L’incontro con Etty Hillesum

Figura femminile che ha attraversato il tempo.

 “Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Misha. Viaggeremo per tre giorni. Arrivederci da noi quattro”.

(L’ultima cartolina postale, indirizzata all’amica Christine van Nooten, è datata 7 settembre 1943: la giovane donna la lascia cadere dal treno diretto al campo di Auschwitz). Etty muore ad Auschwitz due mesi dopo, il 30 novembre 1943. Muore che non ha ancora trent’anni.

 

Esther Hillesum è stata una giovane donna olandese che condivise la tragedia di molti ebrei, non aveva alcun tipo di formazione specifica, non aveva possiamo dire nessun tipo di talento, in una società dove solo chi ha capacità e talento prevale, vediamo nella figura di Etty il vangelo che ci invita ad una conversione di mentalità.

Allora perché parlare di lei?, che cosa ha da dirci ancora oggi?, quale significato possiamo dare alle sue parole?. La figura di Etty è una grande provocazione per noi, ma anche una grande speranza, diventa una scommessa umana; si può diventare adulti, si può crescere, si può arrivare ad una tale maturità da poter dare la propria vita senza più paura di perderla.

La vita di Hetty è caratterizzata dalla ricerca dell’amore con la passione dell’amore. L’amore per lei parte dall’aspetto erotico, aspetto molto forte della sua vita, che però diventa nel breve tempo di alcuni anni combattimento per la qualità dell’amore. La Hillesum ci fa entrare nel tema della coscienza e della libertà, ci insegna con la sua vita che il problema non è amare o non amare, anche perché l’amore è un’esperienza che tutti viviamo come esseri umani, ma per la qualità dell’amore, quale qualità il tuo amore raggiunge attraverso la tua esperienza?, che può anche essere trasgressiva, ma dove ti porta la tua trasgressione?.

In Etty Hillesum vi è un’esperienza a livello spirituale interiore e un contesto storico come quello della Shoà che la rendono consapevole e la rendono ferma nella speranza che non c’è niente che ci possa disumanizzare senza il nostro consenso. Proprio quando molti deportati cominciavano a domandarsi dov’era Dio e perché continuava a restare in silenzio, Etty ha incominciato a cercarlo e a parlargli, manifestando il profondo desiderio di trovargli un suo collocamento dentro se stessa instaurando un dialogo sincero ed aperto che le ha permesso di guardare in faccia la realtà con coraggio e onestà. Nel momento storico in cui molti tentavano comprensibilmente e giustamente di salvarsi la vita, lei ha scelto di restare per condividere il destino del suo popolo. ”La mia vita non vale di più della vita di nessun altro”.

Non esiste una umanità autentica se non è radicata in “ciò che per comodità chiamiamo Dio”. Il Dio nella linea interpretativa di Etty Hillesum non è il Dio delineato dai credenti, ma è più un respiro, da questo punto di vista Etty non è cristiana e del resto non lo è mai diventata, è di origine ebraica pur non avendo mai praticato la sua tradizione, ma tiene insieme questi due elementi.

  1. Ebraico molto forte; Dio come respiro come vita (nèfesh),(rùakh). In nèfesh abbiamo qui l’organo del respiro e la stessa respirazione. È il pensiero sintetico ebraico. In rùakh, tuttavia, c’è il “vento” che proviene da Dio e che a Dio torna, e che nel contempo determina il respiro di vita dell’uomo.
  2. Cristiano; Dio che abita nel profondo di noi, e noi diventiamo tanto più umani quanto più ci radichiamo in questa consapevolezza. Dio matura e ci fa maturare in un modo misterioso

Etty desidera di incontrare Dio nella sua vita, avvertire la sua presenza, trovarlo negli occhi delle persone, sperimentarlo nella propria esistenza. E’ un Dio che scopre dentro di sé, sente il bisogno di inginocchiarsi davanti a lui e di dire ad alta voce il suo nome, da qui possiamo dire che inizia il suo cammino di fede. “Questo pomeriggio mi sono ritrovata tinto a un tratto inginocchiata sul tappetino marrone della stanza da bagno” e ancora “ Non sono capace di inginocchiarmi bene, provo una specie di vergogna. Perche? Senz’altro perché in me c’è anche una propensione critica, razionalista, per non dire atea. Eppure ogni tanto sento un profondo desiderio di inginocchiarmi, con le mani sul volto, e di trovare così una pace profonda, rimettendomi all’ascolto di una sorgente nascosta nel più profondo di me stessa”.

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