Il servizio del Lettore

servizio alla Parola – servizio alla Comunità

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

“Figli carissimi, Dio nostro Padre ha rivelato il mistero della nostra salvezza e lo ha portato a compimento per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio fatto uomo, il quale, dopo averci dato e detto tutto, ha trasmesso alla sua Chiesa il compito di annunziare il Vangelo ad ogni creatura. E ora voi, diventando lettori, cioé annunziatori della Parola di Dio, siete chiamati a collaborare a questo impegno primario nella Chiesa e perciò sarete investiti di un particolare ufficio che vi mette a servizio della fede, la quale ha la sua radice e il suo fondamento nella Parola di Dio. Proclamerete la Parola di Dio nell’assemblea liturgica; educherete alla fede i fanciulli e gli adulti e li guiderete a ricevere degnamente i sacramenti; porterete l’annunzio missionario del Vangelo di salvezza agli uomini che ancora non lo conoscono. Attraverso questa via e con la vostra collaborazione molti potranno giungere alla conoscenza del Padre e del suo Figlio Gesù Cristo, che Egli ha mandato e così otterranno la vita eterna. É quindi necessario che, mentre annunziate agli altri la Parola di Dio, sappiate accoglierla in voi stessi con piena docilità allo Spirito Santo; meditatela ogni giorno per acquistarne una conoscenza sempre più viva e penetrante, ma soprattutto rendete testimonianza con la vita al nostro Salvatore Gesù Cristo”.

Preghiera del Vescovo presa dal Rito di Istituzione dei Lettori

  1. Quando voi proclamate la Parola di Dio nella liturgia, o la sentite proclamare, al termine dite, o sentite dire, “Parola di Dio” e l’assemblea risponde “Rendiamo grazie a Dio”, quasi a ratificare, a dichiarare, che è vero e noi ringraziamo Dio che ci ha parlato.

Provate, però, a pensare: quella che avete ascoltato è realmente Parola di Dio? Provate a pensare alla piccola lettura che vi è stata proposta questa sera, presa dalla lettera ai Colossesi 3, l 5-17. Si parla di parola, di abitare, di canti, di inni e poi, se voi leggete questo libro dove c’è la Parola di Dio, troverete che vi si parla di terra, di cielo, di mare, di acqua, di vita, di morte, di corpo, di gambe, di braccia, di testa, di naso, di stelle, di fiori, di pane, di vino, ecc. Si usano, insomma, le parole del nostro linguaggio umano; le parole che usiamo per esprimere le cose di tutti i giorni. Perché allora diciamo “Parola di Dio”? Sono parole del linguaggio umano? Sì, non c’è niente da dire, ma questo è il fatto meraviglioso che è accaduto: Dio ha incarnato il suo pensiero nelle nostre povere parole umane. Ecco perché diciamo “Parola di Dio”; perché nelle povere parole del linguaggio umano si è incarnato il pensiero di Dio. Guardate che è un fatto abbastanza sconcertante, perchè la nostra parola non riesce, molto spesso, neppure ad esprimere il nostro pensiero. Quante volte non riusciamo a dire quello che pensiamo, anche quando parliamo così fra di noi; quante volte sentiamo il bisogno di ripetere o di ridire la stessa cosa con altre parole, o usiamo frasi come “non so se mi spiego”, “cioè, volevo dire”. Questo poiché capiamo che le parole non hanno detto tutto quello che avevamo dentro. E poi un’altra esperienza: quando, a scuola, si deve fare il tema di italiano, si hanno spesso le idee in testa, ma quando si tenta di scrivere salta fuori una cosa che non corrisponde a quello che avevamo dentro. Se la povera parola umana non riesce mai ad esprimere quello che abbiamo dentro, come farà ad esprimere il mondo di Dio? Eppure, se Dio voleva parlare a noi, doveva usare il nostro mezzo di comunicazione più comune: la parola.

