Letture festive – 90. Pane – Santissimo corpo e sangue di Cristo – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Santissimo corpo e sangue di Cristo – Anno A – 11 giugno 2023
Dal libro del Deuteronòmio – Dt 8,2-3.14b-16a
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1Cor 10,16-17
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 6,51-58


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letture festive 90

Le parole che il Deuteronomio mette in bocca a Mosè invitano il popolo – ma anche noi lettori odierni della pagina biblica – a riconoscere e ricordare la centralità del pane nel cammino della vita. L’umiliazione, la messa alla prova e l’esperienza della fame di cui parla questo testo non sono da intendere come una sadica dimostrazione di forza da parte di Dio o come una severa prova di esame e neppure come una deprivazione inflitta per indebolire. Si tratta piuttosto di tutto ciò che può ricondurre il popolo – e anche noi lettori con Dio o senza Dio – alla consapevolezza realistica della condizione di fragilità umana e terrena, una condizione che necessita di pane, per nutrire e sostenere a sufficienza la debolezza di chi deve camminare. Le esperienze intense e radicali o anche quelle caratterizzate da componenti di fatica e di sofferenza, come quelle descritte con la metafora dell’attraversamento di un deserto grande e spaventoso, conducono spesso – in molte delle culture umane, a partire da quelle bibliche – ad apprezzare il pane come quel nutrimento di base, necessario e sufficiente per sopravvivere in condizioni ostili. L’assenza o presenza di pane, materiale o simbolico, è ciò che può drammaticamente fare la differenza e proprio per questo ha il potere di svelare il contenuto del cuore, cioè il contenuto del desiderio e della volontà. La manna è quel particolare tipo di pane donato al popolo perché possa attraversare il deserto, un pane leggero da raccogliere e consumare quotidianamente. Questo pane, la manna, serve a sostenere la vita fisica ma anche a ricordare la necessità di quell’altro pane ugualmente leggero e ugualmente da raccogliere e consumare quotidianamente che è la parola. La parola biblica, infatti, non meno del pane, può alimentare e sostenere, anche per noi oggi, la vita e il cammino, certamente la vita e il cammino dei con Dio. Ma – come una manna forse sconosciuta ai nostri padri – la parola biblica può alimentare e sostenere, per noi oggi, la vita e il cammino anche dei senza Dio.

Scrivendo ai Corinzi, Paolo indica il pane – e per la precisione il pane spezzato – come ciò che, da una parte, è comunione con il corpo di Cristo, ma anche come ciò che, dall’altra parte, consente ai molti che partecipano all’unico pane di essere un solo corpo. In queste due frasi Paolo riesce a concentrare una straordinaria densità, che merita di essere – trattandosi di pane – assaporata e colta nelle sue sfumature. Gli elementi che vengono messi in una relazione che diventa dinamica, circolare e ricorsiva, sono diversi e tutti di grande rilievo, sia per i con Dio che per i senza Dio: il corpo di Cristo che si offre come nutrimento, il suo essere spezzato nella morte, così come viene spezzato nel pasto comune il pane che viene condiviso, la condivisione tra i molti che, nutrendosi dei diversi frammenti provenienti dall’unico pane spezzato, li rende – benché molti – un solo corpo, un solo corpo ecclesiale che arriva a coincidere anche con quel corpo di Cristo da cui si era partiti, costituito dai molti che partecipano all’unico pane spezzato, e così all’infinito. La straordinaria valenza simbolica e rituale, ma allo stesso tempo concreta e materiale, che il pane assume in questo testo paolino proviene dalla celebrazione della cena rituale cristiana e dovrebbe alimentare, per con Dio e per senza Dio, la ricchezza simbolica e rituale delle nostre celebrazioni eucaristiche. Ma alcune di queste valenze, assolutamente fondamentali nel testo di Paolo e – possiamo ipotizzare – nelle esperienze rituali delle comunità cristiane primitive, si trovano ad essere purtroppo completamente oscurate nelle modalità e nelle forme delle odierne celebrazioni eucaristiche cattoliche. Ciò si deve in buona parte alla scelta di utilizzare un pane che già molto poco ricorda il pane, ma che soprattutto – con la sola eccezione della particola un po’ più grande riservata a chi presiede il rito, l’unica che viene spezzata – si presenta (questo pane) come una quantità di piccoli dischi bianchi assolutamente uguali, separati e perfetti nella loro circolarità chiusa, pronti per essere distribuiti a ciascun partecipante al rito. Questa modalità di celebrazione rituale del pasto comune elimina, di fatto e nella sostanza, il gesto dello spezzare in frammenti l’unico pane da distribuire ai partecipanti, perché se ne possano nutrire. Il pane perde così buona parte del valore simbolico che Paolo sembra attribuirgli, mentre sarebbe un importante guadagno del linguaggio rituale e della sua capacità comunicativa recuperare una modalità più corrispondente ai testi neotestamentari che mettono al centro il pane spezzato.

