Riflessioni teologiche – 86. Il “dilemma” del Gesù storico e la strada indicata da Albert Schweitzer

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Le sue considerazioni sul Gesù storico conducono Albert Schweitzer davanti a quello che nell’argomentazione logica si presenta come una sorta di “dilemma”, cioè una condizione in cui le due ipotesi alternative, cioè la non-esistenza storica di Gesù o l’esistenza di un Gesù storico molto lontano dalle rappresentazioni cristiane e credenti della sua figura, implicano entrambe la medesima conclusione, cioè l’impossibilità di utilizzare un eventuale Gesù storico – anche nel caso questi sia realmente esistito nella Palestina del primo secolo – come riferimento o fondamento per la cristologia e la teologia. A partire da questa conclusione, la strada indicata da Albert Schweitzer passa attraverso una riscoperta dei compiti e delle responsabilità di cui deve farsi carico non tanto la scienza storica quanto piuttosto la teologia.


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Nel capitolo 23 della sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù Albert Schweitzer arriva a individuare, sul piano di quella che lui stesso definisce «la questione filosofico-religiosa», quello che è probabilmente il nodo problematico principale nella controversia riguardante l’esistenza o la non-esistenza storica di Gesù. Come abbiamo visto, le due possibilità che si confrontano sono quella che Gesù non sia storicamente esistito oppure – ed è la convinzione dello stesso Albert Schweitzer – che Gesù sia esistito storicamente ma che, proprio in quanto appartenente al suo tempo, risulti troppo lontano dal nostro. Ciò sembra condurre la teologia cristiana – e in particolare la cristologia – a quello che nell’argomentazione logica viene definito un dilemma, cioè una condizione in cui la scelta fra due ipotesi o possibilità A e B risulta di fatto irrilevante, perché esse implicano entrambe la stessa conclusione C, che quindi è vera indipendentemente dai valori di verità di A o B. Nel caso del Gesù storico, per come lo presenta Schweitzer, le ipotesi A e B sono non solo diverse ma alternative e incompatibili tra loro, per cui una sola è vera, ma conducono, in ogni caso, alla medesima conclusione, che nel nostro caso specifico è: l’impossibilità di utilizzare un eventuale Gesù storico – anche nel caso questi sia realmente esistito nella Palestina del primo secolo – come riferimento o fondamento per la cristologia e la teologia. Negando che sia praticabile quella sorta di terza via che la teologia moderna ha cercato di seguire per evitare di ricadere in questo dilemma, Albert Schweitzer afferma: «La questione filosofico-religiosa deve quindi affrontare i due casi estremi di un Gesù che non può esistere per la religiosità moderna o perché non ha vissuto oppure perché il suo essere appare troppo storico. Quel che di solito viene detto sull’argomento si muove tra questi due estremi ed è essenzialmente un compromesso come emerge abbastanza bene dalla condotta della teologia moderna, la quale si prefigge di mitigare in misura sufficiente gli elementi storici con quelli non storici, per mantenere così in vita un Gesù che può essere utilizzato religiosamente».

