Letture festive – 88. Responsabilità – Domenica di Pentecoste – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Domenica di Pentecoste Anno A – 28 maggio 2023
Dagli Atti degli Apostoli – At 2,1-11
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1Cor 12,3b-7.12-13
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 20,19-23


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letture festive 88

Lo Spirito è certamente uno dei protagonisti degli Atti degli Apostoli, questo libro che è insieme narrazione mitica di fondazione della comunità cristiana e narrazione utopica per delineare il futuro a cui vorrebbe aprire questa stessa comunità cristiana. Per questo il racconto del dono fondativo dello Spirito coincide fin da subito con il racconto della responsabilità utopica alla quale tutti i radunati insieme a Gerusalemme sono chiamati, attraverso la rappresentazione simbolica di lingue di fuoco che scendono su di loro, per abilitarli e soprattutto per responsabilizzarli a farsi comprendere nelle diverse lingue dei loro ascoltatori. La responsabilità, infatti – intesa come disponibilità a rispondere, facendosi carico di ciò che la risposta comporta – non può fare a meno di una lingua capace di parole vere e comprensibili per chi le voglia ascoltare. Si tratta, in questo caso, di una responsabilità personale ed ecclesiale che siamo invitati a fare nostra, in quanto lettori odierni e credenti, con Dio o senza Dio, di questo brano di Atti. Anche noi, infatti, ci troviamo ad affrontare oggi un cambiamento d’epoca non meno decisivo della transizione linguistico-culturale sulla quale Atti può gettare uno sguardo retrospettivo, trattandosi di un testo composto dal punto di vista di un cristiano e di una comunità di lingua greca, a transizione linguistico-culturale dal mondo ebraico ormai già completamente avvenuta. Per l’autore di Atti, la responsabilità personale ed ecclesiale si esprime – in quella specifica transizione epocale – in una varietà di forme che possono suggerire molto anche al nostro impegno di con Dio e di senza Dio chiamati ad affrontare con responsabilità personale ed ecclesiale il nostro attuale cambiamento d’epoca. Il cristianesimo presentato in Atti si caratterizza, perciò, in questo specifico racconto di Pentecoste e più in generale nella ispirazione che attraversa tutto il libro, per l’attenzione e l’impegno dedicato ad alcune pratiche che si potrebbero definire insieme fondative, responsabili e utopiche: coltivare il legame con le proprie radici ebraiche e in particolare bibliche, quelle di un cristianesimo che già appartiene al mondo ellenistico; comporre in modo inclusivo i diversi elementi che concorrono a delineare il messaggio cristiano e legittimare le diversità interne, nella loro pluralità anche conflittuale; ricercare intenzionalmente una continuità nella discontinuità con la propria tradizione religiosa di provenienza, in particolare esprimendo il messaggio cristiano attraverso una reinterpretazione delle Scritture ebraiche; custodire la destinazione universalistica della parola evangelica, nella sua apertura a una pluralità linguistica, culturale e religiosa, che si manifesta in particolare nella capacità di esprimere la novità cristiana utilizzando la lingua greca e i modelli letterari presenti nella cultura ellenistica dell’epoca.

Responsabilità può essere una chiave interpretativa anche del brano della lettera ai Corinzi. La prima responsabilità è quella alla quale si sentono chiamati tutti coloro che – rispondendo a quella che avvertono come un’azione dello Spirito – arrivano ad affermare con la propria vita, oltre che con la propria lingua, che Gesù è il Signore e cioè che la figura di Gesù assume per la loro esistenza un significato tale da orientarne e ispirarne la realizzazione. Ma per i con Dio e per i senza Dio questo dire nella fede Gesù è il Signore si rivela un dire responsabile solo se associato – nel vissuto personale ed ecclesiale – alla capacità di conciliare l’unità del medesimo riferimento a Gesù e allo Spirito con quella straordinaria diversità nella quale si esprime ogni realtà nella chiesa: doni, carismi, attività, membra, ministeri, manifestazioni dello Spirito per il bene comune. Questa diversità, che evidentemente già nelle comunità cristiane delle origini si presentava come una realtà da cogliere e – pur nella sua problematicità – da valorizzare, oggi è un elemento decisivo del cambiamento d’epoca che stiamo attraversando. Da questo punto di vista, la prima responsabilità alla quale nella comunità ecclesiale siamo tutti chiamati è quella di riconoscerci reciprocamente come battezzati, cioè immersi, in un solo corpo, pur nel nostro essere Giudei o Greci, schiavi o liberi, con Dio o senza Dio, perché, nella nostra sete di vita, tutti – come afferma Paolo – siamo stati dissetati da un solo Spirito.

