Una giornata al tempio di Gerusalemme al tempo di Gesù

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

Premessa

Questo fascicolo viene dal lontano 1966, precisamente da Istambul. È il testo di una conferenza che tenne sr. Maria Despina dal titolo “Une journée au temple”. Grazie ad essa possiamo conoscere la struttura ed i riti di una qualsiasi giornata al Tempio di Gerusalemme, in un momento storico in cui il culto nel santuario aveva raggiunto ormai la sua forma compiuta. Fra i vantaggi che ne derivano c’è quello di recuperare un po’ dello spessore storico delle testimonianze dei Vangeli. È un testo di grande interesse.

Ho ricevuto il dattiloscritto da un compagno mentre nell’ 81 frequentavo i corsi dell’Istituto Ratisbonne (Gerusalemme). Con l’aiuto della prof.ssa Brunella Mailli è stata approntata una prima traduzione che in seguito si è definita meglio nella presente pubblicazione. Questa presenta due tipi di integrazione: l’introduzione di note esplicative numerate che, oltre ad illustrare ed arricchire il testo, mostrano quanto la conferenza poggiasse sulla conoscenza delle fonti bibliche e rabbiniche; l’introduzione di tre piantine e rispettive note che consentiranno di seguire meglio la narrazione.

Di sr. Maria Despina non possiamo dire molto: alcuni nostri amici che hanno avuto l’occasione di ascoltarla personalmente ad Ain-Karìm hanno incontrato una donna preparata, conoscitrice del mondo giudaico ed ottima insegnante di ebraico.

A. Bigarelli

La sera

Cominciamo la nostra giornata la sera, al calar del sole, perché è in questo momento che comincia la giornata ebraica. Mentre l’olocausto 1 della sera 2 si consuma sull’altare, i sacerdoti 3 che hanno prestato servizio per la giornata, portano a termine il loro compito: alcuni attivano il fuoco, altri puliscono e riordinano gli attrezzi del culto 4; quelli che hanno terminato il loro servizio si recano nella stanza dello spogliatoio, a destra della Porta di Nicanore, per deporre i loro abiti sacerdotali 5 : i pantaloni di lino, la tunica bianca, la cintura che hanno portato non in vita ma intorno al petto e il berretto bianco; ogni tipo di vestito a parte. D’inverno indossano con piacere dei vestiti più caldi e mettono i sandali (unica calzatura ammessa al Tempio) perché hanno piuttosto freddo nel loro abito di lino e a piedi nudi sulle pietre. Al di fuori del servizio nessuno indossa un vestito distintivo che ne indichi la funzione, neppure il Sommo Sacerdote. Durante questo momento, mentre gli ultimi fedeli si attardano ancora a pregare, altri sacerdoti e leviti “fanno cassa”, riuniscono il denaro incassato sotto forma di doni, di imposte (lo Shekel del Tempio) 6 o per ciò che era necessario ai sacrifici.

Infatti, se certi fedeli portano essi stessi le bestie da sacrificare, molti se le procurano sul posto, come pure il vino delle libagioni e le offerte in farina che devono accompagnare ogni sacrificio d’animale 7 . Questi affari 8 vengono trattati di solito la vigilia del giorno in cui si offre il sacrificio, e ci sono anche molti che devono cambiare il denaro per procurarsi le monete ebraiche che sono le sole ammesse in cambio degli oggetti da offrire.

Arrivo dei sacerdoti di guardia

Nel frattempo i sacerdoti che sono incaricati della giornata successiva si riuniscono sull’Ofel, per entrare tutti insieme, dalla Porta delle Acque, al seguito del loro “Capo di Casato” 9.

Organizzazione dei sacerdoti: i sacerdoti sono organizzati in 24 classi 10, ciascuna delle quali deve assicurare il servizio al Tempio per due settimane all’anno. In realtà, delle 24 classi di sacerdoti deportati a Babilonia, solo quattro sono rientrate in Israele (Esd. 2,36-37), ma Esdra ha suddiviso queste ultime in 24, in modo da ricostituire il numero primitivo 11, dando a ciascuna delle nuove divisioni il nome di una delle antiche famiglie sacerdotali.
Così, la famiglia di Abia non era ritornata, ma si era dato il suo nome a una nuova divisione. Così si presumeva che Zaccaria 12 facesse parte di questa famiglia. Ognuna di queste piccole tribù sacerdotali era stata divisa in 7 famiglie (bait) 13 che dovevano assicurare il servizio due volte all’anno: per una giornata. Dai 13 anni, tutti gli uomini validi della famiglia erano obbligati ad adempiere questo servizio 14, a condizione di non avere alcuna tara fisica che potesse squalificarli e anche non fossero il frutto di una unione illecita per il sacerdote 15. La stessa divisione in 24 valeva, per i Leviti e per i semplici ebrei. Questi ultimi si facevano rappresentare da una delegazione ai riti del Tempio, mentre il servizio personale dei sacerdoti e dei leviti era obbligatorio.
Mentre c’erano sempre sacerdoti a sufficienza, dal momento che ne erano rientrati da Babilonia 4.289 16, c’era invece una certa penuria di leviti, poiché molti non erano rientrati in Israele. I leviti erano, più in particolare, incaricati della pubblica sicurezza del Tempio, delle finanze (sorvegliati dai sacerdoti) e dell’amministrazione materiale. Per ilavori più umili erano aiutati dai sacerdoti difettosi 17 e dai “Nethinim” (donati) 18, una specie di servi del Tempio, discendenti dai Gabaoniti e da altri prigionieri di guerre graziati. Questi ultimi formavano una casta disprezzata, incaricata di portare l’acqua e di pulire le parti non consacrate del Tempio.
Il Sommo Sacerdote, capo della gerarchia del Tempio, non ha più il prestigio di un tempo, da quando non fa più parte della famiglia di “Jadaia” che aveva dato tutti i sommi sacerdoti del 1° e del 2° 19 fino a Onia 20, ma era egualmente un personaggio importante. Eccetto la settimana del Kippur 21, abitava in città, in casa sua, ma possedeva un suo appartamento/ufficio al Tempio, di fianco alla sala del Gazith22 o del Sinedrio, Il suo assistente (sgan ha-Kohenim) 23, che a volte lo sostituiva, era un personaggio quasi altrettanto importante. Il terzo personaggio era il “Capitano del Tempio” 24, capo della guardia che abitava in una dipendenza del Tempio e sorvegliava costantemente la situazione. Dopo di lui venivano gli “Abot-bait” o “Capi di casa”, che erano responsabili del buon andamento del servizio quando la loro “casa” era di guardia.

Cambio della guardia 25

Il “casato” incaricato dell’ufficio della giornata entrava dalla Porta delle Acque, mentre i sacerdoti che avevano compiuto il loro servizio uscivano da un’altra porta, dopo averli salutati. La vigilia del sabato, dicono a quelli che arrivano: «che Colui che ha fatto abitare il suo Nome in questa Casa, faccia regnare l’amore fraterno e la pace fra voi» (2Cor 13,11 cita questo saluto).
Frattanto cala la notte; i fedeli se ne sono andati e si stanno per chiudere le porte del Tempio. Quella di Nicanore era così pesante che occorrevano 20 uomini per farla girare sui suoi cardini e colpendo il battente faceva un rumore simile al tuono 26. Mentre si aggiungeva legna sull’altare per attivare la consumazione delle vittime, i sacerdoti potevano mangiare della carne e delle torte di farina consacrati 27, ma non bere del vino 28 per paura che un incidente fisico li rendesse impuri e impedisse loro di partecipare agli uffici del giorno dopo. Se ciò fosse accaduto, l’interessato avrebbe dovuto trascorrere il giorno dopo a digiuno, a pulire la legna, intaccata di vermi e inadatta ai sacrifici 29, nel cortile della legnaia (angolo Nord-Est del “Cortile delle donne”).

