini -, sulla koimonia – che è comunione e ra­duno dei figli di Dio dispersi (cf. Gv 11,52) -, sulla diakonia – cioè il servizio svolto nella storia -, e que­sto perché la qualità della liturgia è ispirante: la li­turgia stessa è proposizione della fede, la celebrazio­ne del mistero della fede è atto di evangelizzazione. Al cuore della liturgia eucaristica professiamo proprio questa verità, celebrando l’eucaristia secondo l’invito paolino: “‘Mistero della fede!’. ‘Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resur­rezione, nell’attesa della tua venuta”’. Sì, la liturgia stessa contiene l’annuncio e lo attualizza rendendo operante la salvezza pasquale offertaci da Cristo.
Dunque una vera evangelizzazione è consapevole che la norma della liturgia, la lex orandi, diventa la norma della fede, la lex credendi, in un senso più profondo e radicale di quello dottrinale: ovvero, la li­turgia genera e alimenta l’atto di fede. Lo testimo­nia il rito del sacramento del battesimo, che inizia con la domanda del celebrante: “Quid petis ab ec­clesia Dei?”, cui il candidato risponde: “Fidem” .  “Come la liturgia evangelizza?”, ci chiediamo. Per rispondere a questa domanda vorrei tenere presente un’immagine utilizzata dal teologo riformato sviz­zero Jean -Jacques von Allmen , l’immagine della sistole e della diastole del cuore della chiesa che è l’eucaristia. L’eucaristia è un movimento di raduno in assemblea dei figli di Dio dispersi e nel contempo, è un movimento di missione nella città degli uomini: queste due azioni hanno una natura sacramenta­le. Tenendo presente questa duplice polarità, ci chie­deremo

  1. come la liturgia evangelizza la chiesa;
  1. come la liturgia evangelizza ispirando la vita spi­rituale;
  1. come la liturgia evangelizza quanti vi partecipa­no o a essa assistono, senza essere approdati a una vita cristiana ecclesiale.
  1. Come la liturgia evangelizza la chiesa

A questo proposito vorrei in primo luogo, con mol­ta umiltà, fare una constatazione che è anche una domanda: abbiamo alle spalle alcuni decenni segna­ti dall’impegno nell’evangelizzazione da parte della chiesa, eppure registriamo la sterilità e la scarsa efficacia di questo sforzo. Potremmo addirittura par­ lare di un “insuccesso catastrofico”, soprattutto nella catechesi, come ha osato fare qualche anno fa l’allora cardinale Joseph Ratzinger . Nel cercare una diagnosi di questo risultato, mi sentirei di osservare che di fatto all’impegno di molte energie per l’evan­gelizzazione degli altri spesso è corrisposta l’evasio­ne della domanda preliminare, assolutamente neces­saria, circa la chiesa: essa è evangelizzata, viene con­tinuamente evangelizzata?

L’evangelizzazione è destinata a tutti perché la missione della chiesa, per volontà del Signore, è uni­versale (cf. Mt 28,19); ma è altrettanto vero che ci deve essere un’evangelizzazione continua della chiesa, ‘intendendo questo genitivo in primo luogo come genitivo oggettivo.

Solo una chiesa evangelizzata può essere una chiesa evangelizzante, una chiesa capa­ce di trasmettere ciò che essa ha ricevuto; solo dei cristiani evangelizzati saranno abilitati a evangelium tradere, a portare il vangelo agli altri. Non si può di­menticare che proprio la chiesa, l’ekklesia, è una realtà costituita da chiamati, ek-kletoi; né che il termine ebraico qahal (Dt 9,10; 18,16, e passim), che sarà tradotto in greco appunto con ekklesia, è imparentato con il termine qol, “voce”, e dunque desi­gna non tanto un’assemblea quanto una convocazio­ne frutto di una voce che risuona, parla e chiama in­sieme. Una chiesa evangelizzata è la comunità che si lascia chiamare, radunare dal Signore, che sta alla sua presenza in adorante ascolto della sua Parola, la quale è buona notizia: solo se la chiesa sa ricevere in modo non passivo ma attivo la Parola – cioè come chi sa accoglierla, meditarla; custodirla e osservarla saprà anche trasmetterla. In questo senso, quasi quarant’anni fa nella sua esortazione apostolica Evangelii nuntiandi Paolo VI ha tracciato in modo adeguato e corretto la relazione  tra chiesa ed evan­gelizzazione:

Evangelizzatrice, la chiesa comincia con l’evange­lizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore … Ciò vuol dire in una parola, che essa ha sempre bisogno di essere evangelizzata, se vuole conservare freschezza, slancio e forza per annunciare il vangelo .