  1. Dio ha incarnato il suo pensiero nelle nostre povere parole umane. Ecco perché diciamo “Parola di Dio”. Il pensiero di Dio non si è incarnato nella parola umana, ma in una particolare parola umana. è l’altro particolare che dobbiamo tenere presente poiché se voleva parlare con noi doveva prendere una delle nostre lingue; non esiste infatti, lo sapete, una lingua che vada bene per tutti i popoli. Ci sono lingue internazionali, ma sono sempre la lingua di un particolare popolo, di una razza, di una cultura. Quando ci esprimiamo, noi abbiamo bisogno di usare una di queste lingue, c’è stato qualche tentativo degli scienziati per fare una lingua universale, ad es. l’esperanto, ma senza esito.

La Parola di Dio si è incarnata in una lingua particolare e, come sempre, Dio ha scelto uno strumento abbastanza inadeguato perché la lingua ebraica, in cui si è incarnato il pensiero di Dio, è una lingua poverissima, che ha un numero limitato di vocaboli. Nel Nuovo Testamento, invece, è stato usato il greco, una lingua molto più ricca. Quando diciamo “Parola di Dio” vogliamo dire questo: non è Parola di Dio materialmente, ma sono le nostre parole in cui si è incarnato il pensiero di Dio. Ciò vuol dire anche un’altra cosa: questa è la parola che Dio rivolge a noi oggi, a me oggi. Non è la parola rivolta ad Abramo, a Mosé, a Davide, ma, attraverso quello che ha detto a quelle persone, Dio sta parlando a me oggi, a noi oggi. Quindi questa parola non è in mezzo a noi a livello storico come quando leggiamo uno scritto di un autore antico, non è semplicemente un fatto storico, ma è un fatto reale, vivo e presente oggi. Dio, quando noi ci riuniamo insieme la domenica per la liturgia; parla a noi oggi attraverso quello che diciamo, che leggiamo. Come fa a parlare a noi? Dio non ha mani e si serve delle nostre mani – dice anche una canzone -, e così non ha voce e ha bisogno della nostra voce. Ecco allora la funzione del lettore: è uno che presta la voce a Dio, presta la voce alla Parola di Dio, la fa risuonare perché Egli possa parlare oggi al suo popolo. E badate che siamo nella linea dell’incarnazione. Quando Dio ha parlato, ha incarnato il suo pensiero nella nostra parola umana, e questa e la prima incarnazione, prima ancora che il Figlio di Dio si incarnasse nella nostra situazione umana. La Parola di Dio, il pensiero di Dio, si è incarnato nella nostra parola con tutte le conseguenze che derivano da questa incarnazione, perché la Parola di Dio viene a dipendere da tutte le cose da cui dipende la nostra povera parola.

  1. Vi ho parlato della lingua: il pensiero di Dio passa attraverso questa lingua e viene certamente condizionato da questa lingua, ma pensate alle persone di cui Dio si è servito per parlare che hanno lasciato un’impronta in questa Parola. Se voi leggete nella Bibbia il profeta Isaia e poi leggete il profeta Amos, vi accorgerete che c’è una differenza radicale perché, Isaia oltre che un profeta è un poeta (abbiamo delle pagine splendide di poesia), mentre Amos era un raccoglitore di sicomori e un pecoraio, un contadino fin nel midollo delle ossa e viveva nel mondo agricolo. Il suo è un linguaggio che riflette la sua cultura, un linguaggio rude, ma efficacissimo. é inevitabile: è nato in quell’ambiente e si esprime col linguaggio di quell’ambiente. Così succede per i Vangeli e per le lettere di Paolo.

La Parola di Dio va poi soggetta alle vicende cui va soggetta la parola umana: può andare, per esempio, perduta o perché la dimentichiamo, o perché uno scritto può andare perduto. Questo per dire che tra gli strumenti di cui Dio si serve per far giungere la sua Parola c’è oggi anche il lettore. Questi, prestando la sua voce, consente alla sua Parola di risuonare in mezzo all’assemblea. Il lettore svolge quindi un servizio profetico e il profeta non è colui che predice il futuro, ma chi – secondo il linguaggio biblico – parla a nome di Dio, colui che ne accoglie la Parola e la trasmette. Il lettore rientra nella categoria dei profeti: Dio gli affida una parola che deve trasmettere alla comunità. Proprio perché è un ufficio profetico, la Chiesa ha costituito fin dalle origini un ministero particolare in vista della proclamazione della Parola. Con l’espressione “ministero particolare” si intende la scelta di qualcuno sul quale si invocava lo Spirito Santo perché fosse in grado di proclamare profeticamente la Parola. Col passare del tempo questo ministero è andato perduto. Quando il latino divenne la lingua della liturgia e col passare del tempo non era più capita dalla gente, non aveva senso che le letture fossero proclamate in quel modo. Ma con la riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II è riemerso il “problema” di proclamare la Parola di Dio. Per questo la Chiesa ha riesumato, riscoperto il ministero del lettore.

