Letture festive – 133. Conversare – 2a domenica di Quaresima – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

2a domenica di Quaresima – Anno B – 25 febbraio 2024
Dal libro della Gènesi – Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 8,31b-34
Dal Vangelo secondo Marco – Mc 9,2-10


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letture festive 133

Imparare a conversare con le pagine bibliche è forse il modo migliore per entrare in relazione con loro, leggerle e ascoltarle, comprenderle e lasciarsene illuminare, provocare e trasformare. Ma conversare con le pagine bibliche può significare anche – per con Dio e per senza Dio – porre domande provocatorie, avanzare dubbi su determinati aspetti e formulare critiche motivate a ciò che in queste pagine si può leggere. Il famoso racconto di Genesi, che inizia con la richiesta fatta da Dio ad Abramo di sacrificare il proprio figlio Isacco, è un ottimo punto di partenza per chi desideri esercitarsi nella conversazione con i testi biblici. Possiamo notare, anzitutto come il brano stesso contenga delle brevi conversazioni di Abramo con Dio e con l’angelo, anche se in queste conversazioni Abramo si limita a dire eccomi, quando viene chiamato e a eseguire silenziosamente gli ordini che gli vengono dati – e che peraltro risultano contrastanti tra loro – prendendo unicamente l’iniziativa di cercare un animale con il quale sostituire il sacrificio umano inizialmente richiestogli da Dio. Se ne potrebbe dedurre che le conversazioni degli umani con ciò che appartiene in qualche modo all’ambito del divino debbano ridursi al manifestare la propria disponibilità ad eseguire immediatamente – senza domandare né tantomeno discutere – quanto viene chiesto o ordinato dall’alto. Ma in realtà per i suoi contenuti questo passo biblico più di altri riesce a suscitare nei lettori perplessità se non scandalo, dando avvio a una conversazione che in questo caso pone al testo domande da cui attende risposta: come si può accettare infatti l’ordine di sacrificare il proprio figlio? E questo anche nel caso in cui l’ordine provenga da Dio. E quindi: che padre è quello che accetta di sacrificare il figlio? Ma anche: che Dio può essere quello che dà un ordine simile? Il fatto che poi l’angelo fermi per tempo la mano del padre che sta per sgozzare il figlio, ritenendo sufficiente la disponibilità mostrata a compiere il sacrificio, non risolve il problema. Così come non lo risolve l’iniziativa di Abramo che vedendo un ariete impigliato in un cespuglio decide di sacrificare quello al posto del figlio. La conversazione, infatti, dovrebbe porre in questione le forme violente nelle quali le religioni spesso si manifestano o minacciano di manifestarsi, tanto dal punto di vista delle divinità che chiedono e ordinano comportamenti violenti, quanto dal punto di vista degli umani che intendono manifestare la propria religiosità usando violenza nei confronti di altri viventi. Da una parte, poi, i con Dio che accettano di entrare in questa conversazione dovrebbero uscirne in qualche modo persuasi – dal testo e dalle sue possibili interpretazioni – con qualcosa che consenta loro di continuare a credere in questo Dio. Dall’altra parte, invece, i senza Dio che accettano di entrare in questa conversazione dovrebbero uscirne in qualche modo persuasi – dal testo e dalle sue possibili interpretazioni – con qualcosa che consenta loro di continuare a ritenere le pagine bibliche una fonte di ispirazione per la propria esistenza.

