Letture festive – 44. Correzione – 21a domenica del Tempo Ordinario Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

21a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 21 agosto 2022
Dal libro del profeta Isaìa – Is 66,18b-21
Dalla lettera agli Ebrei – Eb 12,5-7.11-13
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 13,22-30


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letture festive 44

Nel passo del profeta Isaia la correzione si presenta come intervento volto a modificare una condizione presente, orientandola al prodursi di un duplice movimento. Il primo movimento è quello centrifugo con il quale alcuni vengono inviati a proclamare un annuncio in terre e perfino isole lontane. Il secondo movimento, centripeto, è quello che si origina tra genti lontane e che intende orientare coloro che vengono definiti fratelli verso Gerusalemme, presentata come una sorta di patria promessa a tutti, anche ai lontani, attraverso l’annuncio di parole inaudite ma convincenti. Ma la correzione più sorprendente e radicale sembra essere l’annuncio del superamento dell’esclusivismo religioso del popolo eletto anche per i ruoli sacri di sacerdoti leviti, tradizionalmente riservati solo ad alcuni. Ogni nostro cammino intrapreso a seguito di richieste o interventi altrui può essere visto come frutto di una correzione a un programma che avevamo eventualmente stabilito, ma che abbiamo accettato di correggere. La profezia di Isaia – facendo intravedere persino nel Dio del popolo eletto una sorta di correzione dei propositi iniziali – sembra invitare a una piena disponibilità a correggere il proprio programma di cammino, rinunciando a porre limiti e condizioni di sorta.

La lettera agli Ebrei ripropone il significato di correzione più tradizionale e diffuso nel mondo antico e non solo, includendo il ricorso a percosse e punizioni corporali. Si tratta evidentemente di un metodo educativo che oggi riteniamo non più accettabile e neppure efficace. Lo stesso riferimento al Signore come a un padre che in questo modo corregge il figlio risulta difficilmente compatibile con la visione religiosa odierna del Dio cristiano. Si tratta di una pagina neotestamentaria che probabilmente riesce a parlarci ancora oggi a condizioni che venga superata l’identificazione tra la figura di Dio e quella di un padre che in modo deliberato prende l’iniziativa di infliggere sofferenze al figlio, anche se con finalità educative. Da questo punto di vista, i senza Dio trovano certamente meno difficoltà dei con Dio. Solo se infatti si supera in qualche modo questa identificazione, si può arrivare – e comunque con una valutazione legittima solo se avviene a posteriori – a ritenere utili e fruttuose alcune specifiche esperienze di correzione. Si tratta dei casi nei quali l’attraversamento non altrimenti evitabile di esperienze dolorose e sofferte può consentire evoluzioni di maturazione che diversamente non sarebbero state raggiungibili o correzioni di cammino che altrimenti non avrebbero condotto alla meta sperata. Rimane vero che purtroppo e fin troppo spesso sono proprio le esperienze dolorose e sofferte a piegare le esistenze umane fino a spezzarle. Proprio per questo la sofferenza e il dolore non dovrebbero mai essere evocate a priori come educative o salvifiche e tanto meno essere attribuite – anche da parte dei con Dio – a iniziative divine.

Nel brano evangelico il tema della correzione emerge a partire da una domanda sulla difficoltà a ottenere garanzie di salvezza. Quest’ultima, infatti, viene presentata come una porta stretta, nella quale sarà difficile entrare, per la sproporzione tra le sue dimensioni e la quantità di coloro che vorranno attraversarla. Sullo sfondo di questa immagine, nella successiva parabola possiamo riconoscere il tema della correzione nei termini di un’opportunità di ravvedimento entro il tempo limite consentito, e nelle incertezze di una dialettica di possibili inversioni tra ultimi e primi che, per sua natura, rimane costantemente esposta a rovesciamenti di sorte, non essendo mai possibile – da parte di coloro che si trovano ad essere primi in un determinato momento – sentirsi al riparo da un’ultima inattesa e repentina inversione. In un certo senso, la parabola stessa come genere letterario e questa parabola in particolare può essere vista come un dispositivo narrativo che si propone di attivare la correzione e il ravvedimento degli ascoltatori, attraverso la finzione di una rappresentazione anticipata del futuro possibile e – in questo caso – temibile. La parabola funziona grazie alla vivida descrizione dello stato d’animo di coloro ai quali viene tragicamente negato l’ingresso – anche qui attraverso una porta – nella casa del padrone. Il divieto viene motivato con il fatto di risultare sconosciuti al padrone stesso, nonostante dichiarino di aver mangiato e bevuto in sua presenza e di aver ascoltato i suoi insegnamenti. L’inversione tra lontani e vicini, tra primi e ultimi, tra invitati ed esclusi dal banchetto, chiarisce come l’esito fallimentare di una vita dipenda dall’illusione di una comunione non reale perché minata alla base dall’ingiustizia praticata nei confronti dei poveri. La parabola offre, da questo punto di vista, una sorta di estrema possibilità di salvezza, non come garanzia ma come monito estremo ai suoi ascoltatori, a operare prima che sia tardi la necessaria e urgente correzione della propria condotta di vita.