La notte 30

Durante la notte, 21 gruppi di 10 leviti e 3 gruppi di sacerdoti vegliano accanto alle porte, mentre altri sacerdoti vegliano vicino all’altare degli olocausti e dietro il Santo dei Santi. C’erano in teoria 3 veglie, ma chi vegliava doveva rimanere al proprio posto e vegliare tutta la notte e compiere il proprio servizio il mattino successivo. Le chiavi delle porte, infilate in una catena, erano sistemate in una nicchia quadrata, chiusa da una pietra con un anello 31. Il “capo di casato” sistemava il suo materasso e dormiva. Dormiva con tanti altri sacerdoti, in una grande sala con volta a botte del “Beth ha-Mokked”, “sala del focolare” 32 (a Nord-Est del cortile interno). Una specie di panchina larga correva lungo i muri di questa sala e su questa gli altri sacerdoti dormivano su materassi, vestiti con abiti civili e gli abiti sacerdotali che avevano ricevuto arrivando arrotolati accanto a loro erano Al centro della sala, un grande fuoco che restava sempre acceso e serviva di giorno a riscaldare i sacerdoti intirizziti dal loro lavoro, fatto a piedi nudi sulla pietra e in abiti di lino.
Altre due sale servivano da dormitorio: una a Nord e una a Sud. Durante la notte succedeva di sentire delle urla spaventose: il Capitano del Tempio faceva spesso dei giri e se trovava una guardia preposta alle porte addormentata, aveva il diritto di batterla e perfino di incendiare i suoi abiti 33 . Si citano casi di persone che hanno avuto i loro vestiti bruciati… e la pelle con quelli. «Felici i servitori il cui padrone trova svegli». «Benedetto sia colui che veglia e che conserva i suoi vestiti» (Ap 16,15).
Dalla sala-dormitorio del “focolare” un corridoio sotterraneo conduceva, passando sotto il cortile dei Gentili, verso Nord-Ovest, verso la sala dei bagni e dei W.C. singoli con porte, che la Mishnah 34 cita come particolarmente perfezionate, e una piscina.
Prima del canto del gallo 35, tutti i sacerdoti, puri o no, dovevano fare un bagno rituale, per poter partecipare ai sacrifici 36. In seguito, durante la giornata, dovevano lavarsi le mani e i piedi al lavatoio speciale (potevano passare 12 sacerdoti per volta), sul cortile, ogni volta che andavano a compiervi una funzione (v. il discorso di Gesù a Pietro: «Colui che ha fatto un bagno ha solo bisogno di lavarsi i piedi»: è puro ritualmente).
Al canto del gallo o un po’ prima, il sacerdote incaricato di svolgere l’ufficio di maestro di cerimonia bussava alle porte delle sale-dormitorio. Tutti i sacerdoti che desideravano partecipare ai sacrifici della giornata (e non “impuri”) dovevano aver già fatto il bagno rituale e pronti a partire subito per il lavoro. Sì dividevano allora in due compagnie e, muniti di torcia, iniziavano a fare il giro del cortile, partendo dai due angoli opposti, percorrendo le mura e gridandosi “tutto va bene” se tutto era in ordine. Le notti di sabato, i cortili restavano illuminati tutta la notte da lampade ad olio, perché non dovevano essere portate delle torce 37. Poi tutti rientrano e, nella “sala del focolare”, si sorteggia 38 chi sarà incaricato di pulire e preparare l’altare degli olocausti39. Un solo sacerdote parte, sul cortile illuminato solamente da ciò che resta del fuoco dell’altare degli olocausti, con una pala in mano. Sale sul bordo dell’altare e riunisce le ceneri in un mucchio, le braci in un altro, i resti degli animali non completamente bruciati sul bordo in attesa che si riaccenda il fuoco per bruciarli, poi scende di nuovo. Poi altri sacerdoti vengono a togliere le ceneri, a rimettere della legna sul fuoco che illumina di nuovo tutto il cortile. Se è piovuto e si è spento completamente durante la notte, si vanno a cercare dei sacerdoti nella “camera della fiamma”, al primo piano a Nord del cortile.

L’alba: apertura del Tempio e immolazione del sacrificio del mattino

Quando il fuoco è acceso, si va a prendere uno dei quattro agnelli che sono sempre in riserva in una stanza attigua alla “sala del focolare”. Si comincia dandogli da bere in una coppa d’oro, poi lo si porta nel cortile e lo si attacca, per il sacrificio, a un anello a Nord-Ovest dell’altare degli olocausti, ogni zampa anteriore legata alla zampa posteriore dello stesso lato, la testa a Sud ma con la faccia rivolta al Santo dei Santi 40. Un sacerdote mette la mano sulla testa dell’agnello e fa la confessione a nome del popolo d’Israele. Poi si tira a sorte 41 per sapere chi lo sgozzerà e chi pulirà lo Hekhàl 42. Un sacerdote è inviato sul Pinnacolo per constatare se l’aurora è chiaramente iniziata. Al momento opportuno grida: “Tutto il cielo è come fuoco a Oriente!” Gli si domanda dal basso: “Fino a Hebron?” “Sì! Tutto il cielo è infuocato fino a Hebron!” 43.
Allora il maestro di cerimonia (il Padre del casato) ordina di aprire le porte del Tempio e di suonare la tromba 44. Si vanno a prendere le chiavi nelle rispettive nicchie e gruppi di sacerdoti si affrettano verso le porte. Ce ne vogliono 20 per quella di Nicanore che si apre con fragore. Dall’alto degli scalini che separano il cortile delle Donne da quello di Israele, un gruppo di sacerdoti (12) in fila suonano le loro trombe d’argento, rivolti al Santuario: tekiah, teruah, tekiah, a 3 riprese: tu ‘tu tu-tutututututu-tu ‘tu tu 45.
In questo momento un sacerdote taglia la carotide e l’esofago dell’agnello, mentre un altro riceve il sangue in un recipiente d’oro con la base a punta perché non si possa posarlo per terra 46. Egli agiterà senza fermarsi questo vaso fino a che, dopo alcuni minuti, non abbia versato’ il sangue contro due angoli opposti della base dell’altare, in modo da aspergere ogni volta due lati insieme. Durante queste operazioni, si porta in processione la chiave dell’Hekhal e il “Padre di casato” (capo del gruppo di sacerdoti) apre la porta 47.
I due sacerdoti designati dalla sorte entrano nel Santo. Uno dei due va a pulire l’altare dalle ceneri accumulate la vigilia mentre l’altro va a mettere dell’altro olio e a pulire, a cambiare se è necessario, gli stoppini delle lampade della Menorah 48, riaccendendole man mano che le pulisce. Solo le ultime due rimarranno spente fino all’offerta dell’incenso. Escono quando hanno finito.
Frattanto, l’agnello è sospeso con la testa in basso su una delle colonne con dei ganci che sono appositamente per questo nel cortile e viene scorticato dopo avergli tagliato la testa, iniziando dalle zampe 49. La sua pelle, come quella di tutti gli animali sacrificati, è portata nella sala “Parwah” 50 a Nord del cortile, dove viene salata; le pelli sono poi vendute e forniscono un reddito apprezzabile ai sacerdoti. Il resto del corpo è diviso in una decina di pezzi secondo i riti, poi i pezzi sono lavati sui tavoli di marmo che si trovano a Nord dell’altare (ce ne sono 12, più un tavolo di marmo per i pani di proposizione freschi, e uno d’oro per quelli che sono già rimasti esposti nel Santuario) 51.
Tutto il sangue è raccolto e versato immediatamente sull’altare o nel foro di scarico alla sua base. I pezzi dell’agnello saranno poi salati, come tutti i cibi offerti in sacrificio 52, e aspetteranno il momento di essere offerti.
Intanto i cortili esterni, poi quelli degli israeliti, si sono animati: si riempiono di fedeli. Questi entrano da Sud e usciranno dal Santuario a Nord: c’è senso unico. I giudei si prostreranno 13 volte 53 durante le visite, senza contare i momenti in cui la liturgia lo richiede e quelli che lo fanno per devozione personale; è solo dopo la distruzione del Tempio che i rabbini proibiranno di farlo, eccetto due volte all’anno (Rosh ha-Shanàh e Kippur) 54. Prima di venire al Tempio hanno tutti fatto un bagno rituale, si sono assicurati di essere in uno stato corporale di purità rituale. I loro abiti devono essere puliti e non devono portare né mantello, né bisaccia, né bastone, né borsa 55.
Molti portano dei doni in denaro 56, ma lo devono portare in mano, perché si deve portare esclusivamente ciò che si offre. Alcuni portano dei doni eterocliti 57 che saranno messi in una camera apposita e tutto ciò che non può servire com’è al Tempio sarà venduto a profitto del Tempio. Altri portano dei doni per poveri anonimi: saranno messi nella “camera dei segreti”, dove questi ultimi potranno andare a cercarli senza sapere chi è il donatore 58.
Quelli che offrono sacrifici secondo la regola verranno al momento di offrirli, cioè più tardi. I cortili esterni prendono l’aspetto di una fiera, con i tavoli dei cambiavalute, le bancarelle dei mercanti di piccioni e di tortore, quelle in cui i sacerdoti vendono le torte di farina e l’olio destinati ai sacrifici (niente di ciò che è venduto al Tempio deve servire altrove, tranne la carne dei “sacrifici pacifici” 59 che può essere mangiata in città).
Fino ad ora abbiamo visto molto lavoro (Avodàh) 60, ma non la recitazione né di preghiere, né di canti: l’offerta dei sacrifici (che è in sé un atto religioso dunque l’equivalente di una preghiera – o dovrebbe esserlo) deve dapprima purificare l’atmosfera spirituale (se non l’aria) e rendere possibile il contatto con Dio nella preghiera liturgica. Non impedisce certamente la preghiera personale mentale. D’altronde i rabbini del secolo successivo richiedono un’ora di meditazione silenziosa come preparazione alla preghiera liturgica 61.

