Letture festive – 94. Dominio – 14a domenica del Tempo ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

14a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 9 luglio 2023
Dal libro del profeta Zaccarìa – Zc 9,9-10
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 8,9.11-13
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 11,25-30


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letture festive 94

Il tema del dominio, tanto per con Dio quanto per i senza Dio, si trova spesso collegato al tema del potere (politico, sociale o religioso che sia), al tema della conquista ottenuta con la violenza e quindi al tema della guerra, che ha tra i suoi obiettivi quello di arrivare a dominare su qualcosa (un territorio o una nazione) o su qualcuno (un popolo o una categoria di persone). Ma il profeta Zaccaria, in questo discorso visionario rivolto alla città e alla popolazione di Gerusalemme, presentate qui come una figura femminile, descrive in modo del tutto diverso e alternativo il dominio futuro che il suo re viene a esercitare. Si tratta di un re giusto e vittorioso – e fin qui niente di nuovo, perché tutti i re dichiarano di esserlo – ma si tratta anche di un re umile – che invece di un cavallo cavalca un giovane asino – e già questo dell’umiltà è, invece, per i re un tratto del tutto inconsueto. Ma ancora più inconsueta – o addirittura del tutto inedita – per i re, per i potenti e per i capi di stato di ogni tempo e di ogni luogo, con Dio o senza Dio, è la proclamazione di un disarmo preventivo e unilaterale come strategia efficace per estendere un dominio fino a renderlo universale. Nel testo del profeta Zaccaria questo disarmo è simboleggiato dalla scomparsa degli armamenti dell’epoca, che vengono resi inoffensivi, riconvertiti o distrutti: i carri da guerra da Efraim – che oggi chiameremmo carri armati – capaci di accompagnare la conquista del territorio nemico; i cavalli da Gerusalemme – che oggi chiameremmo aerei – per arrivare velocemente in mezzo alle truppe nemiche provocando distruzione; l’arco di guerra – che oggi chiameremmo fucile mitragliatore – per dare morte al nemico mantenendosi a sufficiente distanza. Questo disarmo unilaterale, attuato come strategia di pacificazione universale, porterà appunto questo re nonviolento e la pace che saprà diffondere a rappresentare la forma sorprendentemente alternativa di un inedito dominio mondiale. Questo dominio si eserciterà su tutto ciò che minaccia di far ritornare la realtà al caos primordiale dal quale proviene, come suggerisce il riferimento a un mare che, secondo la cosmologia dell’autore biblico, sembra circondare e forse anche minacciare i confini delle terre emerse, attraversate da un grande fiume. Ma la provocazione visionaria di questa antica utopia pacifista non sembra essere stata raccolta, finora, dalle religioni del libro e nemmeno coloro che, con Dio o senza Dio, hanno provato a lasciarsene ispirare sono riusciti finora a renderla operante nella storia. Le forme di dominio alle quali siamo abituati sono molte diverse da quella delineata dalla visione utopica del profeta Zaccaria e – proprio per questo – con Dio e senza Dio non dovrebbero rinunciare a lasciarsi interrogare dall’utopia che forme diverse e alternative di potere siano pensabili e possibili.

Nell’originale greco di questo passo della lettera ai Romani non si trova il termine dominio utilizzato nella traduzione italiana, ma il tema del dominio esprime bene qualcosa che sembra essere per Paolo di grande rilevanza. Si tratta di una relazione che il testo esprime nei termini di un essere in, di un essere abitati da, di un avere, di un appartenere a, di un essere debitori nei confronti di, di un vivere secondo qualcosa. E per Paolo questa relazione riconducibile in qualche modo anche al dominio viene vista come un modo di vivere la propria umanità che si trova dibattuto tra due alternative: quella riconducibile a un principio di vita e di resurrezione che viene chiamato Spirito e quella riconducibile a un principio di morte che viene chiamato carne. Più che concentrarsi sulle possibili descrizioni e definizioni di questi due principi, può essere utile notare che qui l’unica alternativa riguarda il principio dal quale scegliere di essere dominati, o appartenere o essere debitori. Non pare, invece, che si possa scegliere se essere o non essere dominati da qualcosa o da qualcuno, soggetti alla sua influenza o condotti ad agire secondo le sue logiche. Sembra, cioè, che nessuno, con Dio o senza Dio, possa essere del tutto dominatore o signore di sé stesso. Siamo sempre in qualche modo debitori, ma possiamo e dobbiamo scegliere a chi o a cosa. Debitori, poi, lo siamo soprattutto verso chi ci ha dato qualcosa di prezioso e di importante. E questo intreccio complesso di relazioni, costituito da ciò che abita in noi, da ciò che ci domina e da ciò verso cui siamo debitori, tutto questo intreccio complesso di relazioni, determina quello che siamo e quello che diventiamo anche come cristiani. Per con Dio e per senza Dio, perciò, l’alternativa non è quella tra la scelta di un’autonomia e la scelta di una sottomissione a un dominio, ma la scelta di quali debbano essere le forze alle quali legarsi, nel delineare il proprio cammino e il proprio destino umano e cristiano. E su questo piano Paolo non ha dubbi nell’invitare a scegliere ciò che chiama Spirito, vita e resurrezione anziché ciò che chiama carne e morte.

Nel brano di Matteo il tema del dominio viene declinato in tre modi che rovesciano completamente i modi tradizionali e comuni di intenderlo. Il primo modo riguarda il dominio che si esercita attraverso la sapienza e la dottrina e il loro presunto possesso da parte di una categoria di persone ritenute esperte in materia: i teologi, i maestri e i responsabili religiosi. Il Gesù di Matteo dichiara che le cose importanti, come lo è il suo messaggio, rimangono nascoste e inaccessibili a queste categorie di esperti e di sapienti, mentre invece sono conosciute, accolte, comprese e accettate da coloro che, essendo con Dio o senza Dio, vengono comunemente ritenuti troppo piccoli e inesperti in campo religioso per poter avere un ruolo significativo. Il secondo modo nel quale il tema del dominio viene contestato e rovesciato è l’affermazione che l’esperienza cristiana – qui rappresentata come una rivelazione che può solo essere ricevute e non conquistata – non è qualcosa su cui si possa esercitare dall’esterno un qualche tipo di dominio, ma è una dinamica di relazioni nella quale, come con Dio o come senza Dio, ci si può soltanto lasciar coinvolgere in modo personale facendone esperienza dall’interno. Il terzo modo nel quale il tema del dominio viene contestato e rovesciato trova la sua paradossale concretizzazione nel volontario sottoporsi del discepolo al giogo della legge di Gesù. L’evangelista Matteo, infatti, confronta la legge di Mosè con quella di Gesù e presenta il giogo che esprime la sottomissione alla legge, nel caso di Gesù, come un sottoporsi al dominio della legge evangelica. Ma il dominio di questa legge di Gesù e del suo vangelo viene esercitato da qualcuno che si definisce mite, non violento, umile di cuore. È così che, anziché opprimere con il giogo pesante dell’osservanza della legge, questo inconsueto dominio proposto da Gesù alleggerisce e addolcisce la vita di tutti coloro che, con Dio o senza Dio, si trovano a condurre esistenze oppresse e segnate dalla stanchezza e che invece, nello stabilire una relazione con la figura di Gesù, possono trovare ristoro.