Ma in un tentativo di diagnosi dello scarso risul­tato dello sforzo evangelizzatore, oso anche denun­ ciare la non sufficiente attenzione alla liturgia co­me luogo di evangelizzazione. In questi decenni si è taciuto troppo sull’importanza del contesto liturgi­co come luogo di evangelizzazione: eppure proprio nella liturgia Cristo, il Kyrios, è presente, vivente e “parla”, consegna la buona notizia del vangelo. C’è una capacità evangelizzatrice della liturgia che va assolutamente riscoperta e riconfermata. Se la litur­gia è fons et culmen di tutto l’essere e l’operare della chiesa, essa è anche il luogo per eccellenza in cui si origina la trasmissione della buona notizia, è il “si­to” per eccellenza della ricezione del vangelo. La liturgia è l’evento in cui la Parola contenuta nelle Scritture risuscita, rivive sicché è il Signore stesso che parla, qui e ora e la comunità dei catecumeni, dei credenti e dei battezzati riceve la sua Pa­rola; la liturgia è il luogo in cui si fa esperienza del­ l’ exousia  di Cristo che parla; la liturgia è il luogo  in cui si fa esperienza della salvezza, l’unica esperienza di salvezza possibile nelle realtà penultime che è la remissione dei peccati, come cantiamo ogni mat­tina nel Benedictus (” … la conoscenza della salvezza nella remissione dei peccati”: Lc l,77); la liturgia è il luogo in cui si risponde alla buona notizia ricevuta con l”‘amen” esultante della fede rivolto al Ky­rios che sta in mezzo alla sua comunità.
Ma la chiesa non è evangelizzata solo quando, aper­te le sacre Scritture  (cf.Lc-24,-32.45 ) queste vengo­no proclamate e, con l’omelia, sono spiegate. Lo è anche  in tutta la liturgia celebrata e vissuta da ogni cristiano con l’unità del suo essere fatta di corpo e di spirito. Infatti la liturgia è innanzi tutto “azione” e “azione comune”, celebrazione, e proprio in quanto tale evangelizza. Potremmo dire che la liturgia “evan­gelizza facendo”, non “fare” qualsiasi, ma con unazione simbolica, e con la sua capacità performa­tiva conduce i fedeli al cuore dei mysterium fidei. È un’azione  tutta tesa a lasciar trasparire la presenza e l’azione del Signore in mezzo alla sua chiesa, un’ azio­ne che lascia parlare i segni attraverso i quali avvie­ne una relazione trasformante con Dio, rivelando ciò che è essenzialmente umano nella nostra esistenza. Si pensi soltanto alla capacità della liturgia di “nar­rare” la nascita, le storie dell’ amore, la malattia, la  morte; si pensi all’acqua, all’olio, al pane spezzato,  al vino condiviso, al fuoco della notte pasquale:
La liturgia chiama a raccolta tutte le facoltà comunicative dell’uomo, ricorre a diversi codici linguistici: dal codice verbale, a quello sonoro e musicale, a quello cinesico (relativo ai gesti), a quello tattile (abbraccio di pace, unzioni … ), a quello olfattivo, a quello gustativo, a quello iconico, eccetera. Davvero nella liturgia, e solo in essa, avviene l’evangelizzazione di tutti i nostri sensi, perché i riti  e le parole che li accompagnano provocano la loro apertura, il loro esercizio e li conducono dal mistero celebrato al mistero rivelato.
Nelle grandi visioni profetiche dell’ Apocalisse (cf. Ap 4-5, e passim) è proprio la liturgia a essere luogo e strumento di rivelazione, in cui si alza il velo e si comunica la buona notizia, si svela il mistero di Cri­sto. Perché abbiamo imparato da essa così poco? E ancora: non è forse nel corso della frazione del pane che i primi discepoli di Gesù, ancor prima che fossero date alla chiesa le sante Scritture del Nuovo Te­stamento, hanno ricevuto il vangelo dai testimoni di Gesù? Non è stata forse la liturgia il crogiuolo in cui sono state generate le sante Scritture ?
Proprio nella liturgia avviene in modo efficace e veramente adeguato la trasmissione; la tradizione, la tradition: tradizione  ‘innanzi tutto della buona notizia che è Gesù Cristo stesso (cf. Mc l,1; 8,35; 10,29).  C’è qui un insegnamento da accogliere dalle chiese dell’ oriente, anche se nello scambio dei doni pure noi possiamo dare loro un contributo: esse ci ricor­dano che di generazione in generazione ciò che ha più forza performativa nella trasmissione della fede è la  1iturgia, che la liturgia è la “teologia prima”, il luogo per eccellenza dell’educazione alla fede, e noi ricordiamo loro che nella liturgia ciò che deve avere egemonia e centralità è il vangelo, la buona notizia contenuta nelle sante Scritture.