Nel vangelo di Giovanni il tema del pane percorre tutto il sesto capitolo dal quale è tratto il brano di questa domenica che ne costituisce uno dei momenti decisivi. Quella che viene rappresentata qui è la relazione reciproca che unisce tre elementi di straordinaria rilevanza tanto per i con Dio quanto per i senza Dio: in primo luogo il pane e ciò che il pane simboleggia, cioè il nutrimento di cui la vita umana necessita per sostenersi e per crescere; in secondo luogo: la vita stessa, nella sorprendente varietà e ricchezza delle sue molteplici forme, manifestazioni e gradazioni; in terzo luogo la figura di Gesù, colta qui nella dimensione che Giovanni chiama carne, sarx nella lingua greca del vangelo. Questa rappresentazione della figura di Gesù come di una parola/logos divenuta carne/sarx Giovanni nel prologo del suo vangelo si limita a enunciarla. Qui, invece, questa rappresentazione della figura di Gesù la troviamo ripresa e ulteriormente approfondita, precisamente in questa sua dimensione di parola/logos divenuta carne/sarx. Per carne/sarx dobbiamo intendere qui una realtà corporea viva e vitale, ma in quanto tale, esposta nella sua vitalità a una intrinseca mortalità, da cui dipende la sua fragilità e debolezza. Anche il simbolismo biblico del sangue, presente in questo brano, costituisce un ulteriore rimando alla sacralità del mondo della vita, nel suo confrontarsi con la morte e nel suo diventare – come bevanda, in parallelismo con il cibo – ciò che sostiene e alimenta la vita. La sarx è quindi una condizione che accomuna umani e animali non umani, così come li accomuna la vita nella sua varietà di forme e di espressioni. Gli antichi che ci hanno preceduto avevano colto questa comunanza dei viventi nella medesima vitale ma fragile carne/sarx e l’avevano rappresentata in forme molteplici e ibride, includendo spesso anche i viventi del mondo vegetale. A questo dobbiamo, ad esempio le rappresentazioni artistiche degli alberi della vita, come quella del mosaico di Otranto, e dei tralci abitati, come quella del portale del duomo di Modena, insieme alle infinite rappresentazioni, realistiche o immaginarie, dei viventi animali e vegetali, umani e non umani, e delle loro fantasiose varianti ibridate. A questo fragile e straordinariamente vario mondo della vita, che accomuna con Dio e senza Dio, il pane che viene offerto come nutrimento per vivere quella vita in pienezza verso la quale ogni vivente si protende è la figura stessa di Gesù, nel suo essere una parola/logos che diventa carne/sarx. Il pane che Gesù è riesce a nutrire più della manna discesa dal cielo, anzi nel pane che Gesù è consiste la vera manna discesa dal cielo. La differenza è data dal fatto che i padri che mangiarono la manna morirono, ma chi mangia il pane che Gesù è, cioè la parola/logos che diventa carne/sarx, sperimenta la vita in una forma più forte della morte. Scegliere di nutrirsi di questo pane/sarx non significa, tuttavia, credere in una propria immortalità. Al contrario, accettare la nostra condizione umana come vitale ma insieme fragile e mortale è condizione necessaria perché noi, con Dio o senza Dio, possiamo essere nutriti da un Gesù parola/logos che diventa carne/sarx e che in questo modo, ci fa sentire inseriti nella sua vita e accomunati a tutti i viventi del pianeta.