Ufficio del mattino: incenso e olocausto

Verso le 8,45 62, la folla si riunisce verso il cortile interno per assistere alla parte più solenne del culto. In processione, 12 sacerdoti portano i pezzi dell’agnello con le offerte di farina e di vino che l’accompagnano e vanno ad appostarsi sulla rampa dell’altare 63.
Poi tutti i sacerdoti puri che non hanno mai avuto l’opportunità di adempiere questa carica sono convocati nella sala del Gazith o delle pietre tagliate (sala dove normalmente si riunisce il Sinedrio, all’angolo Sud-Est del sagrato interno: la sala superiore è la sala di Attineo, o laboratorio dove si prepara l’incenso. Con la sala del focolare e quella della fiamma, è una delle tre stanze dove i sacerdoti passano la notte).
Qui, si procede al sorteggio per designare il sacerdote che offrirà l’incenso e presiederà la benedizione dell’assemblea 64 É un incarico che un sacerdote adempie una sola volta in vita sua. Colui che è designato si sceglie due assistenti. Poi si sorteggiano i sacerdoti che compiranno il sacrificio 65. Tutti e tre escono dalla sala, vanno verso l’altare, mentre il sacerdote designato aspetta all’inizio degli scalini. Uno degli assistenti sale sul bordo dell’altare e prende dal fuoco che brucia all’angolo Sud-Ovest (dove non si mettono delle vittime) della brace in un recipiente d’oro. Scende di nuovo e la mette su un vassoio d’argento con una ciotola d’oro che contiene mezza libra di incenso 66. L’altro accolito porta gli strumenti d’oro per maneggiare la brace e l’incenso dell’altare. Prima del sorteggio, nella sala del Gazith, si recitano le preghiere seguenti: «Tu ci hai amati di un grande amore o Signore nostro Dio, e tu ci hai colmati della tua misericordia traboccante, nostro Padre, nostro Re, per merito dei nostri Padri che hanno sperato in te, e tu hai insegnato loro la Legge della Vita. Abbi pietà di noi, che noi ti lodiamo nell’amore, tu che sei Dio. Benedetto sia il Santo che, nel suo amore, ha scelto il suo popolo Israele» 67. Segue la proclamazione dei 10 comandamenti68, poi la recita solenne dello “Shema Israel” 69 professione di fede del giudaismo che ogni ebreo deve recitare ogni mattino e sera: «Ascolta Israele, Adonai è nostro Dio, Adonai è unico! e tu amerai Adonai tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutte le tue forze…»
La recita dei 10 comandamenti è scomparsa dalla liturgia ebraica 70, le altre due preghiere sono ancora al centro della prima parte dell’ufficio sinagogale del mattino. A questo momento si libera tutto lo spazio fra l’altare e l’ingresso al Santuario, quello tra la porta del Santuario e i gradini che scendono verso il cortile esterno a Est. Lentamente, preceduto da due sacerdoti che hanno pulito lo Hekhàl e vi getteranno un’ultima volta lo sguardo prima di ritirarsi, circondato dai suoi due assistenti, il sacerdote che deve offrire l’incenso avanza verso il Santuario sui cui gradini egli sale. Durante questo tempo si batte uno strumento tipo gong, chiamato Magrafàh, il cui suono potente, secondo la Mishnàh si sentiva fino a Gerico 71 e tutti quelli che sono nel Tempio sanno che devono tacere e finire di sistemarsi in silenzio 72: i sacerdoti ai lati del loro cortile, i leviti di fianco agli scalini che collegano i cortili e sul palco 73 riservato alla schola e all’orchestra 74, sul bordo Est a sinistra del cortile dei sacerdoti.
Nel Santuario, uno degli assistenti, sparge la brace sull’altare dell’incenso mentre’ l’altro tiene il vassoio con l’incensiere, poi l’incensiere e il cucchiaio d’oro viene dato al sacerdote designato per offrire l’incenso e lo si lascia solo. Quando gli accoliti escono, tutto il popolo si prostra in silenzio 75. Solo davanti a Dio, il sacerdote versa la sua mezza libra di incenso in modo di ricoprire tutta la superficie dell’altare coperto di braci. Il fumo dell’incenso riempie rapidamente tutto il Santuario 76.
Esso è composto, secondo un segreto tenuto dalla famiglia di Attineo 77, da 36 specie di resine e di radici diverse, in più ambra e erbe seccate e polverizzate, destinate a rendere il fumo più denso.
Un piccolo filo di fumo doveva uscire dalle fessure della porta. Sugli scalini che portano al Santuario, ai lati, sette sacerdoti muniti di trombe aspettano che il sacerdote abbia finito per suonare nel momento in cui uscirà (dal battente a Nord) 78.
Nella liturgia celeste dell’Apocalisse, Giovanni ce la descrive dandole delle dimensioni cosmiche. «Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe. poi venne un altro angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi. Poi l’angelo prese l’incensiere lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto. I sette angeli che avevano le sette trombe si D’altronde, la mentre Isaia, accinsero a suonarle» (Ap 8,2-6). visione di Isaia non è avvenuta come sacerdote, faceva l’offerta dell’incenso? «… il Tempio si riempiva di fumo… uno dei serafini volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare» (Is 6, 4-6).

La Mishnàh non lo dice, ma è qui, dopo il suono delle trombe, che doveva esserci il canto del Sanctus, che è passato da qui alla liturgia della sinagoga e a quella della Chiesa. I sacerdoti cantavano seguendo le benedizioni, una parte delle quali si è conservata nell’ufficio della sinagoga: «Tu sei veramente il Signore nostro Dio e Dio dei nostri padri, nostro Creatore e Roccia della nostra salvezza, nostro Soccorso e nostro Redentore. Il Tuo Nome è eterno e non c’è altro Dio all’infuori di Te: quelli che Tu hai salvato vicino al mare ti hanno cantato un canto nuovo; tutti ti lodano e ti proclamano loro re e dicono: Adonai regna, lui che ha salvato Israele…» 79.
Allora si accendono le ultime due lampade della Menoràh e i sacerdoti vanno a sistemarsi in fila sugli scalini che portano al Santuario per benedire la folla, le mani alzate al di sopra delle teste inchinate 80. Il sacerdote che ha offerto l’incenso è al centro e comincia la formula della benedizione di Aronne che gli altri dicono con lui in coro: “Che il Signore vi benedica e vi custodisca, che faccia splendere su di voi la luce del suo volto e che vi dia la pace” 81. Pensate all’effetto che deve fare se egli non può parlare …82 Il popolo non. risponde “Amen!” al Tempio, ma “Benedetto sia il Nome glorioso; il Suo regno è eterno!”.
Dopo questo, il sacerdote designato dal sorteggio per ciò, aiutato dai confratelli compie il sacrificio d’olocausto, gettando i pezzi d’agnello sul fuoco, dopo averli fatti oscillare 83, poi vengono portate e gettate nel fuoco le dodici torte di farina, preparate secondo una ricetta di ‘cui una famiglia, quella di Garmu 84, ha la ricetta, in una stanza a Sud della Porta di Nicanore, poi gli altri cibi e sacrifici offerti a nome di tutto il popolo.
A volte il Sommo Sacerdote, assistito dallo Sgan, fa lui stesso queste offerte sull’altare 85. Al momento della libagione si dà un segnale, poi si fanno suonare i cembali e due trombe’ dopo di che i leviti cominciano a cantare, accompagnati dall’orchestra del Tempio86, i sacerdoti voltati verso il popolo, i leviti rivolti al Santuario. Uomini e ragazzi cantano il salmo del giorno 87. (La domenica il Salmo 24: “Del Signore è la terra e tutto ciò che contiene…”) in tre parti divise da suoni di tromba durante i quali il popolo si prostra. Poi il sacerdote designato, a volte il Sommo Sacerdote stesso, legge la Toràh.
Dopo l’offerta dei sacrifici pubblici, i singoli portano a loro volta le offerte: olocausti 88, sacrifici per il peccato 89, sacrifici per una trasgressione 90 o sacrifici ‘pacifici 91. Questi consistono in una bestia maschio per gli olocausti, un capro o un montone per i peccati o le trasgressioni (o le purificazioni che sono loro equiparati) 92, una bestia, maschio o ‘femmina, per i sacrifici pacifici. Le bestie, bagnate nella piscina delle pecore, entrano dalla porta Nord-Est. Colui che le offre sale gli scalini che separano il cortile di Israele da quello dei sacerdoti e, in alto, impone le due mani sulla testa dell’animale 93 che viene poi immolato.
Un semplice israelita può spezzargli il collo, ma è sempre un sacerdote che deve raccogliere il sangue che è versato contro la base dell’altare o, nel sacrificio per il peccato, sparso con la mano contro gli angoli dell’altare.
Certi pezzi, tra cui il cuore, la testa, la coda grassa, i reni, le viscere sono sempre bruciati sull’altare 94: le pelli appartengono di diritto ai sacerdoti, il resto o è bruciato, o è mangiato dai sacerdoti (petto e cosciotto anteriore destro per i sacrifici pacifici; i sacrifici per il peccato possono essere mangiati dai sacerdoti solo quando provengono da un singolo; sono bruciati completamente quando il sacrificio è offerto per il Sommo Sacerdote, il re o tutto il popolo). Il sangue è asperso o versato eccetto quando si tratta di un sacrificio per i peccati del popolo, allora è asperso nello Hekhàl, contro la cortina del Santo dei Santi.
Ogni sacrificio di sangue è accompagnato obbligatoriamente da un sacrificio di farina cotta o no, di olio e una libagione di vino Kosher 95.
I poveri che non possono pagarsi un animale grosso possono portare una coppia di piccioni o di tortore o, se sono indigenti, una torta di farina. Tutti i sacrifici vengono presentati sui gradini tranne quelli per il riscatto dei Primogeniti 96, offerti davanti ai gradini che vanno dalla porta dei Primogeniti alla metà del cortile, a Sud. Un pagano che offriva un sacrificio lo consegnava ai sacerdoti all’entrata del cortile delle donne e non aveva il diritto di imporgli le mani 97: do faceva il sacerdote al suo posto. I sacrifici offerti dai pagani, come quelli offerti tutti i giorni a nome dell’imperatore, erano sempre bruciati in olocausto, non essendo i pagani in comunione con i sacerdoti. Sulle decime e le primizie, una manciata era bruciata sull’altare, il resto era distribuito tra i sacerdoti e i leviti, compresi quelli non adatti al servizio per tara fisica. Essi potevano portarle a casa e darne alla loro moglie e ai figli (compreso le ragazze non sposate).
Durante l’offerta dei sacrifici dei privati, almeno per una parte del tempo, i leviti cantavano i “Salmi graduali” (120-134) in piedi sugli scalini che uniscono il cortile delle donne a quello degli uomini 98 lasciando un passaggio libero, o sul loro palco. Il coro comprendeva dei sacerdoti e dei leviti bambini che facevano i soprani ed era diretto da un maestro di coro. Nei cortili esterni c’era una scuola speciale dove i giovani sacerdoti e i leviti imparavano il loro ruolo liturgico e anche una sala “Beth ha-Midràsh” (casa del Midràsh) 99 in cui maestri celebri come Hillel 100 o Gamaliel 101 insegnavano la Toràh. Sotto i portici esterni c’erano dei banchi di marmo dove i rabbini potevano sedersi con un gruppo di discepoli, circondati da curiosi in piedi o seduti per terra. Si studiava in particolare tutto ciò che si riferiva al culto.