Nella fede cristiana l’alveo, il sito delle sante Scritture è la liturgia ed è soprattutto in quest’ alveo che si attua la tradizione, perché in essa l’ascolto, che è ricezione della tradizione, è l’azione liturgica per eccellenza, è l’unica azione cultuale voluta da Dio. Non si possono dimen­ticare, al riguardo, le penetranti parole pronunciate da Dio tramite il profeta Geremia:

Dice il Signore dell’universo, Dio d’Israele: “Ag­giungete pure i vostri olocausti ai vostri sacrifici e mangiatene la carne! Io però non parlai né diedi ordini sull’olocausto e sul sacrificio ai vostri padri, quando li feci uscire dalla terra d’Egitto, ma ordi­nai loro: ‘Ascoltate la mia voce, e io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo; camminate sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici'” (Ger 7,21-23).

Dunque la lex orandi – la pratica della liturgia – è come l’ambiente vitale in cui si vivono e si rinnova­no la lex credendi -la fede confessata – e la lex vivendi -la pratica cristiana nell’esistenza umana

  1. Come la liturgia evangelizza ispirando la vita spirituale

Permettetemi di confessare tutta la mia preoccu­pazione, vorrei anche dire la mia sofferenza, per quel­la che può essere definita una permanente divarica­zione tra liturgia e spiritualità anzi per un misconos­cimento del rapporto tra liturgia e spiritualità del credente . Chi come me per ragioni anagrafiche ha conosciuto una vita cristiana alimentata dai “pia po­puli christiani exercitia” , da devozioni e manife­stazioni della pietà popolare, ha nutrito grandi spe­ranze nell’ora della riforma liturgica: in quell’ora in­fatti si scopriva e si assumeva la convinzione che la vita spirituale personale del cristiano deve avere come fonte la Parola donata da Dio alla chiesa innanzitutto nella liturgia eucaristica, nella liturgia delle ore e nei sacramenti. Come non confessare che la re­staurazione della veglia pasquale voluta dalla riforma  di Pio XII all’inizio degli anni cinquanta cambiò an­che la nostra spiritualità, ponendo al suo centro il mi­stero pasquale, il mistero della morte e resurrezione del Signore Gesù? Fu proprio la mia generazione a te­nere sul comodino come libro eccellente di preghie­ra personale il messalino nelle edizioni prima del Ca­ronti, poi del Lefebvre, infine, in gioventù, quello del Feder.
L’eucologia delle collette del tempo liturgico e per le varie necessità, e la liturgia delle ore dome­ nicale erano la fonte della nostra spiritualità.
Ma cosa è successo dopo, in contraddizione con l’intenzione della riforma liturgica e l’amplissimo materiale che essa poneva a disposizione di ogni cristiano quale fonte della vita spirituale? Perché i giovani, anche quelli più consapevoli nella fede, oggi non possiedono più il messalino e non si nutrono più della liturgia? Perché in Italia le diocesi e i loro uffici liturgici, quando vi è un’ assemblea diocesana, o di presbiteri, o di religiose, anziché celebrare la li­turgia delle ore preferiscono fabbricare, sovente con dilettantismo, delle liturgie in cui non si è più capaci di esprimere una lex orandi?
Già all’inizio del xx secolo Pio X affermava che la prima e indispensabile fonte alla quale i fedeli si radunano per attingere il vero spirito cristiano è la partecipazione attiva ai sacrosanti misteri e alla pre­ghiera pubblica e solenne della chiesa , e Giovan­ni Paolo II lo ha riconfermato con queste parole: “Niente di tutto ciò che facciamo noi nella liturgia può apparire come più importante di quello che in­ visibilmente, ma realmente fa il Cristo per l’opera del suo Spirito” Eppure nella spiritualità attuale – basta leggere gli autori “spirituali” più in voga – il riferimento alla liturgia è assente: ci sono addirittu­ra  libri, trattati sulla preghiera che non fanno alcun  riferimento alla liturgia, come se preghiera e liturgia  fossero estranee l’una all’altra! Sono contento che si parli del rapporto tra Bibbia e spiritualità, che si parli della lectio divina, ma vorrei che lo stesso sforzo fatto da alcuni vescovi, da alcune chiese locali e da molti fedeli per la lectio fosse accompagnato da un’atten­zione, da un impegno a favore della liturgia, la fonte della spiritualità: tutto questo nella consapevolezza che il sito privilegiato per accogliere la Parola è proprio la liturgia!   