  1. Il lettore non è semplicemente colui che proclama la Parola di Dio nella liturgia. La parola lettore traduce malamente la parola latina “lector” che aveva un significato più ampio e profondo; era “lector” quello che noi chiameremmo professore di università, ma nella mentalità della Chiesa è un discepolo di Cristo, un cristiano innamorato della Parola di Dio e che si butta nello studio, nella meditazione, nell’approfondimento di essa per essere in grado non solo di proclamarla nella liturgia, ma anche per saperla portare fuori della liturgia e farne innamorare anche gli altri suscitando in loro il desiderio di conoscere la Parola. Siccome la Parola di Dio è una delle realtà di cui vive la Chiesa e la singola comunità cristiana è necessario che ogni parrocchia abbia dei lettori che siano non solo in grado di leggere nelle liturgie, ma anche siano capaci di mettersi al servizio della Parola per proclamarla in tutti gli ambienti.

Probabilmente alcuni di voi erano molto giovani quando Armstrong, l’astronauta americano, è andato, nello spazio e una volta nello spazio si e messo a proclamare – è stato trasmesso alla televisione – il Prologo del Vangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio …» (1,1), e lo speaker della televisione disse che lo sapeva a memoria perché era lettore della sua chiesa metodista. Essendo lettore abituato a proclamare la Parola di Dio, conosceva a memoria molti brani della Bibbia. Così appena arrivato nello spazio si è messo a proclamare la Parola. è un esempio. A parte questo, il lettore deve poter proclamare la Parola ovunque.

  1. Siccome la Parola di Dio è una delle realtà di cui vive la Chiesa e ogni singola comunità, è indispensabile che vi siano dei lettori istituiti e cioè dei lettori che abbiano ricevuto una particolare benedizione da parte del vescovo, benedizione che conferisce loro una grazia particolare dello Spirito Santo per approfondire, conoscere, gustare e far gustare la Parola di Dio. Attualmente il servizio è quello di proclamare la Parola nella liturgia, ma non è solo questo. É anche quello di animare incontri di catechesi e di preghiera. Ma non è questo l’aspetto che consideriamo questa sera. Comunque il lettore è dunque anzitutto un innamorato della Parola.

Avrete notato che ho parlato di “proclamare” la Parola di Dio: la Parola è fatta per essere proclamata e non letta. Anzitutto è proclamata perché suo destinatario è l’assemblea. La Parola di Dio è una parola essenzialmente comunitaria. Certo la Parola raggiunge ciascuno di noi, ma ci raggiunge nella comunità e Dio le parla. Parlando ad essa, la può comprendere bene solo chi vive in comunione con i fratelli. La Parola di Dio, fatta per essere proclamata in comunità; esprime tutta la sua forza se essa risuona dove si trova visibilmente una comunità in ascolto.

  1. Tutto ciò non ci dispensa dalla lettura personale e dalla meditazione affinché, come ci ha detto l’apostolo Paolo nella lettera ai Colossesi, questa Parola arrivi ad abitare in noi. La meditazione personale è la condizione indispensabile per diventare lettori, non dico bravi, ma discreti. Nella preghiera personale la Parola non deve essere letta semplicemente, ma come diceva Pacomio, deve essere «ruminata». Come certi mammiferi, dopo aver ingoiato rapidamente il cibo con calma lo ruminano, così il cristiano deve rileggere con calma la Parola. Per la Parola di Dio avviene come per un’ opera teatrale, classica o moderna. Io me la posso leggere per conto mio, ma siccome è stata fatta per essere rappresentata in teatro, solo in teatro raggiunge tutta la propria forza espressiva.
  1. Un pò di tecnica di lettura. Abbiamo detto che il lettore non deve leggere, ma proclamare. Il proclamare è diverso dal leggere perché se si legge semplicemente il messaggio dal libro va all’uditorio, mentre se si proclama il messaggio passa prima nel cuore del lettore e poi raggiunge l’uditorio. Anche per questo quello del lettore è un ministero profetico. Il lettore è uno strumento vivo e non un registratore; egli trasmette la Parola così come l’ha recepita, come l’ha assimilata.