Alcuni esempi di questi tentativi di compromesso vengono indicati dallo stesso Schweitzer quando afferma: «Di fronte al progressivo affermarsi di una concezione che sostiene il carattere escatologico delle idee di Gesù, la teologia moderna scelse la soluzione più semplice. Suppose che Gesù avesse pensato ovviamente anche in termini non escatologici e avesse annunciato la presenza di un regno di Dio spirituale con la sua relativa etica. […Ma anche considerando] opera della “teologia della comunità” l’escatologia, la coscienza apocalittico-messianica e tutto ciò che appariva estraneo e scandaloso […] il Gesù storico è salvo solo apparentemente e la religione lavora in realtà con la prima comunità e con il Cristo simbolico e mitico, cioè con grandezze a cui anche Drews si richiama». Ma, prosegue e sottolinea Albert Schweitzer: «Stranamente nella questione filosofico-religiosa tutti i compromessi esistenti tra i due casi estremi sono in sostanza senza valore. La verità non sta nel mezzo: si tratta di un aut-aut. La religione deve fare i conti o con il Gesù non storico o con quello troppo storico. Le ipotesi intermedie non sono che soluzioni fittizie e si rovesciano subito in uno dei due estremi». Se queste osservazioni sono fondate, insiste Schweitzer: «È chiaro quindi che non può darsi una soluzione “storica” al problema del significato di Gesù per la religiosità odierna, anche se finora questo procedimento è stato continuamente praticato come il più semplice e il più innocuo per il popolo. In realtà i credenti vennero sempre esonerati da un’intima discussione religiosa con il Gesù storico, poiché la scienza storica si è sempre preoccupata di fornire loro un’idea adeguata del problema. Questo metodo è senz’altro il più comodo ma è intimamente falso. Inoltre può venir praticato solo finché non viene messa in crisi la fede nell’autorità della scienza in questione. L’unica strada verace conduce verso le altezze del pensiero ben lontano da tutti i passaggi segreti della storia».

Lo stesso Albert Schweitzer, del resto, fa notare che, in realtà, anche in passato l’utilizzo del Gesù storico nella riflessione teologica è stato piuttosto limitato, a favore di un ruolo molto maggiore per il Gesù simbolico, per cui rinunciare al primo non dovrebbe rappresentare una novità così radicale e, anzi, potrebbe consentire di evitare i problemi già rilevati. Afferma infatti Schweitzer: «Nei tentativi cristologici del diciannovesimo secolo – per tacere della dottrina ecclesiastica tradizionale – il Gesù storico ha svolto in realtà un ruolo del tutto secondario […e] i teologi dogmatici in questione, filosofi o no, si occupano dei loro predecessori e avversari piuttosto che della persona del Gesù storico. Da un bilancio quantitativo delle loro concezioni il fenomeno storico si ridurrebbe solo a un po’ di cenere, poiché di fatto la dogmatica cristiana di tutte le sfumature è sempre stata dominata dal Gesù simbolico. Il Gesù storico venne utilizzato solo in quanto dava un volto spazio-temporale al suo profilo e ne faceva una personalità morale e religiosa di un tempo passato. Nei casi in cui la teologia ha cominciato a prendere le mosse realmente dal Gesù storico e a presentare l’importanza religiosa che può avere per noi, non è ancora in grado di pervenire a un risultato anche solo relativamente soddisfacente». Per superare queste difficoltà, la strada che Albert Schweitzer sembra indicare inizia dalla scelta di assegnare nuovamente alla teologia il suo proprio ruolo, ponendola davanti ai suoi compiti e alle sue responsabilità. Si tratta, cioè, di evitare che vengano delegati alla ricerca storica compiti che invece vanno affrontati, fondamentalmente, proprio dalla teologia, trattando ciò che la proposta metodologica di Albert Schweitzer ha definito come questioni rispettivamente «filosofica-religiosa» e «storico-dogmatica». Afferma dunque Schweitzer: «La questione è se la personalità di Gesù può avere un significato per la nostra religione nonostante tutti gli elementi estranei che la pongono in contraddizione con le nostre concezioni. Soltanto una riflessione religiosa può dare risposta a tale questione. Tutte le possibili soluzioni, da quelle più negative a quelle più affermative, devono essere lasciate aperte e bisogna preoccuparsi soltanto di stabilire con essa un rapporto etico e verace, possibile solo se libero. Per attuarlo è necessario presupporre che la religione, nella sua essenza, è indipendente dalla storia». In realtà, dopo Albert Schweitzer, la controversia sull’esistenza o non-esistenza storica di Gesù, attraverserà con vicende alterne tutto il Novecento, per giungere, come vedremo, fino ai nostri giorni.

Riferimenti:

Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia Editrice, Brescia 1986 (1° ediz. tedesca del 1906, 2° ediz. ampliata 1913)
I testi citati sono tratti dal capitolo 23