Anche queste brevi parole che Paolo rivolge ai cristiani di Roma, parole che – come quelle di Genesi – toccano i temi della violenza e di ciò che può essere sacrificabile o di colui che può essere sacrificato, suggeriscono e forse richiedono al lettore odierno di iniziare a conversare con questa pagina paolina, entrando in una conversazione che appare tutt’altro che scontata nei suoi esiti. Quelle che infatti Paolo pone come domande retoriche, che cioè includono già la loro risposta, almeno secondo il punto di vista di colui che le pone, possono risuonare invece per noi, con Dio o senza Dio, come domande che suscitano altre contro-domande, scomode ma necessarie, domande tutt’altro che scontate nelle loro possibili risposte. E paradossalmente sono forse anzitutto i con Dio – più ancora e prima ancora dei senza Dio – quelli che, nel conversare con questa pagina paolina, possono arrivare a formulare le domande più drammatiche e alle quali potrebbe risultare più difficile rispondere: che cosa può significare l’essere per noi di un Dio che non ha risparmiato il proprio Figlio ma lo ha consegnato alla morte? Che cosa ci può donare e che cosa ci possiamo aspettare da un Dio così? Non andrebbero forse rivolte a Dio stesso le accuse dalle quali, secondo Paolo, sono preservati gli umani che Dio ha scelto? In che modo Dio può giustificare e cioè dichiarare o rendere giusti gli umani, se la sua stessa condotta divina può essere da qualcuno, con Dio o senza Dio, ritenuta ingiusta e condannata come tale? E perché dovrebbe essere necessaria per noi l’intercessione presso Dio di un Gesù che il suo stesso Dio padre ha consegnato per noi alla morte? Si tratta di domande che girano tutte intorno alla questione fondamentale del come intendere, affrontare ed eventualmente re-interpretare il tema sacrificale che sembra essere alla base di questo testo, compresa la componente di violenza che sembra essere difficile separare dall’idea stessa di sacrificio. Anche in questo caso conversare con questa pagina biblica, con il suo autore Paolo e con la bimillenaria tradizione cristiana ed ecclesiale che ne è derivata diventa impegnativo ma probabilmente necessario. Anche in questo caso i con Dio che accettano di entrare in questa conversazione dovrebbero uscirne in qualche modo persuasi di poter continuare a credere in questo Dio. Così come, invece, i senza Dio che accettano di entrare in questa conversazione dovrebbero uscirne in qualche modo persuasi di poter continuare a ritenere le pagine bibliche una fonte di ispirazione per la propria esistenza.

Con questo racconto della cosiddetta trasfigurazione l’evangelista Marco ci invita in realtà a lasciarci coinvolgere nella conversazione di Gesù con gli altri personaggi della narrazione, perché solo attraverso questo conversare possiamo essere introdotti a ciò che rivela potenzialità, valenze e ambiguità di quanto avviene per con Dio e per senza Dio quando il divino – o anche ciò che si ritiene tale o che vi corrisponde – si manifesta nelle pagine bibliche. Conversare con questo testo significa interrogarlo e interrogarsi su che cosa possa significare, per con Dio e per senza Dio, un salire sul monte, lontano dalla quotidianità, per ritirarsi in disparte con la figura di Gesù, soli ma insieme tra alcuni discepoli. Conversare con questo testo significa interrogarlo e interrogarsi su che cosa possa significare il conversare di Gesù con i protagonisti delle Scritture, in questo caso Mosè ed Elia a rappresentare la Torah e i Profeti. Conversare con questo testo significa interrogarlo e interrogarsi su che cosa possa significare una voce senza volto che provenendo da una nube che copre con la sua ombra, invita ad ascoltare quanto il proprio figlio Gesù ha da dire. Conversare con questo testo significa interrogarlo e interrogarsi su che cosa possa significare, il vedere – prima – come in una visione e – poi – il non vedere più nessuno. Conversare con questo testo significa interrogarlo e interrogarsi su che cosa possa significare, l’appartenenza di Gesù al mondo del divino, indicata dal divenire splendenti e bianchissime di vesti che nessun lavandaio sulla terra potrebbe rendere così bianche. Conversare con questo testo significa interrogarlo e interrogarsi su che cosa possa significare, la reazione dei discepoli che attraverso il loro portavoce Pietro dichiarano essere bello stare lì con il maestro e i suoi interlocutori biblici, ma insieme non sanno cosa dire perché sono spaventati. Conversare con questo testo significa interrogarlo e interrogarsi su che cosa possa significare l’invito – rispettato – a non raccontare a nessuno ciò che si è visto se non dopo una resurrezione dai morti riguardo alla quale i discepoli si chiedono che cosa possa significare. Conversare con questo e con altri testi evangelici, perciò, comporta e richiede, nello stesso tempo, il disporsi a un ascolto senza pregiudizi e insieme critico, così come il coraggio di porre domande anche scomode. Conversare con questo e con altri testi evangelici, perciò, comporta e richiede, nello stesso tempo, l’interrogare il testo in modo spregiudicato e il lasciarsene interrogare in modo altrettanto spregiudicato. Conversare con questo e con altri testi evangelici, perciò, comporta e richiede, nello stesso tempo, impegno nel ricercare l’interpretazione migliore del testo e disponibilità ad essere interpretati dal testo stesso. Solo in questo modo, si potranno riconoscere limiti e ambiguità, ma anche lasciar emergere potenzialità e valenze di quanto avviene per con Dio e per senza Dio quando il divino – o anche ciò che si ritiene tale o che vi corrisponde – si manifesta nelle pagine bibliche.