Sacrificio supplementare e sacrificio della sera

Durante i sabati, i giorni di Neomenia 102 e di festa 103, c’era un olocausto supplementare (mussàf) 104 alla fine della mattinata, simile a quello del mattino, tranne che non era seguito da una lettura della Legge.
Ogni giorno verso le 16.00 si procedeva al sacrificio della sera 105. Era offerto dagli stessi sacerdoti di quello del mattino e secondo lo stesso rituale, tranne che si sorteggiava colui che avrebbe offerto l’incenso della sera. Era anche accompagnato dal canto dei leviti e dall’accompagnamento di strumenti.
Dopo una giornata di servizio, i sacerdoti erano stanchi morti, soprattutto dopo i giorni di festa quando il popolo offriva migliaia di sacrifici individuali; in inverno, dovevano essere intirizziti dal freddo, malgrado il calore del fuoco, dell’altare. Ma avevano trascorso la loro giornata in “Avodàh” servendo il Signore con tutte le loro forze, in senso sia fisico che spirituale. Si capisce come i sacerdoti squalificati, vestiti di nero, fossero inconsolabili, e come i Giudei pii continuino a pregare per la ricostruzione del Tempio e del suo culto.


 

 

Note

1 A prescindere dal sacrificio specifico di cui si sta parlando, all’olocausto, secondo il rituale di Lev. 1, era destinato un animale maschio, senza difetti (cf. Lv 22,17-25), preso dal bestiame grosso o minuto oppure fra gli uccelli, ma in questo caso poteva essere soltanto una tortora o un piccione. La vittima era presentata dall’offerente il quale doveva trovarsi in stato di purità rituale. Dopo avervi posato su le mani – questa cosa non veniva fatta quando la vittima era un uccello – l’animale veniva scorticato, fatto a pezzi, il suo sangue versato alla base dell’altare e i pezzi posti infine a bruciare su di esso. L’olocausto era accompagnato da un ‘offerta di farina intrisa con olio e da una libazione di vino (cf. Nm 15,1-16). Come l’olocausto, anche la farina veniva bruciata e il vino versato ai piedi dell’altare come si era fatto in precedenza col sangue (cf. Sir 50,15; per una trattazione più ampia sull’olocausto cfr. De Vaux, Les Institutions de l’A .T., II pp.292-293) .

2 Si tratta del secondo. “Dirai loro: ‘Questo è il sacrificio con il fuoco che offrirete a Jahvè: agnelli di un anno, integri, due al giorno, olocausto perenne. Di un agnello lo farai al mattino, del secondo agnello lo farai tra le due sere” (Nm 28,3-4; cf. Es 29,38-42). L’olocausto di questi due agnelli, .costituendo la base essenziale del culto quotidiano al Tempio, era chiamato semplicemente “Tamid”. Il termine, che significa “perenne”, viene usato già da solo con riferimento al culto da Daniele (cf. 8,11.13;11,31;12,11) e passerà così a designare la stessa cosa nella tradizione rabbinica. Il Tamid era offerto in favore di tutta la comunità ed era quasi una sua preghiera quotidiana e incessante. Per questo la sua sospensione, per causa di forza maggiore, era considerata la massima delle sciagure