Tenendo presente tutto ciò, è chiaro che non si può andare a leggere senza essersi preparati; sarebbe un delitto, un sacrilegio. Non posso leggere se non ho capito il messaggio che devo trasmettere. Non vi sto dicendo di ritirarvi, ma è un invito a compiere questo ministero nel migliore dei modi: se il messaggio non arriva può essere anche colpa del lettore. Nelle nostre liturgie si sentono spesso delle letture nelle quali non si trasmette niente; sono spesso letture inespressive, piatte. É chiaro poi che più si improvvisa e più è facile sbagliare.

Allora la prima regola è: non siete lì a leggere, ma a proclamare e per proclamare dovete conoscere il messaggio, per conoscerlo dovete averlo letto più di una volta. Poi non dovreste aver letto soltanto la lettura che proclamate, perché il suo messaggio è legato anche alle altre due letture. Per poter leggere in modo discreto e necessario possedere una certa familiarità con la Parola di Dio e per raggiungerla bisogna “ruminarla”.

Seconda regola: se voglio trasmettere un messaggio debbo mettermi in comunicazione con l’uditorio a cui è destinato. è una regola pratica piccola, ma importante. è necessario abituarsi a guardare in faccia l’assemblea, soprattutto nei momenti in cui il messaggio ha bisogno di particolari sottolineature. Bisogna che guardiate coloro ai quali state proclamando la Parola. Voi vedete gli speakers della TV: pur leggendo il messaggio vi guardano in faccia e lo fanno soprattutto nei momenti in cui il messaggio ha maggiore forza. Gli speakers, pur non sempre benissimo, cercano di stabilire un contatto, sia pure a distanza. Stabilendo il contatto è più facile che il messaggio venga recepito. Voi capite che se andate all’ambone e cominciate a leggere con l’intenzione di trasmettere, ma non guardate mai l’assemblea e tenete sempre gli occhi sul libro, trasmettete molto meno e l’assemblea non si sente interpellata, coinvolta. Anche per questo l’assemblea non dovrebbe leggere sui foglietti perché coglie meno il messaggio proclamato se è intenta alla lettura. Lo sguardo rivolto all’assemblea in quel particolare momento può stabilire il contatto giusto per la recezione del messaggio. Non è quindi uno sguardo qualsiasi o fatto in un qualsiasi momento della proclamazione.

La terza regola è quella di far vivere il brano. Cosa vuol dire? Vuol dire ricrearlo. Il lettore, come ogni altro ministro della liturgia, ha bisogno di due qualità che sembrano fra loro contrastanti – ma non lo sono e si integrano a vicenda – : la fedeltà e la creatività. La fedeltà nel senso che deve essere trasmesso quel messaggio e non un altro creato arbitrariamente; creatività nel senso che questo messaggio deve diventare vivo. Non è la stessa cosa il teatro e la liturgia – faccio questa osservazione perché non fraintendiate il paragone che farò dopo, siamo infatti in due mondi diversi -, però ci sono certamente dei rapporti. Perché quando un attore famoso interpreta un certo personaggio, la gente affolla il teatro? Magari si tratta di un dramma vecchio, di una tragedia di Shakespeare, o di Pirandello. Il fatto è che l’artista sa far rivivere il testo; è sempre quel testo, ma viene ricreato come se fosse la prima volta. Ecco l’artista!
Il lettore dev’essere un piccolo artista e con ciò non si pretende che raggiunga alti livelli d’arte. L’artista prende una materia inerte e le da forza, la fa rivivere. Se andate a Roma, nella chiesa di S.Pietro in Vincoli, dove si trova il Mosè di Michelangelo, vedete un blocco di marmo al quale l’artista ha dato una forma tale da farlo sembrare vivo.
Il lettore è uno che va all’ambone, ha davanti un materiale che in sé è morto, una parola stampata su un libro che deve far vivere. Egli può rendere questo materiale inerte un messaggio vivo; se non lo fa vivere resta un messaggio morto che non giunge a destinazione. Dunque la terza regola è: far vivere il messaggio.

