Riflessioni teologiche – 36. Cristianesimo ecumenico e problema della verità (parte 6: RAPPORTO TRA VERITÀ ED ERRORE NELLA TEOLOGIA E NEL MAGISTERO)

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico richiede un modo diverso di impostare il problema della verità, sul quale l’ecumenismo novecentesco è rimasto bloccato nella ricerca di una convergenza rivelatasi impossibile. Per sciogliere questo nodo della verità servirebbero la reciproca legittimazione – quando inevitabile – della possibilità di errare e l’umiltà di una fede che si vuole proiettata verso la realtà a cui ci orienta il vangelo e non vincolata alle proprie enunciazioni; queste ultime, infatti, devono cercare di essere vere – almeno per il soggetto che le formula – senza però dimenticare di essere fallibili e superabili. Su errori ed enunciazioni riguardanti la verità – elementi di un pluralismo non superabile – andrebbe affermata la prevalenza evangelica dell’amore perdonante, della reciproca accoglienza, del desiderio di unità e delle esperienze concrete di comunione vissuta (parte 6: RAPPORTO TRA VERITÀ ED ERRORE NELLA TEOLOGIA E NEL MAGISTERO)


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Per rispondere alla domanda sulla legittimità – in una comunione visibile di chiese cristiane – di convinzioni opposte riguardo alla verità dell’esistenza o inesistenza di Dio abbiamo sottolineato, insieme a Rahner, come anche per noi che viviamo nell’oggi, la formulazione dei contenuti di fede si presenti sempre nella forma di un amalgama nel quale ci risulta al momento impossibile isolare e distinguere nella sua purezza chimica la verità del messaggio cristiano. Solo le prossime generazioni – anch’esse però da loro punto di vista storicamente e culturalmente condizionato – potranno distinguere più chiaramente ciò che nelle nostre concezioni odierne corrisponde alla verità del messaggio cristiano e ciò che invece è inadeguato o persino erroneo. Su questo sfondo teorico, possono essere di aiuto, dopo i riferimenti a Rahner, tre affermazioni divenute classiche nella teologia e nel magistero cattolico. La prima affermazione riguarda il rispetto della coscienza individuale anche quando invincibilmente erronea. Il Concilio Vaticano II in Gaudium et Spes al n. 16 afferma: «Succede non di rado che la coscienza sia erronea per ignoranza invincibile, senza che per questo essa perda la sua dignità» e il Catechismo della chiesa cattolica del 1992 specifica: «L’essere umano deve sempre obbedire al giudizio certo della propria coscienza. Se agisse deliberatamente contro tale giudizio, si condannerebbe da sé. Ma accade che la coscienza morale sia nell’ignoranza e dia giudizi erronei su azioni da compiere o già compiute». Lo stesso Catechismo, dopo aver sottolineato la colpevolezza morale dell’ignoranza causata dal mancato impegno nella formazione di una coscienza retta e nella ricerca della verità e del bene, aggiunge: «Se — al contrario — l’ignoranza è invincibile, o il giudizio erroneo è senza responsabilità da parte del soggetto morale, il male commesso dalla persona non può esserle imputato».

La seconda affermazione viene formulata già nella seconda metà del 1200 da san Tommaso d’Aquino e riguarda quello che è propriamente l’oggetto della fede, ciò a cui precisamente si rivolge l’atto di fede del credente. Tommaso afferma: «Actus […] credentis non terminatur ad enuntiabile, sed ad rem», cioè l’atto di fede del credente non si ferma a ciò che viene enunciato della realtà ma è rivolto a questa stessa realtà. In questo modo si stabilisce in primo luogo una distinzione tra la realtà e ciò che di essa viene enunciato, cioè una distinzione tra la realtà intesa dal credente nel suo atto di fede e la formulazione attraverso parole e concetti di questa stessa realtà. Una volta posta questa distinzione, sembra inoltre che si possa affermare una priorità e superiorità qualitativa della realtà rispetto all’enunciazione della stessa. Si potrebbe aggiungere che la funzione dell’enunciato dovrebbe consistere fondamentalmente nel far pervenire l’atto di fede del credente alla realtà verso la quale è proteso. In questo senso lo stesso valore dell’enunciato dovrebbe essere inteso come fondamentalmente relativo alla sua capacità di svolgere adeguatamente questa funzione. Tutto ciò non dovrebbe essere necessariamente in contrasto con l’altra funzione che l’enunciato dovrebbe svolgere, cioè quella di offrire una formulazione condivisa attraverso parole e concetti nella quale possa esprimersi simbolicamente l’appartenenza ad una medesima comunità ecclesiale dei diversi credenti.

La terza affermazione si collega in qualche modo alla seconda e riguarda la cosiddetta infallibilitas in credendo, cioè l’infallibilità nel credere da parte del popolo di Dio che – come afferma Papa Francesco in Evangelii Gaudium – è reso dallo Spirito «infallibile “in credendo”. Questo significa che quando crede non si sbaglia, anche se non trova parole per esprimere la sua fede. Lo Spirito lo guida nella verità e lo conduce alla salvezza. […] Dio dota la totalità dei fedeli di un istinto della fede – il sensus fidei – che li aiuta a discernere ciò che viene realmente da Dio. La presenza dello Spirito concede ai cristiani una certa connaturalità con le realtà divine e una saggezza che permette loro di coglierle intuitivamente, benché non dispongano degli strumenti adeguati per esprimerle con precisione». Nell’affermare questo Papa Francesco sottolinea come il non trovare parole e il non disporre di adeguati strumenti di espressione, non impediscano alla fede del popolo credente di essere infallibile, cioè di non sbagliarsi nel credere, perché tale fede coglie intuitivamente ciò che può non riuscire ad esprimere verbalmente con precisione. Una conseguenza di questa interpretazione della infallibilitas in credendo è che l’adesione alle formulazioni di fede ecclesiali da parte dei credenti, singolarmente e nel loro insieme, non comporta di per sé l’infallibilità di tali formulazioni. La infallibilitas in credendo dei credenti è rivolta infatti non all’espressione verbale ma alla realtà intesa dalla fede. L’adesione dei credenti alle formulazioni ecclesiali di fede ha quindi un significato di partecipazione alla comunione ecclesiale e non trasferisce l’infallibilità del loro credere all’esattezza o adeguatezza contenutistica di queste stesse formulazioni dottrinali.

Riferimenti:

CONCILIO ECUMENICO VATICANO II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Gaudium et Spes (del 7 dicembre 1965), n. 16 (consultabile sul sito ufficiale del Vaticano)

Catechismo della chiesa cattolica nn. 1790 – 1794. (consultabile sul sito ufficiale del Vaticano).

Tommaso d’Aquino, La somma teologica, 4 voll., EDS, Bologna 2014, II-II, q. 1, a. 2, ad 2 (consultabile sul sito di edizionistudiodomenicano)

Francesco, Evangelii Gaudium, n. 119 (consultabile sul sito ufficiale del Vaticano)

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