Letture festive – 95. Gestazione – 15a domenica del Tempo ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

15a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 16 luglio 2023
Dal libro del profeta Isaìa – Is 55,10-11
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 8,18-23
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 13,1-23


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letture festive 95

In diversi ambiti, determinati processi e dinamiche si possono descrivere, da parte di con Dio e di senza Dio, utilizzando il termine gestazione, a cui si possono poi associare altre parole: fecondazione, concepimento, travaglio, doglie, parto. Uno di questi ambiti è la famosa pagina nella quale il profeta Isaia, per descrivere il cammino della parola divina, utilizza una metafora ancora diversa, quella del percorso che la pioggia e la neve ciclicamente ripetono nel mondo fisico delle cosiddette realtà naturali, quando le attraversano producendo effetti. La parola che Isaia afferma uscire dalla bocca di Dio e della quale il profeta si pone al servizio, quella parola che noi possiamo riconoscere nelle parole bibliche, si comporta come pioggia e neve che scendono a irrigare e fecondare la terra – e qui entra la metafora della gestazione – gestazione necessaria affinché il processo si possa concludere con un germogliare che produce frutto. Tra la fecondazione e il germogliare della pianta che darà frutto, infatti, vi è la fase necessaria e oscura di quella che potremmo chiamare la gestazione del seme da parte della madre terra. Si tratta di una fase che rimane nascosta allo sguardo umano e caratterizzata da un dinamismo vitale che conserva – anche per noi che abbiamo conoscenze scientifiche diverse da quelle degli antichi – un carattere sorprendente e misterioso, nel bene come nel male. Ce lo ricordano anche e purtroppo le tante esperienze di donne e di coppie che vivono dolorosamente l’interrompersi – per motivi del tutto indipendenti dal loro impegno, cura e volontà – di una gestazione già avviata. Ma cosa potrebbe significare per noi, con Dio o senza Dio, la gestazione del seme delle parole bibliche in noi? Forse che le parole bibliche hanno una forza intrinseca, in grado di produrre automaticamente determinati effetti, a condizione che si conceda loro tempo, perché possano operare in noi senza fretta, e che non si pretenda di esporre a sguardi indiscreti un’elaborazione che invece deve poter avvenire anche nel riserbo personale. Gli effetti delle parole bibliche, poi, non sono per nulla casuali e corrispondono, invece, alle finalità e ai desideri dei loro stessi autori, finalità e desideri che Isaia esplicita chiaramente: dare il seme a chi semina e il pane a chi mangia. E in questa duplice destinazione, con Dio e senza Dio possono riconoscere come la gestazione delle parole bibliche possa far germogliare una vitalità virtualmente inesauribile, che riesce a rispondere a una fame immediata e a creare condizioni per nuove semine, una vitalità capace, cioè, di dare pane a chi ha necessità di mangiare oggi e di dare seme a chi semina per il futuro.

