Letture festive – 117. Nel frattempo – 1a domenica di Avvento – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

1a domenica di Avvento Anno B – 3 dicembre 2023
Dal libro del profeta Isaìa – Is 63,16b-17.19b; 64,2-7
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1Cor 1,3-9
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 13,33-37


Su YouTube l’audio-video si trova cercando:
letture festive 117

Quando noi, con Dio o senza Dio, diciamo nel frattempo, spesso lo facciamo come se ritenessimo il momento presente un tempo secondario, che semplicemente separa un passato e un futuro che sono più importanti e nei quali collochiamo le premesse e le promesse per noi davvero decisive. Anche la preghiera del libro di Isaia – nel suo dare voce a sentimenti contrastanti di fronte alla realtà – sembra animata da questo approccio e da questa concezione. Da una parte abbiamo un ricordo nostalgico del passato con le cose terribili, mai udite e mai viste prima, compiute dal Signore per chi confida in lui. Dall’altra parte abbiamo l’invocazione di un futuro che si vorrebbe imminente, perché, se il Signore squarciasse i cieli e scendesse, rinnoverebbe i prodigi del passato, andando incontro a quelli che praticano la giustizia e si ricordano delle sue vie. Quello che avviene nel frattempo, secondo colui che sta pregando, è un vagare lontano dalle vie divine, un indurirsi del cuore che non teme Dio, un diventare qualcosa di impuro che impedisce di accostarsi al divino, un essere portati via dal vento come foglie avvizzite, un rimanere lontani dal volto di Dio e in balia delle proprie iniquità. L’unica possibilità di salvezza sulla quale la voce di colui che prega sembra poter contare è il ridiventare – come nel passato originario della primordiale creazione dell’essere umano – argilla plasmata dalla mano divina. Se un certo tipo di esperienza vissuta dai con Dio può trovare espressione in questa preghiera, altri tipi di esperienza vissuti da con Dio e da senza Dio richiedono invece approcci diversi, affinché questa preghiera biblica risulti parlante e dotata di significato in quel frattempo che costituisce la nostra esistenza nel suo divenire. Lo squarciarsi dei cieli e la discesa di Dio, ad esempio, ricordano molto da vicino quel Deus ex machina che nelle tragedie greche interveniva sulla scena a risolvere problemi altrimenti irrisolvibili, un modo di intendere il divino che il teologo Dietrich Bonhoeffer ha radicalmente criticato. Ma in certe situazioni lo squarcio e l’interruzione – chiunque o qualunque cosa sia a provocarli – possono costituire, in quel lungo frattempo che sono i percorsi di vita, un’occasione preziosa per spostare il punto di vista e modificare la postura di con Dio e di senza Dio davanti alla realtà. La libertà che consente agli umani di muoversi – persino in direzioni che in seguito si riveleranno sbagliate – è una condizione necessaria perché il frattempo possa essere autenticamente vissuto come il vero e unico tempo del quale possiamo disporre per provare a dare forma alla nostra esistenza. Da questo punto di vista, dobbiamo certamente riconoscerci plasmati e modificati dalle tante forze che concorrono a farci così come siamo. Ma questo non deve condurci, come con Dio o come senza Dio, a una passività rassegnata che sopravvaluta la potenza deterministica degli inizi o si arrende al fatalismo delle conclusioni. Piuttosto, riconosciuti i condizionamenti, l’impegno che ci si può assumere – nel frattempo concesso alla propria esistenza – è quello a orientare questi stessi condizionamenti in direzioni consapevolmente scelte.