  1. Quattro elementi di tecnica. Per far vivere il messaggio il lettore dispone di quattro elementi: il tono, il ritmo, le pause, la modulazione.

Il tono – Voi sapete che la Bibbia è composta di tanti libri; ne ha 73: 46 dell’ AT. e 27 del N.T. Questi 73 libri hanno generi letterari radicalmente diversi. Vi sono libri che narrano essenzialmente fatti storici; vi sono libri profetici, nei quali gli eventi storici hanno un’importanza secondaria e nei quali ha più rilievo ciò che Dio ha fatto o intende fare; vi sono libri sapienziali che sono riflessioni sull’opera di Dio e sulle vicende umane considerate dal punto di vista del credente; vi sono delle lettere, c’è un’ apocalisse, cioè una rivelazione di fatti misteriosi non sempre facili da interpretare; poi vi sono poemi, salmi che, come sapete, sono preghiere. Una certa molteplicità di generi letterari è a volte presente in uno stesso libro che può contenere racconti, preghiere, riflessioni, o tratti poetici. Per questo è importante che il lettore assuma il tono giusto, cioè il tono che corrisponde al brano che dovete proclamare. è chiaro che non posso leggere allo stesso modo, con lo stesso tono, un salmo penitenziale, es. il 50, e un salmo di lode, es. il 150. Col primo sto chiedendo perdono a Dio, sto riconoscendo la mia miseria: qui ho bisogno di un tono molto interiorizzato; col secondo sto lodando Dio e devo usare un certo slancio. Conta moltissimo la scelta del tono. Se si azzecca il tono giusto, si trasmette il messaggio; diversamente la gente non si rende conto di ciò che ascolta.

Il ritmo – Ritmo vuol dire andare più o meno velocemente. Purtroppo i nostri lettori leggono sempre troppo in fretta. Bisogna andare adagio perché la gente capisca meglio: chi non capisce finisce per non ascoltare più.

C’è una piccola regola molto elementare che si può capire anche da soli: quanto più il brano è corto, tanto più bisogna leggere adagio. Non bisogna invece essere troppo lenti quando il brano è lungo. Specialmente nelle domeniche del Tempo Ordinario, la seconda lettura è brevissima, composta a volte di soli due versetti. Se la lettura viene fatta troppo velocemente, termina prima che la gente abbia fatto in tempo a rendersene conto. Più la lettura è corta, allora, più deve essere proclamata adagio in modo che la gente riesca ad entrarvi. Il ritmo, oltre che riferirsi a questa regola tecnica, va regolato anche in rapporto al tipo di letture, al genere letterario del brano che dobbiamo proclamare. Un brano come l’inizio del libro di Qohelet non può essere letto rapidamente, esige una proclamazione lenta; un libro storico, invece, può comportare anche una lettura più sciolta; se poi ci sono degli elenchi, come nel libro dei Numeri, si può andare ancora più spediti. É il genere letterario, il contenuto del brano stesso che deve suggerire il ritmo giusto.

Le pause – Le pause sono l’elemento più bistrattato nella proclamazione della Parola di Dio; difficilmente i lettori sanno fare le pause. Tenete presente che le pause hanno molta importanza per la gente che non ha davanti il testo: esse aiutano a capire più a fondo le varie sezioni del messaggio. La virgola di per sé non comporta una pausa; può essere semplicemente un segno per distinguere i membri della frase. Il punto e virgola e i due punti, invece, sono già una piccola pausa. Il punto fermo è invece una pausa ed esige una brevisima sosta. Se poi voi avete visto qualche volta il lezionario, avrete notato che nella stessa lettura, di tanto in tanto, ci sono degli spazi più grandi. Perché ci sono questi spazi? Essi indicano una suddivisione in settori, in due o tre parti. Chi legge lo coglie immediatamente – è stato fatto apposta da chi ha stampato i lezionari – ma la gente non ha davanti questo testo e se l’ha, ha quello del foglietto dove, per economizzare, sono stati eliminati questi spazi. Spetta quindi al lettore, facendo le pause, far capire che si sta passando, nell’ambito della stessa lettura, a un discorso che ha un altro tenore. Le pause hanno poi un’ importanza grandissima quando si vuole sottolineare una parola o una frase. Se immediatamente prima di quella frase io mi fermo, è perché voglio farla notare. Lo stesso vale se mi fermo subito dopo. Queste ultime sono quelle che sono chiamate dagli esperti “pause orali” e cioè pause che non sono indicate nel testo, ma che sono suggerite dal buon senso di chi legge.