Paolo presenta ai cristiani di Roma una gestazione cosmica, che coinvolge tutto e tutti e che, vissuta nella speranza, assimila le sofferenze del presente – ma in realtà le sofferenze di ogni tempo – alle doglie del parto. Nella visione delineata da Paolo, infatti, tutta la realtà è come protesa verso un compimento futuro desiderato e ciò riguarda non solo gli umani, con Dio o senza Dio, ma l’intera creazione, compreso il mondo della vita, animale e vegetale. La stessa condizione di figli di Dio si presenta nel segno dell’incompiutezza, perché deve essere ancora pienamente rivelata quella libertà della gloria che dovrebbe caratterizzare precisamente i figli di Dio, tra i quali gli stessi cristiani di Roma, destinatari della lettera. Ciò che, invece, si vede e si sperimenta, ai tempi di Paolo ma anche oggi, richiama per tanti aspetti corruzione, caducità e schiavitù. Chi ha sottomesso la creazione a questi fattori che la mortificano è una forza che Paolo non nomina ma la cui volontà esercita un potere antagonista rispetto a quello dello Spirito. Quest’ultimo è, infatti, la forza generatrice dei primi frutti di un futuro atteso e ancora in gestazione, di quelle primizie che anticipano e lasciano intravedere il compimento di quella che Paolo chiama gloria futura. In questo conflitto di forze antagoniste, le sofferenze che si devono affrontare fanno somigliare il tempo presente – quello di Paolo ma anche il nostro di suoi lettori, con Dio o senza Dio – a una gestazione nella quale ci si deve tenere pronti per il parto e per le doglie che lo precedono. Questa gestazione consiste in un processo che si sta ancora realizzando, dove tutto è chiamato a tendere – nella speranza – alla libertà dei figli, una condizione che Paolo specifica come figliolanza adottiva, in relazione all’unico figlio Gesù, e che collega alla redenzione o liberazione del corpo di tutti. L’utopia e la speranza che Paolo delinea nella sua grandiosa visione è quella di un parto atteso dopo una gestazione lunga e sofferta: un parto anticipato dalle primizie dello Spirito, un parto della rivelazione di una piena figliolanza adottiva, un parto di corpi liberati dalla corruzione, dalla caducità e dalla schiavitù. Per rileggere oggi questa pagina paolina alla luce della Laudato si’ di papa Francesco, dovremmo anzitutto accogliere i suoi inviti a modificare la nostra prospettiva, pericolosamente miope, limitata e antropocentrica, sulla casa comune che è il nostro pianeta. Una nuova prospettiva potrebbe coinvolgere non solo noi umani, con Dio o senza Dio, ma anche altri viventi nel processo cosmico di gestazione del nostro diventare – tra sofferenze e gemiti – tutti figli adottivi e corpi liberati. Si considerino, in particolare, gli animali non umani, i cui corpi sono ridotti in schiavitù, sfruttati e uccisi, per essere infine mangiati dagli umani, anche quando ciò non sarebbe necessario per la sopravvivenza degli umani stessi. Su questo piano, purtroppo, la gestazione di un mondo all’altezza delle visioni utopiche e delle speranze neotestamentarie sembra ancora oggi – questa gestazione – attraversata da molte sofferenze e gemiti e molto lontana dal concludersi con il parto sperato.

L’evangelista Matteo, nella propria versione della parabola sul seme della parola generosamente sparso dal seminatore, pone al centro dell’attenzione del suo lettore la diversa ricettività delle varie tipologie di terreno e quindi sottolinea precisamente il processo di gestazione del seme della parola, nelle rispettive situazioni e con i rispettivi esiti. Tra con Dio e tra senza Dio, infatti, vi è chi non fa neppure in tempo a iniziare la propria gestazione del seme della parola perché, per una qualche ragione, questo seme della parola scompare prima che lo si possa far entrare in sé, quasi si trattasse di una gestazione dove non avviene neppure l’annidamento dell’embrione. Ma anche una ricettività pronta ma troppo superficiale del seme della parola favorisce un germogliare rapido e tuttavia effimero, in quanto privo di radici sufficientemente profonde per resistere nel tempo. Qui ci troviamo di fronte a una gestazione dove l’entusiasmo degli inizi non si accompagna alla necessaria prudenza e all’impegno richiesto nel curare le esigenze del seme appena seminato, per cui la gestazione rischia di interrompersi prematuramente. Il terzo tipo di terreno si caratterizza per la presenza non governata, eccessiva e infine soverchiante di stimoli e di interessi, di impegni e di preoccupazioni; tutto ciò finisce per soffocare il seme della parola perché non gli riconosce lo spazio, le attenzioni e il nutrimento necessari alla crescita. Abbiamo qui una gestazione che non procede perché si lascia spazio a dinamiche e a fattori esterni che interferiscono fino a diventare infine soffocanti e mortali per il seme. Ma ciò che il seme della parola chiede e spera è di finire in un terreno buono e materno, cioè capace di creare le condizioni per una gestazione sana e sufficientemente serena, alla quale cioè non manchino spazio e tempo, risorse e supporti, necessari e sufficienti per poter arrivare felicemente all’esito atteso: quello di una parola biblica seminata che – attraversata la fase della gestazione – produce frutti buoni nella vita delle persone con Dio e delle persone senza Dio, secondo il modo e la misura di cui ciascuno è capace. E questa capacità dipende in larga misura dal predisporsi sinceramente e dal metter impegno nel vedere e nell’ascoltare realmente. Perché il Gesù di Matteo ci mette in guardia dal rischio molto concreto di vedere senza vedere davvero e di ascoltare senza ascoltare veramente. E questo non avviene perché, come potrebbe sembrare a una prima lettura, le parabole funzionino come trappole che intendono sviare gli ascoltatori, ma perché la parola seminata può germogliare solo in presenza di determinate condizioni, quelle che, come abbiamo visto, sono proprie e tipiche di ogni gestazione che viene portata felicemente al proprio termine.