Riflessioni teologiche – 46. Cristianesimo ecumenico e pratiche di comunione (parte 7: COMUNITÀ DI PRATICA, ECOLOGIA SOCIALE DELL’IDENTITÀ, TESSITURA COME GOVERNO)

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico, dinamicamente inserito nel processo di riconfigurazione in forma sinodale intrapreso da chiese e comunità cattoliche su impulso di papa Francesco, richiede un rinnovato impegno nel praticare forme di comunione ecclesiale capaci di ampliare la varietà di coloro che potrebbero essere raggiunti o accolti o attivamente coinvolti. Nell’intraprendere questo percorso di ricerca teologica, di esperienza vissuta e di pratiche di sperimentazione ecclesiale potrebbero essere di aiuto diversi approcci teorico-pratici provenienti da alcune fonti di ispirazione: elementi ricavabili dall’esperienza vissuta nelle famiglie, riflessioni sulle comunità di pratica, metodologie per l’ascolto attivo e la gestione dei conflitti, approcci filosofici della teoria dell’attore-rete (ANT) e dell’ontologia orientata agli oggetti (OOO), suggestioni collegate alla nozione di terzo paesaggio e possibili applicazioni di questi approcci alla teologia e alla pratica ecclesiale (parte 7: COMUNITÀ DI PRATICA, ECOLOGIA SOCIALE DELL’IDENTITÀ, TESSITURA COME GOVERNO)


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La quinta caratteristica della comunità di pratica viene definita “ecologia sociale dell’identità” e – in un cambiamento d’epoca come quello che stiamo attraversando – può risultare utile nell’affrontare gli attuali e inevitabili processi di ridefinizione della nostra identità cristiana individuale ed ecclesiale. Si tratta, peraltro, di processi di ridefinizione dell’identità cristiana che dovrebbero integrarsi dinamicamente con i processi di riconfigurazione in forma sinodale della chiesa, nella direzione di un cristianesimo radicalmente ecumenico. Tutte le caratteristiche già descritte della comunità di pratica, dalla partecipazione periferica legittima alla negoziabilità del significato, dalla densità insatura delle reificazioni all’ambiguità come opportunità, si potrebbero interpretare anche come altrettanti fattori che, in modi diversi, contribuiscono a plasmare o ri-plasmare continuamente l’identità dei singoli coinvolti nella comunità di pratica. L’identità di ciascuno, infatti, si costituisce anche attraverso l’intensità e l’assiduità con la quale sceglie di partecipare a una comunità e attraverso i modi nei quali si trova a negoziare, insieme ai diversi significati, anche quelli che incidono sulla propria identità. L’identità di ciascuno si costituisce e si modifica, inoltre, attraverso le dinamiche di scambio, integrazione e reciproco arricchimento nelle quali si offre e si riceve. Queste dinamiche di scambio e di contributo cooperativo e reciproco, determinate da una densità insatura delle reificazioni, suppongono una incompiutezza e un’apertura a nuovi contributi e modifiche. Si tratta di processi che riguardano non solo le reificazioni, cioè gli oggetti prodotti e gli obiettivi raggiunti, ma incidono in realtà anche sull’identità di ciascuno modificandola, a volte superficialmente, ma in qualche caso anche profondamente.

Questa stessa identità deve, infine, riconoscersi strutturalmente ambigua nel proprio essere potenzialmente aperta nel suo divenire a modifiche e nuove interpretazioni. Sarà il tempo a mostrare in che modo l’identità ancora ambigua dell’individuo potrà evolvere, trasformando le ambiguità in opportunità positive di crescita e maturazione o, al contrario, in battute d’arresto regressive e infeconde. Parlando di ecologia sociale dell’identità si sottolinea come in realtà – già in generale ma in particolare nelle comunità di pratica – questi processi di formazione e maturazione dell’identità non sono semplicemente frutto di dinamismi interni al singolo individuo e neppure possono essere da lui governati in autonomia e solitudine. Vi è, infatti, un ambiente – da cui ecologia – nel quale le interazioni con gli altri componenti la comunità – da cui sociale – risultano decisive per i processi di riconfigurazione dell’identità. In un cristianesimo radicalmente ecumenico, ciò potrebbe significare, ad esempio, che le identità cristiane ed ecclesiali di singoli teisti e singoli non teisti – che si sarebbe tentati di pensare come lontane e persino opposte o incompatibili – potrebbero in realtà trovarsi esposte nella medesima comunità ecclesiale a reciproche influenze. Queste reciproche influenze dovrebbero far maturare ciascuna identità, educandola all’accoglienza e al reciproco rispetto, ma potrebbero anche far evolvere questa stessa identità in direzioni inattese, verso nuovi assemblaggi e forme ibridate e inedite di identità cristiane ed ecclesiali.

La sesta e ultima caratteristica della comunità di pratica è la “tessitura” come modalità con la quale si governano le pratiche della comunità. Si tratta di un processo – quello della tessitura – che metaforicamente deve far intrecciare i diversi fili, ottenendo infine un risultato soddisfacente per tutti. In una comunità ecclesiale non è detto che la funzione di tessitura debba essere necessariamente concentrata in un’unica figura istituzionale ed ecclesiastica di responsabile del governo della comunità. Potrebbe anche essere quella di uno o più facilitatori oppure anche una funzione distribuita tra più soggetti, contemporaneamente o con incarichi a tempo. In ogni caso la tessitura dovrebbe promuovere e consentire l’attivazione e il funzionamento delle altre cinque caratteristiche della comunità di pratica, tenendo conto delle differenze dei fili che vanno intrecciati, valorizzando le differenze e nello stesso tempo riuscendo a comporle nel modo migliore. Da questo punto di vista, in una comunità ecclesiale il governo inteso come tessitura dovrebbe presentarsi non come l’imposizione di decisioni dall’alto ma come la promozione di un confronto dal basso che faccia interagire le persone e i gruppi, accompagnando tutti verso scelte condivise e pratiche da articolare in modo differenziato ma comunitario. La tessitura in una medesima comunità ecclesiale di soggetti diversi tra loro, come possono essere teisti e non teisti, richiederebbe rispetto delle reciproche diversità e rinuncia a imporre assimilazioni forzate, ampiezza di vedute e desiderio di offrire a tutti la possibilità di partecipare e di contribuire, capacità di comporre situazioni potenzialmente conflittuali e incoraggiamento a ricercare soluzioni creative e innovative.

Riferimenti:

Stella Morra – Marco Ronconi, Incantare le sirene. Chiesa, teologia e cultura in scena, EDB, Bologna 2019, pp. 196-219.

Etienne Wenger, Comunità di pratica. Apprendimento, significato e identità, Raffaello Cortina, Milano 2006.