Letture festive – 80. Profezie – Domenica delle Palme: Passione del Signore – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Domenica delle Palme: Passione del Signore – Anno A – 2 aprile 2023
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 21,1-11
Dal libro del profeta Isaìa – Is 50,4-7
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési – Fil 2,6-11
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo – Mt 26,14-27,66


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letture festive 80

Nella versione di Matteo, il racconto dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme presenta già i temi fondamentali propri del racconto matteano della Passione di Gesù. Questi temi riguardano l’adempimento delle Scritture profetiche, nella narrazione di un destino – quello di Gesù – che, pur presentandosi come quello di un re, si chiarisce progressivamente come quello di un profeta che va incontro alla propria morte. La folla che acclama Gesù come re nel suo entrare in Gerusalemme, nel rispondere alla domanda di tutta una città presa da agitazione – chi è costui? – definisce Gesù come profeta da Nazaret di Galilea. In questo modo viene già presentata la polarità che il racconto di Matteo mantiene in tensione: quella tra l’identità regale e il destino profetico del protagonista Gesù. Ma l’altro elemento decisivo è rappresentato dall’importanza e centralità dell’aspetto narrativo del testo, fino alla sua indipendenza rispetto a una eventuale storicità degli eventi narrati, dal momento che in realtà questi ultimi non costituiscono un elemento di interesse del testo evangelico. Con ciò si intende dire che non dobbiamo cercare qui la descrizione di eventi storici che sarebbero stati predetti dalle Scritture profetiche dell’Antico Testamento, come si potrebbe pensare interpretando in questo modo la frase ricorrente in Matteo: questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta. Ciò che abbiamo, invece, come prodotto di una raffinata pratica di scrittura, è una narrazione dell’evangelista che riscrive precedenti narrazioni evangeliche introducendo proprie e specifiche sottolineature teologiche. La polarità di cui dicevamo – re e profeta – così come il filo rosso del compimento delle Scritture profetiche sono appunto tra le principali sottolineature teologiche di Matteo, apprezzabili tanto da con Dio quanto da senza Dio.

Il passo di Isaia rappresenta uno dei testi veterotestamentari utilizzati dagli evangelisti per costruire il racconto della passione. Qui in particolare troviamo la descrizione di un servo del Signore con i tratti caratteristici del profeta: un orecchio da discepolo, capace di ascoltare, e una lingua da discepolo per rivolgersi a chi è sfiduciato, una capacità di resistere alle torture e di restare fedele anche nella persecuzione. L’inno paolino della lettera ai Filippesi, invece, descrive Cristo Gesù come una figura divina che nello svuotarsi in qualche modo della propria divinità, assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini e con un aspetto che lo fa riconoscere come uomo, affronta una morte di croce – priva di ogni riferimento a una qualche concretezza storico-terrena – morte di croce che diventa il motivo della sua esaltazione da parte di Dio. Anche in questa descrizione di un percorso di abbassamento e innalzamento possiamo riconoscere in qualche modo i tratti profetici di una figura che intende mettere in comunicazione una realtà umana bisognosa di salvezza con il mondo divino. I due testi, quello di Isaia e quello di Paolo, entrambi privi di riferimenti storici concreti e realistici, sono accomunati dalla descrizione di una dedizione alla propria missione che può ispirare con Dio e senza Dio.