Si legge nel nr. 90 della Sacrosanctum concilium: “La preghiera pubblica della chiesa sia la fonte del­la pietà e l’alimento della preghiera personale”. Va detto che questa affermazione non ha fin qui trovato un’ attuazione e attende nel prossimo futuro un im­pegno serio da parte di tutte le chiese locali. Negli anni a venire la liturgia dovrà rispondere alla doman­da di un’ atmosfera orante, senza per questo cadere in espressioni devote e intimistiche. Sì, questa diva­ricazione tra liturgia e vita spirituale – mi rincresce dirlo – è anche dovuta alla responsabilità di operatori liturgici e pastorali che di fatto non riconoscono alla liturgia la qualità di fonte della teologia, della spiri­tualità e, di conseguenza, della pastorale.

Così la spi­ritualità è sempre più narcisistica, sempre più preoc­cupata di fornire soluzioni terapeutiche, sempre più individualista e, come tale, è un elemento che osta­cola l’assiduità, la partecipazione alla liturgia della chiesa, che è “partecipazione attiva”, “actuosa par­ticipatio” , quando riesce a nutrire, cioè a essere ac­colta come cibo nella vita di fede del credente. Perché nella liturgia cristiana si tratta di accogliere, non di dare; si tratta di diventare soggetti di fede, speranza e carità, non di fare.

I cristiani oggi vogliono trovare nella liturgia il luo­go in cui sperimentare ciò che la fede permette di vi­vere, ciò che può ispirare e plasmare il loro comportamento, ciò che essi possono sperare e dunque testi­moniare. La liturgia dovrebbe essere il luogo in cui accade che Gesù Cristo  parla e chiama: “Se tu vuoi … vieni e seguimi… alzati e cammina… andate … “, non nell’intimità individualistica nutrita da letture devote o nell’ ambito di assembramenti in cui non si te­stimonia la presenza del Signore e il risuonare della sua “Parola viva ed efficace” (cf. Eb 4,12), ma si af­ferma piuttosto: “C’ero anch’io!”. No, la liturgia deve  ricreare la situazione in cui il Signore chiama e il  credente risponde con il suo “amen”.

3· Come la liturgia evangelizza quanti vi partecipano o a essa assistono

Infine occorre anche affermare che la liturgia può essere un cammino di evangelizzazione percorribile, specialmente oggi, nelle nostre città. Va riconosciu­to che la liturgia svolge un ruolo di iniziazione, comunica qualcosa della presenza di Dio agli uomini e alle donne del nostro tempo, soprattutto ai giova­ni che sono lontani dal cristianesimo. Per ritornare all’immagine usata in sede di introduzione, nella li­turgia non c’è solo il movimento della sistole ma an­che quello della diastole, perché i segni liturgici pos­sono essere eloquenti e la Parola che risuona nella liturgia può raggiungere quanti, per molte ragioni, vengono in contatto con la Parola stessa, la cui corsa verso il cuore degli uomini (cf. 2Ts 3,1) è conosciuta solo da Dio.
Si tratta di un elemento originale del culto cristia­no perché esso, come affermava Ratzinger nel suo intervento all’ ottantunesimo Katholikentag tenuto a Bamberg nel luglio del 1966, è “essenzialmente an­nuncio della buona notizia di Dio alla comunità riu­nita in assemblea e accoglienza di essa da parte del­la comunità che risponde” . In quell’occasione egli affermava ancora: “Purificando la Parola dal suo ca­rattere rituale per ridonarle il suo carattere di Paro­la, la riforma liturgica ha compiuto un atto di impor­tanza decisiva … La Parola si era svuotata diventando rito, e la riforma liturgica non ha fatto altro che rimettere in valore la verità della Parola e, nello stes­so tempo, del culto della Parola” .
Questo tema del “culto secondo il Logos”, che  riprende l’espressione paolina loghikè latreia (Rm 12,1), è caro a Ratzinger e sovente l’attuale papa è tornato su di esso, con precisazioni penetranti, in quanto egli è convinto – sono ancora parole sue che “la liturgia non significa isolamento nel silenzio della preghiera individuale ma prossimità gli uni agli altri per unirsi al noi dei figli di Dio che insieme di­cono ‘Padre nostro”; che “la liturgia non consiste nel riempirci del sentimento del sacro, per mezzo di fremiti e di allusioni, bensì nel metterei di fronte alla spada tagliente della parola di Dio (cf. Eb 4,12)”.
Infatti è Cristo che parla quando si proclamano le Scritture che contengono la Parola; non solo, è il Signore, il Kyrios che opera, agisce, crea l’evento di salvezza,  fa sì che la Parola proclamata e accolta si compia negli orecchi di chi ascolta (cf. Lc 4,21). Quante volte è proprio la Parola che risuona nella liturgia a raggiungere uomini e donne non cristiani o lontani dalla chiesa, ma che partecipano a funerali, battesimi, matrimoni: uomini e donne per i quali l’unica occasione di un contatto con il cristianesimo è proprio la liturgia a cui “assistono”.
Oltre alla Parola proclamata, anche la semantica umanissima dei sacramenti può diventare eloquente non solo per i fedeli: è l’esperienza umanissima del­la comunione con Dio che – come già si accennava in precedenza – coinvolge tutti i sensi del corpo. Il corpo che ognuno di noi è nella liturgia, luogo pe­r eccellenza della comunione con Dio, è destinato a diventare dimora di Dio, luogo in cui sperimentare la grazia e la forza della salvezza che egli ci dona. Il corpo immerso nell’acqua del battesimo; il corpo un­to dal santo crisma; il corpo che riceve il pane e il vino, ossia il corpo e il sangue di Cristo che nel me­tabolismo eucaristico trasformano chi li assume in corpo di Cristo; la crismazione che abilita alla missione o l’unzione che accompagna il credente nell’o­ra del suo esodo pasquale; il fuoco e la luce segni della Pasqua di Cristo: tutti questi segni, se vengo­no celebrati con la serietà propria di un’ autentica ars celebrandi, possono iniziare, educare alla fede …