  1. A prescindere dal sacrificio specifico di cui si sta parlando, all’olocausto, secondo il rituale di Lev. 1, era destinato un animale maschio, senza difetti (cf. Lv 22,17-25), preso dal bestiame grosso o minuto oppure fra gli uccelli, ma in questo caso poteva essere soltanto una tortora o un piccione. La vittima era presentata dall’offerente il quale doveva trovarsi in stato di purità rituale. Dopo avervi posato su le mani – questa cosa non veniva fatta quando la vittima era un uccello – l’animale veniva scorticato, fatto a pezzi, il suo sangue versato alla base dell’altare e i pezzi posti infine a bruciare su di esso. L’olocausto era accompagnato da un ‘offerta di farina intrisa con olio e da una libazione di vino (cf. Nm 15,1-16). Come l’olocausto, anche la farina veniva bruciata e il vino versato ai piedi dell’altare come si era fatto in precedenza col sangue (cf. Sir 50,15; per una trattazione più ampia sull’olocausto cfr. De Vaux, Les Institutions de l’A .T., II pp.292-293) .
  2. Si tratta del secondo. “Dirai loro: ‘Questo è il sacrificio con il fuoco che offrirete a Jahvè: agnelli di un anno, integri, due al giorno, olocausto perenne. Di un agnello lo farai al mattino, del secondo agnello lo farai tra le due sere” (Nm 28,3-4; cf. Es 29,38-42). L’olocausto di questi due agnelli, .costituendo la base essenziale del culto quotidiano al Tempio, era chiamato semplicemente “Tamid”. Il termine, che significa “perenne”, viene usato già da solo con riferimento al culto da Daniele (cf. 8,11.13;11,31;12,11) e passerà così a designare la stessa cosa nella tradizione rabbinica. Il Tamid era offerto in favore di tutta la comunità ed era quasi una sua preghiera quotidiana e incessante. Per questo la sua sospensione, per causa di forza maggiore, era considerata la massima delle sciagure
  3. L’organizzazione dei sacerdoti era strettamente gerarchica ed ereditaria: appartenenti alla tribù di Levi erano tali solo perché discendenti di Aronne. Tra questi, il Sommo Sacerdote rappresentava la linea primogenita (cf. Lv 21,10).
  4. In base a Es 27,1-3;38,3 possiamo immaginare almeno questi: conche, palette, bacini, forchettoni, bracieri; secondo la Mishnàh uno dei momenti preparatori alla immolazione del Tamid consisteva nel trarre dal loro deposito 93 utensili d’argento e d’oro (cf. m. Tamid 3,4).
  5. I calzoni (mutande) di lino fine arrivavano fino al ginocchio; la tunica, pure di lino fine e con maniche, ricopriva il corpo fino ai piedi; la cintura in cui figuravano i quattro colori del Tempio e cioè, l’azzurro, la porpora, lo scarlatto e il bianco; il copricapo, a forma di turbante, sempre di lino fine (cf. Es 28,40-43). Secondo Giuseppe Flavio i quattro colori corrispondevano ai quattro elementi naturali: il lino bianco simbolizzava la terra; la porpora rappresentava il mare; l’azzurro l’aria e lo scarlatto era il simbolo del fuoco (cf. Jew. Ant. III, 183). Ancora secondo il nostro autore, la tunica del Sommo Sacerdote, essendo di lino, simbolizza la terra e il suo azzurro l’arco dei cieli, mentre le sue melagrane richiamano il saettare del lampo e il suono dei suoi campanelli il tuono. L’efod, allo stesso modo, riflette i quattro elementi della natura. Il fatto che fosse intessuto d’oro è un richiamo alla luce solare tutto penetra; il pettorale, posto nel mezzo, rappresenta la terra che occupa un posto mediano fra i pianeti. La cintura cinge il Sommo Sacerdote simbolizza l’oceano che tutto abbraccia; le due pietre di sardonico puntate sul suo abito raffigurano il sole e la luna mentre le dodici pietre del pettorale le dodici costellazioni dello zodiaco. Il copricapo azzurro rappresenta il cielo e la lamina d’oro che lo cinge, secondo Giuseppe Flavio, è la delizia di Dio (cf. Ant. Giud. III, “184-187; La Guerra Giud. V , 231- 235; Filone, De vita Mosis, II, 117-126).
  6. In italiano lo conosciamo col nome di “siclo”. Nell’antichità giudaica era l’unità di valore con la quale si pesava l’oro o l’argento, ma col nome di “siclo del santuario” (Lv 5,15) s’intendeva l’unità di misura per il pagamento delle imposte che veniva fatto a favore del Tempio (cf. Es 30,13; Nm 3,47; 18,16). Nel 139-138 a.C., Simone Maccabeo ottenne da Antioco VII Sidete il diritto di battere moneta propria (cf.1Macc 15,6) e furono coniati così il siclo d’argento (= gr.14,5) e il mezzo siclo d’argento (= gr.7,2). Il mezzo siclo, corrispondente a due denari romani, rimase la tassa che ogni israelita maschio, dai vent’anni in su era tenuto a versare annualmente come contributo per le spese del culto (cf. Mt 17,24-27). Le donne non erano tenute a farlo, ai pagani era proibito, anzi, questi ultimi potevano fare solo offerte libere. La riscossione era indetta il primo giorno del merse di Adàr. Era consuetudine, il primo del mese di Adàr con l’inizio nel Tempio dell’anno nuovo, fare nuove riscossioni in favore del mantenimento del Tamid; il denaro in più veniva usato per gli altri bisogni del santuario. Il 15 di Adàr, venivano disposti in tutto Israele i tavoli dei cambiavalute. Il 25 di Adàr chiudevano la loro attività nelle città per riprenderla solo nel tempio (cf. m. Shekalim 1,5; 2,5; 4,3).
  7. Nm 15,1-3.
  8. Cf. Gv 2,13-16 e paralleli.
  9. I sacerdoti erano ripartiti in 24 classi (Mishmarot) ciascuna delle quali serviva al Tempio per una settimana. Ogni classe era divisa a sua volta per turni in “casati” (difficile tradurre propriamente Bet-Abot), ciascuno dei quali serviva in un giorno prestabilito. Il numero dei “casati” non era lo stesso per ogni classe: qualcuna ne aveva quattro, altre anche nove e queste venivano divise proporzionalmente secondo i giorni della settimana (cf. Compendia Rerum Judaicarum ad N.T. pp. 870-871).
  10. La strutturazione del servizio di culto in 24 classi è fatta risalire dalla Scrittura già all’epoca davidica (cf. 2Cr 24,1-19). Ogni classe possedeva una propria organizzazione interna: ciascuna era presieduta da un capo (Rosh ha-Mishmar) il quale era coadiuvato dai “capi di casato” (Rosh Bet Abot). Ci viene riferito che agli anziani dei “casati” (Ziknei Bet Ab) erano affidate le chiavi del Tempio le quali venivano poi consegnate agli anziani del turno successivo (cf. t. Taanit 2,2; t. Horajot 2,10; m. Middot 1,8). La maggior parte dei sacerdoti, soprattutto i sacerdoti ordinari, non viveva a Gerusalemme. Al tempo di Gesù troviamo famiglie e larghi gruppi di sacerdoti che vivono in Sefforis, a Gerico in una città sulle colline della giudea e altrove (cf. t. Joma 1,4; j. Taanit 20/b; Lc. 1,39). I sacerdoti salivano a Gerusalemme per il loro periodo di servizio e ritornavano a casa al termine di esso. Anche Zaccaria, della classe di Abia (Lc 1,5), «compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa» (Lc. 1,23). Durante il loro soggiorno a Gerusalemme alloggiavano nella zona sacra loro riservata nel Tempio (cf. Comp. Rerum Jud., ib.).
  11. In j. Taanit 20/a viene descritto il sorteggio con cui queste famiglie vengono suddivise in 24 classi. I capi delle classi sacerdotali poi stabiliscono i “capi di casato” e i turni di servizio.
  12. Cf. Lc 1,5.
  13. Letteralmente “Bait” vuoi dire “casa”, ma può intendersi anche nel senso di “casato”, “clan”, “famiglia”.
  14. «I sacerdoti possono officiare dopo la pubertà fino alla vecchiaia a meno che non abbiano una tara (fisica), i leviti da 30 a 50 anni e le tare non impediscono…» (t. Hullin 1,16).
  15. Cf. Lv 21,16-23.
  16. Questa somma è ricavabile da Esd. 2,36-37.
  17. Secondo Lv 21,17-24 coloro che avessero qualche imperfezione, fossero cioè ciechi, zoppi, mutilati, deformi, storpi, gobbi, ecc. erano squalificati dall’offrire sacrifici al Signore (cf. anche m. Bekorot 7,1-6). Però i sacerdoti “difettosi” non erano per questo esclusi dal servizio nel Tempio. Vi salivano unitamente alla loro classe d’appartenenza, usufruivano del diritto di mangiare dalle “cose sante” e dalle “santissime” (cf. Lv 21,22) provenienti dalle offerte individuali o di gruppo e prendevano parte alla loro distribuzione. Le fonti giudaiche confermano che la consuetudine della distribuzione delle cose sante ai sacerdoti con difetti fisici era ancora praticata. Come si notava questi sacerdoti non erano interamente preclusi dal servizio al Tempio. Molti riti infatti, che non erano direttamente connessi coi sacrifici, come il suono delle trombe in alcune circostanze, l’impartire la benedizione ai fedeli, la preparazione della legna per i sacrifici, erano svolti da loro (cf. Sotah 7,8; Sifrè Num. su 10,8; m. Middot 2,5).
  18. Cf. Gios 9,27; 1Cr 9,2; Nee 11,3; Ez. 44,7-9.
  19. Presumibilmente, sr. Despina si riferisce al primo e al secondo Tempio. Col termine “primo Tempio” s’intende quello costruito da Salomone (cf. I Re 6,1-37) e distrutto nel 587 a.C. dai babilonesi (cf. Ag 2,3), ancora in fase di completamento ai tempi di Gesù (cf. Gv 2,20) e distrutto da Tito nel 70 d.C.
  20. Cf. 2Macc 3,1. 31-33; 4,1ss.
  21. Kippur” significa “espiazione”, “perdono”. Su questa ricorrenza importantissima cf. Lv 23,26-32; 16,1-34. Sei giorni prima del giorno del Kippur era invalsa la tradizione di trasferire il Sommo Sacerdote, dalla sua casa ad una speciale stanza nel Tempio in cui si predisponeva alla celebrazione e ne ripassava il rito che avrebbe dovuto compiere in favore di tutto il popolo. Durante la notte che precedeva lo Jom Kippur doveva rimanere sveglio per evitare l’eventualità di una polluzione che avrebbe compromesso la sua purità. Sacerdoti e leviti di Gerusalemme venivano a fargli visita e cercavano di distrarlo perché non si addormentasse. Gli leggevano le Scritture ed egli le leggeva a loro e quest’abitudine, legata a questa vigilia, si mantenne anche dopo la distruzione del Tempio in ricordo di esso (cf. m. Joma 1,5-7; 3,3-6; Giuseppe Flavio, La Guerra Giud. V, 236; t. Joma 1,9; b Joma 19/b).
  22. Gazìth” significa “pietra squadrata”; è il nome dato alla sede di uno dei tre tribunali del Sinedrio: uno soleva riunirsi alla porta di accesso alla spianata situata ad ovest di fronte al Cortile delle Donne, uno alla porta di accesso al Cortile degli Israeliti e il terzo nella sala sunnominata (cf. m. Sanhedrin 11,2; t. Sanhedrin 7,1; t. Hagigàh 2,9). Nel Gazìt il Sinedrio si riuniva per giudicare i sacerdoti e per valutare la loro idoneità al culto. Se uno di loro veniva trovato con tare fisiche (cf. la nota 17) , doveva vestire con un abito nero e velarsi di nero. Se invece risultava idoneo vestiva di bianco e portava un velo dello stesso colore (cf. m. Middot 5,4).
  23. Letteralmente “capo dei sacerdoti”, detto anche semplicemente “Sgan” o “Memunèh”. Era la seconda autorità addetta al culto dopo il Sommo Sacerdote (cf. b. Joma 39/a; m. Tamid 7,3; m. Joma 7,1;4,1; j. Joma 19/b). Lo Sgan sostituiva il Sommo Sacerdote quando questi non era idoneo all’incarico, oppure lo accompagnava durante il suo servizio e poteva essere preposto al Tamid (cf. la nota 2). Lo Sgan delle fonti talmudiche probabilmente corrisponde allo “strategòs” o, “strategos toù ieroù” di Giuseppe Flavio e del N.T. (cf. At. 4,1;5,24-26; La Guerra Giud. VI,294). Le sue funzioni, nelle une come nelle altre fonti, sono simili. Egli presiedeva, secondo le fonti greche, anche all’amministrazione quotidiana del Tempio: le procedure dei rituali, il mantenimento dell’ordine e della disciplina (cf. Comp. Rerum Jud., pp. 875-876).
  24. Come si diceva nella nota precedente questo “capitano del Tempio” corrisponde probabilmente allo Sgan. In ogni modo, questo personaggio era responsabile di un personale numeroso comprendente anche graduati (cf. Lc 22,4.52). Questo corpo permanente di ufficiali sovraintendeva e coadiuvava i sacerdoti nel loro servizio, era preposto al culto quotidiano e alle sue procedure come ai turni settimanali dei sacerdoti. Questi ufficiali, ancora, distribuivano i compiti fra i sacerdoti, annunciavano i singoli riti, erano addetti all’amministrazione connessa alla vita del Tempio e ai rapporti col pubblico (cf. m. Shekalim 5,1 -2.4). Fra questi ufficiali vi erano anche leviti, addetti alla chiusura delle porte del Tempio, responsabili delle chiavi, della legna, ecc. Questi incarichi erano trasmessi di padre in figlio (cf. t. Shekalim 2,14; t. Joma 2,5-8).