Anche Paolo, come il profeta Isaia, sembrerebbe enfatizzare l’importanza del passato e del futuro rispetto a quel modesto frattempo che costituisce il presente, soprattutto perché la sua visione è condizionata dalla convinzione – che si rivelerà errata – di una imminente parusia e perciò da un futuro definitivo ormai alle porte. La concezione paolina – che riduce il frattempo del presente a un brevissimo intervallo tra l’evento salvifico del Cristo e la sua venuta finale – è determinata, questa concezione, da una percezione del tempo radicalmente diversa dalla nostra. Per Paolo, infatti, nel passato la grazia divina è stata già data, per cui tutti i doni della parola e della conoscenza hanno già arricchito i cristiani di Corinto e non manca loro più nessun carisma. Nel futuro imminente che sarà il giorno del Signore Gesù Cristo, con il quale si è chiamati a comunione, ci si aspetta, invece, che avvenga la sua manifestazione, fino alla quale si viene resi saldi e irreprensibili. Ed è proprio a questa irreprensibilità che oggi ci possiamo collegare noi, con Dio e senza Dio che da duemila anni sperimentiamo il ritardo di una parusia che Paolo e i cristiani di Corinto ritenevano imminente. Nella irreprensibilità, quindi, possiamo cogliere la centralità di un frattempo presente che altrimenti resterebbe schiacciato tra passato e futuro. Oggi, infatti, il rimprovero che va assolutamente evitato, per essere trovati irreprensibili nel giorno ultimo, è precisamente quello di non aver vissuto adeguatamente e pienamente il frattempo di ogni giorno. Un frattempo che è anzitutto il tempo della gratitudine e della gratuità che con Dio e senza Dio possono apprendere, sperimentare e testimoniare. Se vissuto in modo grato e gratuito, il frattempo di ogni giorno diventa allora, per con Dio e per senza Dio, il presente da cogliere per poter vivere e condividere nella comunità i doni della parola e della conoscenza affinché nessun dono manchi più alla comunità. Il frattempo di ogni giorno è inoltre, per con Dio e per senza Dio, il presente nel quale la figura di Gesù si manifesta come affidabile, rende saldi e crea comunione.

Come per Paolo, anche nella parabola proposta dall’evangelista Marco, il frattempo sembrerebbe essere un presente quasi irrilevante che separa passato e futuro.  Qui il passato è il tempo nel quale un uomo è partito, dopo aver lasciato ai servi casa e potere, il futuro è il tempo imprevedibile e improvviso del suo ritorno, che deve trovare non addormentati, bensì svegli e del tutto pronti, non soltanto i servi ma anche i lettori della parabola. Ma a differenza di Paolo, l’autore del vangelo di Marco scrive quando ormai è del tutto evidente e innegabile il ritardo di quella parusia che Paolo ancora riteneva imminente e questo spiega la trasformazione e il decisivo aumento di importanza che la parabola assegna al presente che si svolge nel frattempo. Si tratta di una parabola che, come tutte le parabole, nasconde, rivela e propone a con Dio e a senza Dio una provocazione in forma narrativa. Abbiamo qui un invito paradossale, in quanto impossibile da praticare per un tempo prolungato: l’invito a rimanere svegli sempre, in ogni ora del giorno e della notte. Apparentemente tutto è finalizzato a trovarsi pronti ad affrontare il tempo ultimo della morte, come se il frattempo dell’attesa non avesse significato e valore in sé ma solo in quanto preparazione al momento finale. Ma in realtà la parabola potrebbe essere letta da con Dio e da senza Dio anche diversamente, quasi volesse instillare nel suo lettore un dubbio e porgli una duplice domanda: il dubbio di quale sia il reale obiettivo della veglia e della vigilanza e la domanda che ne deriva: il vegliare, il vigilare, il rimanere svegli sono richiesti e necessari perché solo così ci si potrà trovare pronti quando arriverà il momento finale, ritenuto l’unico veramente decisivo e importante? O piuttosto il vegliare, il vigilare, il rimanere svegli sono richiesti e necessari per potere vivere davvero ogni istante che ci è concesso? Come con Dio o come senza Dio siamo tutti invitati dalla parabola a scegliere se vivere in vista del momento ultimo o se vivere con pienezza grata e consapevole intensità ogni istante di quel frattempo, lungo o breve, che coincide con la durata delle nostre esistenze umane.