Dobbiamo essere convinti che nella liturgia, so­prattutto nella liturgia eucaristica, è presente il mistero di Cristo che agisce per radunare e unire al Pa­dre i figli di Dio dispersi e li attira tutti a sé (cf. Gv 12,32). Ecco la scaturigine dell’ evangelizzazione, perché “l’assemblea non celebra se stessa: al centro  della liturgia non c’è l’assemblea ma il mistero pa­squale”  che opera tra gli uomini, a favore dell’uma­nità tutta e del cosmo intero. Se non si crede a que­sto, l’evangelizzazione è condannata a essere nien­t’altro che propaganda!

Conclusione

A conclusione della nostra riflessione vorrei ri­cordare un gesto liturgico che è icona dell’evangelizzazione in atto da parte della liturgia, un gesto che non dovrebbe mai mancare nelle celebrazioni presiedute dal vescovo, ma che potrebbe essere vissuto anche nelle parrocchie: è la liturgia che ha per protagonista  l’evangeliario, il libro della parola di Dio che è Gesù Cristo.
È una liturgia che coinvolge codici non verbali e verbali, che evoca quella contemplata nell’ Apocalisse di Giovanni: l’Agnello prende il libro dalla mano destra di Dio che siede sul trono, poi ne apre i sigilli per svelarlo alla chiesa (cf. Ap 5,1-14)·
Che cosa ci testimonia questo gesto liturgico? C’è un libro, un libro che attira gli sguardi per la sua bel­lezza artistica e il suo splendore, che processional­mente è portato verso l’assemblea: gli occhi di tut­ta l’assemblea si volgono al libro, lo seguono nel suo itinerario, con l’intensità quasi commossa di chi “ve­de” ciò che del Signore si può vedere, la sua Parola (cf. Es 20,18).

La parola di Dio che convoca e chiama inizialmente è nel grembo dell’assemblea, quando il libro è deposto sull’altare. Poi al canto dell’Al­leluia l’evangeliario è portato dall’altare all’ambone, e qui vengono aperti i suoi sigilli. Allora il lettore ri­suscita la Parola, mediante un’operazione che è so­ prattutto pneumatica, azione dello Spirito di Dio, di cui è segno lo spirito dell’uomo. Il soffio del lettore passa sullo “sta scritto” impresso nel libro, lo risuscita in parola indirizzata all’assemblea, sicché la buo­na notizia è proclamata, risuona negli orecchi dei cre­denti e può essere accolta nei loro cuori: “Oggi si compie per voi questa Scrittura che avete udito con i vostri orecchi” (cf. Lc 4,21). Questo segno liturgi­co è narrazione iconica, e insieme verbale e gestua­le, dell’evangelizzazione, della corsa della parola di Dio che non conosce confini.

Cari fratelli e care sorelle, le nostre liturgie siano sempre più autentiche, vissute con consapevolezza, capaci di trasformarci evangelizzandoci ed educan­doci. Allora saranno – come dice Paolo – “preghiera affinché la parola del Signore corra nel mondo e sia glorificata come presso di noi” (cf. 2Ts 3,1).