  25. «I sacerdoti facevano la guardia in tre luoghi nel Tempio: nella Casa di Abtinas, nella Camera della Fiamma e nella Sala del Focolare. I leviti in ventun luoghi: cinque alle cinque porte del monte del Tempio, quattro ai suoi quattro angoli all’intero, cinque alle cinque porte della spianata, quattro ai suoi quattro angoli all’esterno, uno nella Stanza dell’Offerta – vi si custodivano gli agnelli per il Tamíd – uno nella Stanza della Cortina – dove sembra si tessesse la cortina che separava il Santo dal Santo dei Santi – e uno dietro il Santo dei Santi (all’esterno)» (m. Middot 1,1). La narrazione del cambio della guardia è attinta da m. Middot 1.
  26. Si chiamava così a motivo di colui che l’aveva fatta. Misurava m. 13,86. di altezza e m. 6,93 di larghezza, era interamente in bronzo pregiato, placcata d’oro e d’argento (cf. m. Middot 2,3; A. Parrei, Il Tempio di Gerusalemme, p. 73 nota 33).
  27. Cf. Nm 18,8-32.
  28. «Agli uomini della guardia era permesso bere vino durante la notte, ma non durante il giorno. Agli uomini del “casato” nè di giorno né di notte» (m. Taanit 2,7).
  29. Cf. m. Middot 2,5.
  30. Questa parte della narrazione si rifà principalmente a m. Tamid 1,1-4.
  31. Cf. m. Taanit 1,1; m. Middot 1,1 «C’erano quattro stanze nella Sala del Focolare; erano come celle, aperte verso la sala: due sull’area sacra e due (sul lato opposto), sull’area profana. Spalliere di pietra indicatorie separavano (la zona) sacra dalla profana. A cosa servivano? Quella a sud-ovest era la stanza dell’Offerta – cf. nota 25 -; quella a sud-est era la stanza di coloro che facevano i pani di proposizione; in quella a nord-est i figli degli Asmonei custodivano le pietre dell’altare che i re greci avevano contaminato (cf.1Macc. 4,44-46); attraverso quella a nord-ovest si scendeva nella sala (dei bagni) di purificazione. C’erano due ingressi nella Sala del Focolare, uno aperto verso le mura e uno verso il cortile (del Tempio). Rabbi Judah diceva: “In quello aperto verso il cortile (del Tempio) c’era una porticina – o un cancelletto – attraverso il quale si entrava a controllare il cortile”» (m. Middot 1,6-7).
  32. Cf. m. Taanit 1,1; m. Middot 1,1: «C’erano quattro stanze nella Sala del Focolare; erano come celle, aperte verso la sala: due sull’area sacra e due (sul lato opposto), sull’area profana. Spalliere di pietra indicatorie separavano (la zona) sacra dalla profana. A cosa servivano? Quella a sud-ovest era la stanza dell’Offerta – cfr. nota 25 -; quella a sud-est era la stanza di coloro che facevano i pani di proposizione; in quella a nord-est i figli degli Asmonei custodivano le pietre dell’altare che i re greci avevano contaminato – cfr. I Macc. 4,44-46 -; attraverso quella a nord-ovest si scendeva nella sala (dei bagni) di purificazione. C’erano due ingressi nella Sala del Focolare, uno aperto verso le mura e uno verso il cortile (del Tempio). Rabbi Judah diceva: “In quello aperto verso il cortile (del Tempio) c’era una porticina – o un cancelletto – attraverso il quale si entrava a controllare il cortile”» (m. Middot 1,6-7).
  33. Cf. m. Middot 1,2.
  34. Mishnàh: si chiama così la raccolta delle tradizioni orali più antiche redatta tra l’inizio della ricostruzione del giudaismo a Jahvne, dopo la durissima repressione di Tito che comportò la distruzione del Tempio, e la morte dell’ultimo redattore. Rabbi Jeuda il Principe, all’inizio del III secolo (70-219 circa d.C.). Si menzionano questi W.C. in m. Tamid 1,1.
  35. Il canto del gallo chiudeva l’ultima veglia notturna e dava l’avvio al computo delle ore del giorno.
  36. La purità rituale dei sacerdoti era particolarmente esigita, cf. Lv. 22,3-9; m. Tamid 1,1; m. Menahot 1,2; m. Zebahim 12,1; t. Zebahim 12,15; Giuseppe Flavio, La Guerra Giud. V, 229.
  37. In giorno di sabato era rigorosamente vietato anche il semplice spostamento di una lampada (cf. m. Shabbat 1,3; t. Shabbat 1,13).
  38. «Diceva loro il preposto: “Venite e tirate a sorte chi deve macellare, chi aspergere (il sangue), chi levare la cenere dall’altare interno, chi levarla dal candelabro, chi deve portare le parti sulla rampa: (chi) la testa, (chi) una zampa posteriore, (chi) le due zampe anteriori, (chi) la coda, (chi) l’altra zampa posteriore, (chi) il petto,, (chi) il collo, (chi) i costati, (chi) le interiore, (chi) il fior di farina, (chi) le focacce, (chi) il vino. Tiravano a sorte, tocca a chi tocca”» (m. Tamid 3,1).
  39. Per tutta questa parte cf. m. Tamid 1,4-2,5.
  40. Cf. m. Tamid 3,4; 4,1.
  41. Cf. m. Tamid 3,5.
  42. “Hekhàl”, letteralmente “tempio”, “palazzo”, ma più specificatamente con questo termine si designava “il Santo” cioè quella parte del Tempio immediatamente precedente il Santo dei Santi. La pulizia dello Hekhàl consisteva nella rimozione delle ceneri dall’altare dell’incenso, nell’immissione di olio nuovo e nella collocazione di lucignoli nuovi sul candelabro dalle sette braccia così come nella sua ripulitura. (cf. m. Tamid 3,6.9).
  43. Cf. m. Tamid 3,2.
  44. Cf. m. Tamid 3,8; m. Joma 3,1.
  45. Si tratta di tipo del suono emesso dalle trombe: tekiàh, suono continuato; teruàh, suono di tre note in rapida successione; tekiàh, suono continuato (cf. m. Tamid 7,3). Secondo il Talmud, la lunghezza del suono continuato deve essere identica a quella delle tre note in rapida successione (cf. b. Rosh ha-Shanàh 33/b-34/a). «Non si facevano meno di 21 squilli nel Tempio nè più di 48 (ogni giorno). Ogni giorno c’erano 21 squilli: tre all’apertura delle porte, nove per il Tamid del mattino e nove per il Tamid della sera e in occasione delle offerte supplementari se ne aggiungevano ancora nove. La vigilia del sabato se ne aggiungevano ancora sei: tre per far sì che il popolo si separasse dal lavoro e tre per segnare la separazione fra sacro e profano. Se la vigilia del sabato (cadeva) di festa ce n’erano 48: tre all’apertura delle porte, tre alla porta superiore, tre alla porta inferiore, tre alla riempitura dell’acqua, tre all’altare, nove per il Tamid del mattino e nove per il Tamid della sera, nove per le offerte supplementari, tre per far sì che il popolo si separasse dal lavoro e tre per segnare la separazione fra sacro e profano» (m. Sukkàh 5,5).
  46. «I recipienti non avevano basi perché non venissero posati e il sangue raggrumasse» (m. Pesàhim 5,5).
  47. Cf. m. Middot 4,2; m. Tamid 3,6.
  48. É il notissimo candelabro a sette braccia in oro massiccio (cf. Es 25,31-40; 1Re 7,49). Insieme all’altare dell’incenso e alla tavola dei pani di proposizione costituiva il mobilio dello Hekhàl.
  49. Una minuta descrizione della procedura di macellazione del Tamid si può leggere in m. Tamid 4,2-3.
  50. Vedi la nota esplicativa n. 3 nella pagina che riporta la pianta del Tempio.
  51. Secondo Lv 24,5-9 i pani di proposizione erano dodici torte di fior di farina disposte in due file su un tavolo collocato di fronte al Santo dei Santi ed erano sostituiti ogni sabato (cf. già in 1Sam. 21,7). Erano un pegno dell’alleanza delle dodici tribù d’Israele con Jahvè e venivano mangiati dai sacerdoti. Ezechiele paragona il tavolo dei pani di proposizione a un altare (cf. 41,21-22); questo altare era già presente fra il mobilio della tenda di convegno del tempo dell’Esodo (cf. Es. 25,23-30; altre cose in De Vaux, op. cit., II pp. 300-301). «C’erano due tavoli nel portico di fronte all’ingresso del Santuario, uno di marmo e uno d’oro. Su quello di marmo venivano disposti i pani di proposizione che dovevano esser introdotti e su quello d’oro quelli che venivano portati fuori, poiché ciò che è stato nel Santo viene innalzato e non abbassato» (m. Menahot 11,7). Sul rituale riguardante i pani di proposizione cf. ancora m. Menahot 11,5-9.
  52. Cf. Lv. 2,13; Ez. 43,24; ecc.; m. Tamid 4,3. Il sale accelerava e migliorava la combustione dei sacrifici. Era usato in così grande quantità che nel Tempio era necessario ve ne fosse un deposito (cf. m. Middot 5,3).
  53. «Dove facevano le prostrazioni? Quattro a nord, quattro a sud, tre a est e due a ovest in direzione delle tredici porte. Le porte a sud a cominciare da ovest: la Porta Superiore, la Porta del Fuoco, la Porta delle Primizie, la Porta delle Acque; … nella parte opposta a cominciare da ovest: la Porta di Jeconiah, la Porta dell’Offerta, la Porta delle Donne, la Porta del Canto; Ad est: la Porta di Nicanore, che aveva due ingressi (laterali), uno alla sua destra e uno alla sua sinistra; e due (porte) a occidente che non avevano nome” (m. Shekalim (6,3; cf. anche m. Middot 2,3. 6; m. Shekalim 6,1).
  54. Per Kippur vedi la nota 20. Rosh ha-Shanàh significa “capodanno”. Non corrisponde al nostro, ma cade il primo del mese di Tishri (settembre-ottobre) cf. Lv 23-25; Nm 29,1-6. Un’intero trattato della Mishnàh è dedicato a questa festa e ne porta il nome.
  55. Cf. m. Berahot 9,5.
  56. Secondo la Mishnàh, c’erano nel Tempio delle camere senza tetto che davano sul Cortile delle Donne nelle quali si conservava vino, olio, legna. Fra di esse erano distribuite tredici cassette a forma di trombe rovesciate (Shofarot) dove si deponevano le offerte per le diverse necessità del culto. «Nel tempio c’erano tredici shofarot e su di esse era scritto: ”nuovi sicli”, “vecchi sicli”, “offerte di uccelli”, “giovani uccelli per l’olocausto”, “legna”, “incenso”, “oro per i vasi sacri”; su sei (di esse): “offerte spontanee”, “nuovi sicli”, quelli per ogni anno; “vecchi (sicli)”, se qualcuno non ha pagato questo siclo l’anno precedente, (lo) paga nell’anno che viene; “offerta di uccelli”, queste sono tortore; “giovani uccelli per l’olocausto”, sono i piccoli della colomba, tutti per l’olocausto. Cosi diceva Rabbi Judah, Ma i saggi dicono: Per le “offerte di uccelli”, una è (offerta) per il peccato e l’altra per l’olocausto. I ”giovani uccelli per l’olocausto” sono tutti per l’olocausto» (m. Shekalim 6,5) .
  57. Di diversa natura rispetto a quelli prescritti cioè doni spontanei di qualsiasi genere.
  58. «Nella camera dei segreti i devoti mettevano (i loro doni) in segreto e i poveri, di buona famiglia, ricevevano aiuti da essa in segreto» (m. Shekalim 5,6).
  59. Sono chiamati anche “sacrifici di comunione”. Erano di tre tipi: “sacrifici di lode” (cf. Lv 7,12-15; 22,29-30), “sacrifici spontanei” (cf. Lv 7,16-17; 22,18-23) e “sacrifici votivi” offrendo i quali ci si impegnava con un voto (cf. Lv. 7,16-17; 22,18-23). La caratteristica di questi riti è il fatto che la vittima veniva divisa fra Dio, il sacerdote e l’offerente che la mangiava come cosa santa. La parte riservata a Dio era bruciata sull’altare. Fanno parte di essa il grasso dei visceri, i reni, la coda grassa degli ovini, il fegato; come il sangue il grasso è considerato infatti una parte vitale (cf. Lv. 3,16-17; 7.22-24). Al sacerdote erano destinati il petto e la coscia destra (cf. Lev. 7,28-34; 10,14-15) e l’offerente riceveva il resto della carne e lo consumava con la sua famiglia e con gli invitati che si trovavano, come lui, in stato di purità rituale.
  60. Il termine “Avodàh” indica qui non tanto il lavoro nella sua connotazione generica, ma il lavoro in senso spiccatamente liturgico-culturale. «Simeone il giusto, uno dei sopravvissuti della grande sinagoga diceva: “Il mondo si regge su tre cose: la Toràh, il Culto (= Avodàh), le opere di carità”» (m. Abot 1,2).
  61. Cf. m. Berahot 5,1; 6. Berahot 30/b.
  62. Poco prima dell’ora terza (= 9.00), cf. Mt 20,3; Mc 15,25.
  63. Era realmente una rampa obliqua, senza gradini (cf. m. Middot 3,3). «Risultava che tutti erano in fila con le parti della vittima in mano: il primo con la testa e la zampa destra posteriore, la testa nella destra col naso verso il braccio e le corna fra le unghie, con la parte tagliata in su, coperta dal grasso e la zampa posteriore destra nella sinistra (tenendo) esternamente la parte laddove si cominciava a scorticare; il secondo con le due zampe anteriori, cioè con la destra nella destra e la sinistra nella sinistra, (tenendo) esternamente la parte dove si cominciava a scorticare: il terzo con la punta della spina dorsale e la zampa posteriore sinistra, cioè con la punta della spina dorsale nella destra mentre la coda gli pende tra le dita; con essa il lobo del fegato e i due reni; la zampa posteriore sinistra nella sinistra (tenendo) esternamente la parte dove si cominciava a scorticare; il quarto col petto e col collo: il petto nella destra e il collo nella sinistra con le costole tra le dita; il quinto con i due fianchi: il destro nella destra e il sinistro nella sinistra, (tenendo) la parte dove si- scorticava esternamente: il sesto con i visceri giacenti in una scodella e su di essi, in alto, le ginocchia; il settimo col fior di farina l’ottavo con le focacce: il nono col vino» (m. Tamid 4,3).
  64. Cf. m. Tamid 5,2; m. Joma 3,4.
  65. Cf. m. Joma 3,4.