Per l’evangelista Matteo la rappresentazione di Gesù come re acclamato dalla folla nel suo ingresso a Gerusalemme si ribalta rapidamente nel suo contrario, diventando oggetto della violenta parodia di una incoronazione regale da parte dei soldati che lo scherniscono; la regalità di Gesù ritorna poi nella narrazione come motivo della condanna scritto sulla croce e nell’insulto delle autorità religiose. Ma questa rappresentazione di Gesù come re viene molto rapidamente soppiantata dalla rappresentazione di Gesù come profeta che va incontro alla morte, circondato da personaggi che concorrono a questo esito, a partire da Giuda e da Pietro. Gesù profetizza, infatti, il tradimento da parte di chi condivide il pasto con lui e profetizza il triplice rinnegamento di Pietro prima che il gallo canti. La triplice richiesta di Gesù al Padre – che il calice della passione e della morte possa passare senza che lui lo debba bere – rimane senza risposta e ciò avvicina la condizione di Gesù a quella dei profeti veterotestamentari, con i momenti di crisi che attraversano per quel silenzio divino che sperimentano come unica riposta alle loro invocazioni. La stessa condanna di Gesù da parte delle autorità religiose sembra motivata dell’attività profetica di Gesù, cioè dalla profezia che gli viene attribuita – posso distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni – o anche la profezia che Gesù pronuncia davanti al sommo sacerdote – vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo – profezia che viene interpretata come una bestemmia. Alle profezie pronunciate da Gesù corrispondono due profezie, pronunciate da altri personaggi, ma di segno completamente opposto: la moglie di Pilato invita il marito a non aver a che fare con un Gesù che viene definito giusto, apparso a lei in un sogno che l’ha turbata; tutto il popolo, invece, davanti alla auto-dichiarata irresponsabilità di Pilato per il sangue di Gesù, si sostituisce in qualche modo a lui nel prendersi questa responsabilità, invocando una sorta di maledizione profetica su di sé e sulla propria discendenza. Ma vi sono almeno altri due episodi nel racconto della passione di Matteo che richiamano il destino dei profeti veterotestamentari e in particolare di quelli che vengono accusati di essere dei falsi profeti e dei millantatori, che in realtà non sono inviati da Dio e perciò non sono autorizzati a parlare in suo nome. Un primo episodio è quello del confronto e della scelta che Pilato propone tra Gesù e Barabba, il cui nome significa figlio del padre, dove il tema posto è precisamente quale sia – tra i due prigionieri l’autentico figlio, del quale Dio possa essere riconosciuto come Padre, al punto da motivarne la liberazione e la salvezza. Un secondo episodio è quello del triplice insulto che viene rivolto a un Gesù già crocefisso: l’insulto dei passanti, delle autorità religiose e dei due crocefissi con lui, che trattano Gesù come un millantatore e un impostore, sfidandolo a salvare sé stesso, scendendo dalla croce e mostrando in questo modo di essere figlio di Dio e re d’Israele. Non va dimenticato, infine, che il Gesù di Matteo muore dopo aver lanciato un grido che viene interpretato dai presenti come una chiamata al profeta Elia perché venga a salvarlo. Come si è detto all’inizio, il tema di Gesù come profeta si collega strettamente al tema dell’adempimento o compimento delle Scritture profetiche e per questo ritorna in diversi punti della narrazione di Matteo: l’annuncio da parte di Gesù della dispersione dei discepoli, il tentativo di difendere Gesù con il ricorso alle armi, il pagamento a Giuda per la cattura di Gesù. Ed è proprio la figura di Giuda che assume in Matteo un particolare rilievo, diventando quasi un co-protagonista, fino al racconto della sua morte. Giuda – che viene chiamato amico da Gesù – risulta alla fine l’unico che si assume la responsabilità del sangue innocente di Gesù, auto-infliggendosi poi una pena capitale, in quello che potrebbe essere anche essere visto come un gesto profetico-dimostrativo estremo che avvicina paradossalmente Giuda al suo maestro, nel morire e nel morire appesi a un legno. La narrazione di Matteo – come si diceva all’inizio – non intende infatti fare un resoconto storico di qualcosa che sarebbe avvenuto perché anticamente profetizzato, ma costruisce un racconto ispirato a testi veterotestamentari e profetici che rilegge e da cui trae ispirazione, racconto nel quale il lettore e ascoltatore è invitato a lasciarsi coinvolgere, per dare infine una risposta personale e responsabile. Si dovrebbe trattare però di una risposta radicalmente diversa da quella data dai personaggi ostili a Gesù, la cui preoccupazione convergente diventa quella di sorvegliare, dopo averlo sigillato una volta per tutte, il sepolcro dove Gesù è stato deposto. Per loro si tratta, anche e soprattutto, di sorvegliare e sigillare la sua storia e la sua memoria, ritenuta potenzialmente pericolosa. Da questo punto di vista, anche il – tu lo dici – che il personaggio Gesù rivolge ad alcuni interlocutori: Giuda e Pilato, li inserisce in una dinamica di dialogo con le Scritture alle quali è necessario dare un compimento, certamente attraverso un’adeguata interpretazione del testo, ma anche e soprattutto attraverso il vissuto concreto della propria esistenza e delle proprie scelte. In questo modo anche noi, con Dio o senza Dio, come i lettori di ogni tempo del vangelo di Matteo, siamo invitati – quasi fossimo interpellati dal tu lo dici di Gesù – a chiederci cosa diciamo noi di quanto leggiamo e ascoltiamo, per poi contribuire a nostra volta a dare, anche con il nostro vissuto, compimento evangelico alle Scritture profetiche.