La modulazione della voce – Anche questo aspetto della proclamazione è importantissimo. Modulando la voce io posso dare un senso tutto particolare a una frase. Si fa comunemente l’esempio della frase che Cristo ha rivolto a Giuda: «Giuda, con un bacio tu tradisci il tuo maestro». In questa frase, posso dare, con la modulazione della voce, sfumature diverse a ciò che leggo. Non vale la pena cercare quale possa essere il modo più giusto; lo si deve fare come lo si sente, come la si è percepita dopo averla meditata.

Vediamo le possibili accentuazioni:

  1. «Giuda, con un bacio tu tradisci il tuo maestro»; l’accento è sul bacio;
  2. «Giuda, con un bacio tu tradisci il tuo maestro»; l’ accento

      cade sul tu;

  1. «Giuda, con un bacio tu tradisci il tuo maestro»; l’accento è

     sul tradisci;

  1. «Giuda, con un bacio tu tradisci il tuo maestro» l’accento è       sulle ultime parole.

   Facendo una pausa via via sulle parole in grassetto si ottiene un intonazione diversa della frase che le conferisce anche un senso diverso. Non importa qui quale si scelga; dipende, come si diceva, dalla riflessione personale. Così facendo, la frase acquista un’incisività molto più forte. Capite ancor meglio che se non fate vivere così il testo, le nostre assemblee poco abituate all’ascolto, non lo recepiscono. La modulazione della voce ha perciò una grande importanza.
Tenete presente che in ogni brano c’è un periodo più importante degli altri e che deve essere fatto emergere. In ogni periodo c’è poi una parola o più parole che devono essere messe in rilievo.

SCHEDA RIASSUNTIVA
Tre regole fondamentali per il lettore:

  1. Non leggere, ma proclamare;
  2. 2. Stabilire una comunicazione fra lettore e assemblea;
  3. 3. Far vivere il brano.

Qualità per far rivivere il brano: fedeltà e creatività. Elementi per far vivere il brano: tono, ritmo, pause, modulazione della voce.

ALCUNI SUGGERIMENTI PRATICI

1. Quanti lettori occorrono la domenica? Almeno quattro, prete compreso. Il Salmo non lo deve leggere lo stesso lettore o lettrice della prima lettura perché il salmista ha una funzione diversa.

2. Il salmo dovrebbe essere cantato; se non si può dovrebbe essere cantato almeno il ritornello. Se anche questo non si può fare lo si reciti così.

3. Il primo lettore non deve dire “prima lettura”; chi legge il salmo non deve dire “salmo responsoriale” e chi legge la seconda lettura non deve dire “seconda lettura”.

4. Il lettore del salmo responsoriale non deve dire: “ripetiamo insieme”. Si deve semplicemente leggere direttamente il ritornello e nel caso della lettura si deve leggere il testo da cui è tratta e si deve aggiungere alla fine “Parola di Dio”.

5. Ci si deve portare all’ambone solo dopo la fine della preghiera di Colletta, quella preghiera che precede le letture, né ci si deve muovere mentre è ancora in corso la lettura precedente per evitare la distrazione dell’ assemblea.

6. Chi proclama la prima lettura deve farlo solo quando l’assemblea si è seduta e si è creato un clima raccolto, idoneo all’ascolto. La calma non e mai troppa.

Questo fascicolo è stato trascritto dalla registrazione della catechesi di mons. Guarino Orlandini, apprezzato responsabile dell’Ufficio Liturgico della Diocesi di Reggio E.