  66. Poco più di un etto e mezzo. Questa parte del rito è descritta a partire da m. Tamid 5,4-5.
  67. Per questa preghiera cf. J. Bonsirven, Il giudaismo palestinese al tempo di Gesù Cristo, Torino 1950, p. 91.
  68. Cf. m. Tamid 5,1.
  69. “Shemà Jsrael”, “Ascolta Israele”. Questa preghiera importantissima si compone di tre passaggi biblici: Dt. 6,4-9 che è una professione di fede nell’unità divina; Dt 11,13-21 che esprime il principio della retribuzione, brano capitale nella pietà giudaica; Nm 15,36-41 che è il comandamento di portare le frange. Lo Shemà dev’essere recitato due volte al giorno. il mattino e la sera (cf. m. Berahot 2,2).
  70. Cf. Bonsirven, op. cit., p. 90.
  71. Cf. m. Ta
  72. mid 3,8.«Nessuno sentiva la voce del compagno a Gerusalemme per il rumore prodotto dalla Magrafàh: Essa serviva a tre scopi: un sacerdote che ne sentiva il rumore sapeva che i suoi fratelli sacerdoti entravano per prostrarsi, anche lui correva e veniva (a prostrarsi). Un levita che udiva il suo suono sapeva che i suoi fratelli leviti entravano per cantare, anche lui correva e veniva (a cantare); il capo del turno poneva gli impuri alla porta orientale» (m. Tamid 5,6).
  73. Cf. m. Middot 2,6.
  74. Cantori e strumentisti erano tutti leviti e facevano risalire il loro ordinamento a Davide, primo cantore d’Israele. Solo il gruppo dei cantori di Asàf era tornato dall’esilio (cf. Esd. 2,41; Nee. 7,44), ma il Cronista menziona tre famiglie di cantori risalenti al tempo di Davide: quella di Asàf, Heman e Jedutun (o Etàn) (cf. 1Cr 16,37.41) e i figli di queste tre famiglie erano stati ripartiti in 24 classi di dodici membri ciascuna. Lasciando da parte però la questione dell’artificiosità di queste liste, bisogna dire che il canto e la musica sacra avevano ormai trovato uno spazio importante nella liturgia. «Non c’erano meno di dodici leviti che stavano sul palco e potevano esserne aggiunti senza fine» (m. Arakin 2,6). Una lista di strumenti impiegati nel culto può essere trovata nel Sal 150: trombe (cf. m. Sukkàh 5,5); arpe (cf. ib. 5,4; m. Arakin 2,3.6; m. Middot 2,6; ecc.) , cetre (cf. m. Sukkàh 5,4; m. Arakin 2,5.6), timpani (cfr. m. Tamid 3,8; m. Kelim 15,6), flauti (cfr. m. Sukkàh 5,1; m. Arakin2,3; m. Tamid 3,8; ecc.), cembali (cf. m. Shekalim 5,1; m. Sukkàh 5,4; m. Arakin 2,5; ecc.).
  75. «Secondo l’uso del servizio divino, (Zaccaria) fu scelto a sorte per bruciare l’incenso ed entrare col nel Santuario del Signore, mentre tutta la moltitudine del popolo stava fuori in preghiera, nell’ora dell’incenso» (Lc 1,9s.).
  76. Cf. m. Joma 5,1.
  77. Cf. m. Shekalim 5,1; m; Joma 3,11.
  78. «Intanto il popolo stava aspettando Zaccaria ed erano meravigliati che si trattenesse così a lungo nel Tempio» (Lc 1,21).
  79. Vedi il testo tipico per la preghiera quotidiana del pio ebreo, Siddur Rinat Israel, Jerusalem 1981, pp. 64-66. É uno stralcio della benedizione che segue lo Shemà e che è chiamata Gheullàh (= redenzione). Nominata già in m. Berahot 1,4; 2,2; b. Berahot I2/a; m. Tamid 5,1; è una professione di fede nella validità intramontabile della Parola di Dio, nella bontà e unicità del Dio salvatore d’Israele.
  80. «Nelle provincie i sacerdoti alzavano le loro mani all’altezza delle spalle; nel Tempio al di sopra della loro testa tranne il Sommo Sacerdote che non alzava le sue mani al di sopra della lamina d’oro (della mitria) poiché è detto: ‘E Aronne alzò le sue mani verso il popolo e li benedisse» (Lv 9,22) (m. Tamid 7,2).
  81. Nm 6,24-26; cf. m. Rosh ha-Shanàh 4,5; m. Megillàh 4,5-7.
  82. «Quando poi (Zaccaria) usci, e non poteva parlare loro, capirono che nel Tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto» (Lc 1,22).
  83. Questo movimento era chiamato “Tnufàh”. Consisteva in uno spostamento fatto dal davanti all’indietro e dall’alto al basso, spostamento ispirato a Es 29,27. Così si legge in m. Menahot 5,6; b. Sukkàh 37/b; b. Kiddushìm 36/5. «Quando il Sommo Sacerdote era pronto a bruciare il sacrificio saliva sulla rampa e lo Sgan (si teneva) alla sua destra; arrivava a metà della rampa, lo Sgan lo prendeva per la destra e lo conduceva su. Il primo (dei sacerdoti sorteggiati) gli porgeva la testa e la zampa posteriore; (il Sommo Sacerdote) vi posava su le mani e li gettava (nel fuoco dell’altare). Il secondo (sacerdote) dava al primo le due zampe anteriori il quale le porgeva al Sommo Sacerdote. (Questi) vi posava su le mani e le gettava (nel fuoco). Il secondo (sacerdote) si separava e se ne andava. E così gli porgevano il rimanente di tutte le parti (dell’agnello); egli posava le mani su di esse e le gettava (nel fuoco). Quando lo desiderava, posava (solo) le mani e altri gettavano (nel fuoco)» (m. Tamid 7, 3).
  84. Cf. m. Shekalim 5,1. La memoria di questa famiglia non è una memoria onorata nella tradizione rabbinica perché non ha voluto insegnare a nessun altro come confezionare i pani di proposizione (cf. m. Joma 3,11).
  85. Vedi la nota 83.
  86. Cf. m. Tamid 7,3.
  87. Secondo m. Taanit 7,4; oltre al Sal 24, cantato il primo giorno della settimana – la nostra domenica – si cantava il Sal 48 il secondo giorno, l’82 il terzo, il 94 il quarto giorno, 1’81 quinto, il Sal. 93 il sesto e il 92 di sabato.
  88. Vedi la nota 1.
  89. Erano destinati a coprire i peccati involontari, morali e rituali con offerte di valore diverso seconda delle persone (cf. Lv 4,1-5,13). Queste riparazioni erano richieste per ogni forma di trasgressione involontaria. Alcuni casi si trovano specificati in Lv 5,1-6; 12,6-8; 14,19 15,30; Nm 6,8-12. Fra i sacrifici, quelli per il peccato si distinguono dagli altri per due elementi: il ruolo che ha in essi il sangue e l’utilizzo della carne. Particolarmente importante il ruolo del sangue con il quale il celebrante fa sette aspersioni davanti alla doppia cortina dei Santo dei Santi, tinge i quattro corni dell’altare dell’incenso e ne versa il resto ai piedi dell’altare degli olocausti. Il sangue infatti, come si sa, era considerato il portatore della vita (cf. Lv 17,11). Colui che offre un sacrificio per il peccato non ne riceve nessuna parte, tutto passa ai sacerdoti. Anche nel caso in cui venga offerto da un sacerdote o dal Sommo Sacerdote, costoro non possono consumarne alcuna parte. Tutto viene portato fuori del Santuario, nel deposito dei cenere. Il sacrificio toglie il peccato per il fatto stesso di essere offerto e in questo sta fatto di essere gradito a Dio (cf. De Vaux, op. cit., II, pp. 296s.).
  90. Sono sacrifici di riparazione. Erano prescritti nel caso di danni alle persone o alla comunità ed espiavano per coloro che li offrivano. Il codice sacrificale si diffonde meno su questi sacrifici (Lv 5,14-26; 7,1-6), anzi i riti sono gli stessi del sacrificio per il peccato (Lv 7,7). Il colpevole, oltre al sacrificio, deve restituire ai sacerdoti che rappresentano Dio, o alla persona danneggiata, un risarcimento di cinque volte il valore del danno arrecato. Questa restituzione però non faceva parte del sacrificio in sé. Alcuni casi in cui esso era necessario sono indicati in Lv 14,12-18; 19,20-22; Nm. 6,12.
  91. Vedi la nota 59.
  92. Anche l’economia delle purificazioni passava, almeno nei casi più gravi, attraverso il sacrificio. Un uomo affetto da scolo, dopo la guarigione e il bagno purificatorio dell’ottavo giorno, deve presentare in sacrificio espiatorio due tortore o due piccioni (cf. Lv 15,13-15); lo stesso la donna dopo il mestruo (cf. Lv 15,28-30). Una donna, per la purificazione dal parto e per il figlio o la figlia, doveva presentare un agnello di un anno per l’olocausto e un piccione o una tortora per il sacrificio in espiazione del peccato. Qualora non avesse avuto l’agnello, offriva due tortore o due piccioni (cf. Lv 12,1-8). Anche la purificazione del lebbroso avveniva attraverso sacrifici e offerte (cf. Lv 14,1-32); ecc.
  93. Non è un gesto magico che stabilisce un contatto fra Dio e l’offerente, ma piuttosto Il simbolo della sostituzione della vittima all’offerente del quale assumerebbe i peccati per espiarli. L’imposizione delle mani è l’attestazione solenne che quella vittima appartiene a colui che la offre, che il sacrificio che sarà compiuto avverrà in suo nome e che gliene verranno i frutti (cf. De Vaux, op. cit., II, p. 292). L’imposizione delle mani poteva essere compiuta soltanto dagli uomini (cf. m. Kiddushim 1,8). Su come imporre le mani cf. m. Menahot 10,12.
  94. Per tutte queste cose cfr. Lev. 2-5.
  95. Kosher” significa “adatto”, “degno”. Indica la conformità di un alimento alle prescrizioni della Toràh (cf. Lv 11,1-47; 20,25-26; Dt 14,3-21; vedi anche Mt 15,10-20 e paralleli; At 10,9-16; 11,1-18). I rabbini hanno dedicato un intero trattato della Mishnàh, cioè Hullìn (= immolazioni profane), a questo argomento ripreso e ampliato poi nel Talmud. Sono le leggi della cucina ebraica, obbligatorie per preparare una mensa pura secondo la coscienza e la Legge. Particolari indicazioni venivano date poi per la scelta del vino da usare nel culto (cf. m. Menahot 8,6-7).
  96. Secondo un’usanza religiosa antichissima (cf. Es 34,19ss.) ogni primogenito d’uomo, del bestiame e dei frutti della terra apparteneva a Dio e doveva essere santificato, sia presentandolo in sacrifico come nel caso degli animali (cf. Gen. 4,4; Es. 22,30; Lv 27,26), sia riscattandolo, trattandosi di uomini (cf. Es 13,13; Nm 18,15). Questa materia, che sollevava non pochi interrogativi, viene svolta ampliamente nel trattato Bekorot (= primo geniti) della Mishnàh.
  97. Cf. m. Menahot 9,8.
  98. «E leviti senza numero, con arpe, cetre, cembali, trombe e strumenti musicali, (suonavano) sui quindici gradini che scendevano dal Cortile degli Israeliti al Cortile delle Donne, (quindici) in corrispondenza ai quindici Canti delle Ascensioni che si trovano tra i Salmi. Su di essi i leviti si tengono con gli strumenti musicali e eseguono la melodia» (m. Sukkàh 5,4).
  99. Il Bet ha-Midràsh era situato nell’area del monte del Tempio e presumibilmente, secondo l’uso più comune, era un locale attiguo a quello sinagogale (cf. m. Joma 7,1; m. Sotàh 7,7-8). Oltre al fatto che vi si riunisse il Sinedrio nei giorni di sabato e di festa (cf. t. Sanhedrin 7,1; t. Hagigàh 2,9), era il luogo privilegiato di formazione e di studio per chiunque desiderasse divenire un esperto nell’esposizione della Legge. Il termine “Midràsh” poi, significa “ricerca”, ma nel senso di investigazione testuale, di studio amoroso delle parole della Scrittura (cf. b. Sukkàh 41/a) per farne emergere l’inesauribile ricchezza e trarne ogni sorta di insegnamento. Quella del “Midràsh” è una via per incontrare Dio che si rende presente nella sua parola ricercata, pregata, studiata. Sul senso e sul valore del genere midrashico vedi l’ottima introduzione di U. Neri ne II canto del mare, Roma 1976, pp. 15-30.
  100. Grande autorità farisaica del I sec.; ebbe una profonda influenza nello sviluppo del giudaismo palestinese e nel ripristino della Legge che era caduta in oblio (cf. b. Sukkàh 20/a). Oltre che per la sua rivalità con Rabbi Shammai, è ricordato per la sua pazienza, la modestia e il carattere umile. A lui risale quella sintesi suprema della legge giudaica che suona: «Non fare agli altri ciò che tu non vorresti facessero a te» (b. Shabbat 31/a).
  101. Detto anche l’Anziano o più semplicemente Rabban (= nostro maestro). Insegnò intorno alla metà del I sec., fu nipote di Hillel e capo del Sinedrio al tempo dell’imperatore Caligola. Fra i suoi discepoli ci fu Paolo (cf. At. 22,3) e gli Atti ne ricordano la saggezza nei riguardi della primitiva comunità cristiana (5,34-39).
  102. Parola latina usata anche in italiano come sinonimo di “novilunio”. La luna nuova corrispondeva, per il popolo ebraico, all’inizio del nuovo mese. Nm 28,11-15 prescrive i sacrifici che si dovevano presentare in questo giorno.
  103. Basta ricordare quella delle Capanne (cf. Es 23,16; Dt 16,13-15; Gv 7,2), la festa delle Settimane o di Pentecoste (cf. Es 23,16; 34,22; Dt. 16,9-12); quella della Pasqua (cf. Es 12,14-20; Lc. 22,15-18), quelle del giorno dell’Espiazione (cf. Lv 16,1-34; 23,26-32; Nm 29,7-11; Eb 9,6-14), del Capodanno (cf. Lv 23,24-25; Nm 29,1-6), ecc.
  104. “Mussàf” vuol dire “aggiunto”, “supplementare”. Si tratta di un olocausto che veniva aggiunto al rituale consueto in occasione dei sabati (cf. Nm 28,9-10), delle neomenie (cf. Nm 28,11-15) e nei giorni di festa (cf. Nm 28,16-31; 29,1-40; m. Zebahim 10,1) ed aveva lo stesso valore degli altri olocausti (cf. m. Menahot 4,4).
  105. Cf. Mt 20,5; 27,46; 15,34; At 3,1; 10,30.

