Riflessioni teologiche – 34. Cristianesimo ecumenico e problema della verità (parte 4: LEGITTIMARE CONVINZIONI OPPOSTE RIGUARDO ALLA VERITÀ)

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico richiede un modo diverso di impostare il problema della verità, sul quale l’ecumenismo novecentesco è rimasto bloccato nella ricerca di una convergenza rivelatasi impossibile. Per sciogliere questo nodo della verità servirebbero la reciproca legittimazione – quando inevitabile – della possibilità di errare e l’umiltà di una fede che si vuole proiettata verso la realtà a cui ci orienta il vangelo e non vincolata alle proprie enunciazioni; queste ultime, infatti, devono cercare di essere vere – almeno per il soggetto che le formula – senza però dimenticare di essere fallibili e superabili. Su errori ed enunciazioni riguardanti la verità – elementi di un pluralismo non superabile – andrebbe affermata la prevalenza evangelica dell’amore perdonante, della reciproca accoglienza, del desiderio di unità e delle esperienze concrete di comunione vissuta (parte 4: LEGITTIMARE CONVINZIONI OPPOSTE RIGUARDO ALLA VERITÀ)


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 Riguardo al problema della verità, un cristianesimo radicalmente ecumenico richiede passi ulteriori rispetto alle ipotesi – anche quelle più avanzate – elaborate dall’ecumenismo novecentesco. Si tratta infatti di comporre in unità ecumenica posizioni che – sul piano delle affermazioni di verità riguardanti alcuni contenuti di fede – sono o almeno sembrano tra loro più distanti di quelle per le quali l’ecumenismo nel Novecento ha ricercato l’unità visibile. Basti pensare alla distanza tra un cristianesimo teistico e uno post-teistico, ma soprattutto alla distanza tra un cristianesimo teistico e uno non teistico, tra cristiani con Dio e cristiani senza Dio. Qui infatti – pur con tutte le precisazioni e distinzioni che andrebbero fatte – si tratta in ultima analisi di concezioni contrapposte riguardo alla verità dell’esistenza o inesistenza di Dio. Un cristianesimo che preveda l’unità visibile tra cristiani teisti e cristiani non teisti, deve confrontarsi inevitabilmente con la possibilità che, riguardo alla verità dell’esistenza o inesistenza di Dio, almeno una delle due parti sia in errore, sempre che non lo siano entrambe. Quest’ultima sarebbe, infatti, la convinzione dei post-teisti, che affermano l’esistenza di Dio, ma in un senso diverso da quello inteso dai teisti. In ogni caso, proprio il tema dell’errore e il tema della sua adeguata collocazione in rapporto alla verità dei contenuti di fede vanno ulteriormente approfonditi nella elaborazione teologica di un cristianesimo radicalmente ecumenico.

Va detto che vi sono anche approcci filosofici, alcuni con antiche radici scettiche e altri per lo più collegati a filosofie post-moderne, secondo i quali la verità sarebbe inconoscibile, irrilevante o inesistente. Se così fosse, il problema della verità, nel senso che stiamo trattando in relazione all’ecumenismo cristiano non esisterebbe o non potrebbe essere affrontato sensatamente e con speranza di successo. Le chiese cristiane, tuttavia, così come molte filosofie anche contemporanee e di varia matrice, sono storicamente legate alle concezioni classiche della verità. Per questo riteniamo opportuno fare riferimento qui – per le applicazioni all’ambito ecumenico – ad un utilizzo del concetto di verità che ne mantenga le caratteristiche tradizionali, quali il principio di non contraddizione, la funzione critica nei confronti della realtà e la distinzione tra verità ed errore. Riguardo a questo approccio va notato, come afferma Franca D’Agostini, che la verità «non è l’arma dei dogmatici, ma piuttosto quella di chi discute quel che vien dato per assodato e sicuro, cerca di capire chi ha ragione e chi ha torto, o difende una tesi contro le opinioni contrarie, o cerca di far riconoscere come vero ciò che è vero, ma non ha voce né modo di esprimersi». Quanto all’errore in campo teologico potremmo definirlo come qualcosa di falso che appare vero nel momento in cui si formula un giudizio o una valutazione di tipo teologico.

Nel delineare la possibilità di un cristianesimo radicalmente ecumenico, riguardo al problema della verità ci dobbiamo porre a questo punto la domanda decisiva: in una comunione visibile di chiese cristiane, si possono ritenere legittime convinzioni tra loro opposte riguardo alla verità dell’esistenza o inesistenza di Dio, convinzioni opposte di cui quindi alcune sono certamente erronee? Se si risponde positivamente a questa domanda, rimane ancora da spiegare in che modo si possano ritenere legittime convinzioni tra loro opposte. Solo dando risposte positive e chiare a queste domande si potranno delineare i tratti di un cristianesimo radicalmente ecumenico. Trattandosi in realtà di un tema complesso che implica diversi aspetti, per dare risposte adeguate alle domande poste è necessario compiere alcuni passaggi. Il primo passaggio consiste nella ricognizione delle riflessioni elaborate da Karl Rahner riguardanti la dialettica di verità ed errore nell’esperienza di fede e l’insuperabile condizionatezza storica delle formulazioni di verità dogmatiche e di fede, che non esistono mai allo stato puro. Il secondo passaggio riguarda le affermazioni divenute classiche nella teologia e nel magistero cattolico riguardanti il rispetto della coscienza anche quando invincibilmente erronea, l’essere rivolto dell’atto di fede alla realtà intesa e non semplicemente all’enunciazione della stessa, il significato della infallibilità nel credere da parte dei cristiani. Il terzo passaggio riguarda l’integrazione di tutto questo con le già citate riflessioni della teologia ecumenica novecentesca, per dare quelle risposte positive e chiare che aprano alla possibilità di un cristianesimo radicalmente ecumenico.

Riferimenti:

Franca D’Agostini, Introduzione alla verità, Bollati Boringhieri, Torino 2011, p. 259.