Negli ultimi due capitoli del vangelo di Giovanni, Gesù, per stare nuovamente in mezzo ai suoi discepoli, deve superare le porte sbarrate di quel luogo esteriore ma soprattutto interiore dove gli stessi discepoli si sono rinchiusi per il timore di dover affrontare lo stesso destino di morte di Gesù. Quella dei discepoli, quindi, non sembra per nulla una condizione particolarmente disponibile a farsi carico di una nuova responsabilità. Ma il Gesù di Giovanni si mostra come uno che porta sul proprio corpo i segni del mortale supplizio cui è stato sottoposto. Ed è proprio questo unire i segni di un destino di morte e l’incontro con lui vivente, ciò che caratterizza la pace che Gesù offre ai suoi. Si tratta, infatti, di una pienezza di vita che è tale perché ha attraversato la morte – facendo in qualche modo pace con la morte stessa – e proprio per questo è diventata capace di comunicare vita. Così la pace che Gesù offre inserisce i discepoli nella sua stessa missione e questa pace diventa ciò che li rende capaci e insieme li responsabilizza rispetto alla missione per la quale sono inviati. Nel vangelo di Giovanni questa pace offerta da Gesù viene a coincidere di fatto con lo Spirito, che Giovanni rappresenta come il soffio di Gesù, ciò che esce dalla sua bocca di vivente, come parola e come respiro vitale e vivificante che infonde vita e respiro in esistenze che ne erano rimaste prive. La Pace, lo Spirito e il soffio di Gesù diventano qui un’unica realtà che affida ai discepoli una responsabilità decisiva: quella di rendere possibile nel mondo e per il maggior numero di persone quell’esperienza che viene definita come l’essere perdonati, riducendo invece al minimo il numero di coloro che sperimentano sé stessi come non perdonati. Pace, Spirito e Soffio di Gesù rappresentano, infatti, un’offerta di vita capace di attraversare la morte, offerta di vita che deve essere resa presente e disponibile per chiunque e che virtualmente deve poter essere sperimentata da tutti coloro che ne vengono raggiunti. Non vi è infatti alcuna simmetria tra il perdonare e il non perdonare, né si intende assegnare ai discepoli il potere di decidere in modo discrezionale a chi concedere e a chi non concedere il perdono. Pace, Spirito e Soffio di Gesù vengono comunicati universalmente e unicamente per perdonare e non per condannare. Per questo, la frase di Giovanni – i peccati,a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati – va intesa come l’invito a non porre alcun limite alla propria missione di diffondere il perdono. A chi, infatti, con Dio o senza Dio, accetta di lasciarsi coinvolgere nella missione di Gesù, spetta la responsabilità di non lasciare nessuno privo dell’offerta e della proposta di una vita piena, in quanto pacificata e perdonata.

Riferimenti:

Dennis E. Smith – Joseph B. Tyson Acts (a cura di), Acts and Christian Beginnings. The Acts Seminar Report, Polebridge Press, Salem (Oregon) 2013.

Le dieci principali acquisizioni del Seminario di studio, dedicato al possibile utilizzo come fonte storica del libro neotestamentario di Atti degli Apostoli, promosso dal Westar Institute in California tra il 2000 e il 2011 (in traduzione dall’introduzione al volume sopra citato, che ne raccoglie gli atti) sono le seguenti:

1. L’autore degli Atti è un esperto narratore/teologo che ha scritto un racconto con finalità decisamente apologetica [in particolare nei confronti della versione del cristianesimo proposta da Marcione e rispetto alla interpretazione marcionita di Paolo e delle sue lettere]
2. Il libro degli Atti è stato composto nei primi decenni del II secolo.
3. L’autore di Atti ha usato le lettere di Paolo come una delle sue fonti.
4. Ad eccezione delle lettere di Paolo, nessun’altra fonte storica attendibile può essere definitivamente identificata per il libro di Atti. Atti utilizza invece una varietà di “fonti” come Giuseppe Flavio, Omero, Virgilio e la versione biblica (veterotestamentaria) dei Settanta. Questi materiali, tuttavia, forniscono unicamente materiale di base o modelli letterari per il racconto di Atti. Non costituiscono di per sé delle fonti storicamente utilizzabili per la ricostruzione delle origini cristiane.
5. Gerusalemme non è stata il luogo di nascita del cristianesimo, contrariamente a quanto narrato in Atti, nei capitoli dall’1 al 7.
6. Atti non può essere considerata una fonte indipendente per la vita e la missione di Paolo. Si può invece affermare che l’uso delle lettere di Paolo come fonte è sufficiente per spiegare tutti i dettagli della vita e dell’itinerario di Paolo in Atti.
7. Atti costruisce il proprio racconto sul modello della letteratura epica e su modelli letterari con caratteristiche analoghe.
8. L’autore di Atti ha creato i nomi dei personaggi come strumenti di carattere narrativo.
9. Atti costruisce i propri racconti per raggiungere obiettivi di tipo ideologico [e teologico]
10. Atti non può essere considerato un resoconto attendibile sul piano storico, a meno che non si dimostri il contrario. L’onere della prova va infatti invertito: Atti deve essere considerato non storico salvo prova contraria.

Questo è l’esito complessivo dei risultati sopra indicati. Mentre Atti è altamente discutibile come risorsa per il cristianesimo del primo secolo, è una risorsa significativa per comprendere i problemi e la forma del cristianesimo del suo proprio tempo, cioè dei primi decenni del secondo secolo.
In conclusione Atti – mentre, come prodotto del secondo secolo, è una risorsa primaria per comprendere il cristianesimo di quel periodo anche dal punto di vista storico – va considerato complessivamente come un mito delle origini cristiane.