Maria Despina pone in fondo al dattiloscritto la seguente bibliografia

  1. Daube, The New Testament and Rabbinic Judaism, London 1956
  2. W. Baron, Histoire d’Israel, vol, 1
  3. Zeitlin, The rise and the fall of the Jewish State, Philadelphia 1962
  4. De Vaux, Les Institutions de l’A. T., Paris 1961

Mishnàh, ed. del Dunby, Oxford – in partic. i trattati Tamid, Middot, Zebaim, Joma, Shekalim, Berahot

altre opere consultate

AA.VV., Compendia Rerum Judaicarum et Novum Testamentum, Assen-Amsterdam 1976, section one

Birnbaum Ph., Encyclopedia of jewish concepts, New York 19793

Bonsirven J., Il giudaismo palestinese al tempo di Gesù, Torino 1950

Bonsirven J., Textes rabbiniques des deux premier siècles chretiens, Roma 1955

Filone, De vita Mosis, in Les Oeuvres del Philon d’Alexandrie (n. 22), Paris 1967

Flavio Giuseppe, La guerra giudaica, Fondaz. Lorenzo Valla & A. Mondadori 1974

Josephus, Jewish Antiquities, London & Cambridge (Massachussets) 1961 ed. a cura di M. Ralph & A. Wikgreen

Miegge G., Dizionario biblico, Milano 1968

Werbolowsky Z. & Vigoroder G., Encyclopedia of jewish religion, London 1967

Parrot A., Il tempio di Gerusalemme, Roma 1973

Shishàh Sidrei Mishnàh, Jerusalem 1981

Siddùr Rinàt Israel, Jerusalem 1981

Sifrè Numeri (Sefrè be-Midbar, Jerusalem 19763

Tosefta, a cura di Zuckermandel & Liebermann, Jerusalemm 1970 (New Edition)

abbreviazioni

  1. = Mishnàh; t. = Tosefta; b. = Talmud babilonese;
  2. = Talmud palestinese – alle abbreviazioni seguono i nomi dei trattati