Letture festive – 50. Servitori – 27a domenica del Tempo Ordinario Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

27a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 2 ottobre 2022
Dal libro del profeta Abacuc – Ab 1,2-3;2,2-4
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo – 2 Tm 1,6-8.13-14
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 17,5-10


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letture festive 50

Il profeta Abacuc è un servitore di Dio impegnato nel servizio profetico di denuncia dell’ingiustizia, ma si trova sconcertato davanti a quella che si presenta ai suoi occhi come una inspiegabile e scandalosa inerzia divina. Le domande che questo fedele servitore rivolge direttamente a Dio finiscono per assomigliare molto ad accuse rivolte a colui che sembra rimanere come uno spettatore passivo di fronte a violenza, iniquità e oppressione. Ciò che viene messo in discussione qui è la stessa identità del profeta come servitore della parola divina, un’identità che rischia di svuotarsi fino a diventare priva di senso e di valore, dal momento che ogni appello religioso all’intervento divino sembra restare inascoltato e manca un riscontro oggettivo a quanto il profeta annuncia in nome di Dio. La risposta divina si presenta – da un certo punto di vista – come una non-risposta, che invita il profeta a modificare atteggiamento e diventare servitore della parola in modo diverso. Si tratta di una risposta che viene formulata attraverso una serie di sorprendenti paradossi. L’invito al profeta è a scrivere, perché possa essere letto agevolmente, il contenuto di una visione che, però, non è un’immagine, bensì la promessa che vi sarà un termine e una scadenza all’attesa. Questa scadenza però non viene precisata e mentre si afferma che non tarderà, si precisa che bisognerà attenderla perché potrebbe indugiare. La risposta divina si conclude stabilendo un’opposizione tra chi non ha l’animo retto ed è quindi destinato a soccombere, mentre il giusto vivrà per la sua fede. Se si considera che la domanda iniziale partiva precisamente dallo scandaloso soccombere dei giusti e dal prevalere dei violenti si capisce come questa potrebbe essere intesa come una non-risposta, capace addirittura di suscitare irritazione in chi l’ascolta. In realtà si tratta di una risposta che vuole ricondurre colui che intende essere un servitore alla consapevolezza della propria condizione. Al servitore di una parola altra viene chiesto qui di non pretendere di stabilire i tempi di efficacia di questa stessa parola, ma di rimanere fiducioso in essa, aperto a ciò che in futuro potrà ancora avvenire.

Anche nella seconda lettera a Timoteo, il disagio di questo servitore di Dio, destinatario della lettera, si può cogliere indirettamente nelle esortazioni che gli vengono rivolte. La timidezza e la vergogna che l’autore della lettera evidentemente suppone in Timoteo vanno superate, ma questo superamento non può essere frutto esclusivamente dell’impegno personale e interiore dello stesso Timoteo. Il riferimento a un dono trasmesso simbolicamente con l’imposizione di mani diverse dalle proprie, i riferimenti a uno spirito, a una forza, a insegnamenti uditi, a beni preziosi affidati, sono elementi che vengono associati qui a Dio. Ciò, tuttavia, potrebbe essere riferito – soprattutto per i senza Dio – anche alle diverse realtà dalle quali riceviamo ciò che ci consente di svolgere un compito affidatoci e risultare in questo modo servitori adeguati. Può trattarsi, di volta in volta, di persone o di insegnamenti, di singoli o di comunità, di esperienze o di tradizioni, di incontri con persone o con altre realtà, di luoghi o di istituzioni, di testi ispiratori o di riti. Il servitore che accoglie e si lascia trasformare dagli stimoli positivi che riceve potrà riconoscersi infine dotato di uno spirito di forza, di carità e di prudenza. Sarà questo spirito a consentirgli di affrontare anche le sofferenze necessarie a custodire quanto appreso con fede e amore, riconoscendo nel vangelo il bene prezioso che gli è stato affidato e del quale deve cercare di essere servitore.

In questo passo di Luca troviamo alcune parole rivolte ai servitori del vangelo tra le più dure ed enigmatiche di tutto il Nuovo Testamento. L’avvio è dato da una richiesta degli apostoli apparentemente lodevole, quella di accrescere la loro fede. La risposta di Gesù dichiara invece la loro completa assenza di fede. Non ne hanno, infatti, neppure quella quantità minima, che pure sarebbe sufficiente a muovere con la sola parola ciò che appare fisso e inamovibile, come un albero al quale si ordinasse di sradicarsi per andare a piantarsi nel mare. La mancanza di fede degli apostoli, i servitori del vangelo incaricati di annunciarlo nel mondo, nasconde e rivela allo stesso tempo la loro radicale incomprensione del compito assegnato e di ciò che comporta. Considerando, infatti, il modo in cui Gesù si rivolge loro, sembra che gli apostoli – anziché essere servitori del vangelo – vogliano servirsene a proprio favore, come fossero servitori che si aspettano di essere serviti piuttosto che di mettersi a servizio. L’immagine della fede come un seme, piccolo ma dotato di dinamismo e di potenzialità molto superiori alle apparenze iniziali, richiama il requisito fondamentale chiesto a ogni servitore della parola e del vangelo. Con questa immagine contrastano radicalmente gli atteggiamenti che Gesù sembra invece riconoscere e stigmatizzare negli apostoli: l’attesa di una ricompensa per il proprio servizio, anche solo in termini di gratitudine, il calcolo del rapporto costi-benefici, la concentrazione su di sé più che la dedizione alla missione ricevuta. L’albero che deve sradicarsi per trasferirsi e piantarsi altrove, addirittura nel mare, sono in fondo gli stessi apostoli, se vogliono davvero diventare servitori della parola e del vangelo. A partire dal dinamismo della fede come di un seme che cresce, si richiede proprio a chi offre e a chi accoglie questa parola e questo vangelo la disponibilità a lasciarsi spostare o addirittura strappare dal suolo originario per mettere radici altrove, anche nei luoghi meno adatti o più improbabili, e portare così frutti inaspettati. Solo così, quando avranno fatto tutto ciò che è richiesto dal dinamismo del servizio alla parola e al vangelo, questi stessi servitori arriveranno a una sorta di feconda inutilità, non perché il loro impegno sia risultato inutile alla causa del vangelo, ma perché loro stessi avranno rinunciato a porre alla base del loro servizio il proprio utile tornaconto.