Letture festive – 51. Inatteso – 28a domenica del Tempo Ordinario Anno C

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

28a domenica del Tempo Ordinario Anno C – 9 ottobre 2022
Dal secondo libro dei Re – 2 Re 5,14-17
Dalla seconda lettera di san Paolo apostolo a Timòteo – 2 Tm 2,8-13
Dal Vangelo secondo Luca – Lc 17,11-19


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letture festive 51

Nel secondo libro dei Re l’illustre – ma lebbroso – straniero Naamàn, sperimenta la guarigione in modo inatteso. Al profeta Eliseo, che lo aveva invitato a immergersi sette volte nel fiume Giordano, Naamàn aveva inizialmente obiettato che nella sua patria vi erano fiumi ben più importanti in cui immergersi. Ma alla fine si era lasciato convincere ad accettare, per cui ora, essendosi immerso, ne riemerge risanato. Un ulteriore evento inatteso è il rifiuto del profeta di accettare il dono offerto dal lebbroso risanato, così come inattesa è la stessa reazione di quest’ultimo. Un dono di gratitudine rifiutato impedisce, infatti, al donatore di chiudere il cerchio del proprio percorso di guarigione, per cui a questo punto la scelta, inattesa, è quella di spostare l’offerta del dono a quello che nel racconto è il vero guaritore. Per questo, al dono della guarigione si aggiunge la richiesta di un ulteriore dono, quello di una quantità di terra sufficiente per creare, una volta tornato in patria, lo spazio sacro necessario a compiere sacrifici a quel Dio che ha operato la guarigione. Si tratta però, in questo modo, di un circuito del dono che, anziché chiudersi, viene ulteriormente ampliato e volutamente mantenuto aperto al futuro. Colui che all’inizio era diffidente nell’immergersi in un fiume straniero, alla fine decide di portare una piccola porzione di terra straniera nella propria patria, estendendo e modificando di fatto, in questo modo inatteso, i confini della stessa terra santa. Si finisce, così, per suggerire un’interpretazione inattesa di questa terra promessa e donata al popolo: si tratta di una terra destinata ad essere – ovunque ci si trovi e ovunque la si trasporti con sé – non tanto un luogo posseduto in modo esclusivo, ma il luogo donato nel quale esprimere gratitudine per i doni ricevuti, a partire da una vita nuovamente integra e dal superamento dei propri pregiudizi.

Nel passo della seconda lettera a Timoteo, si contrappone la condizione di sofferenza e persecuzione vissuta in catene dall’annunciatore della parola evangelica con questa stessa parola che rimane, in modo inatteso, libera e affidabile. Il contenuto di questa parola, che riguarda la relazione con Cristo Gesù, viene formulato nei termini di effetti prodotti e attesi, come si trattasse appunto di rapporti causa-effetto e di conseguenze dei modi di vivere questa stessa relazione: “se moriamo con lui, con lui anche vivremo, se perseveriamo, con lui anche regneremo, se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà”. Ma il quarto passaggio è del tutto inatteso e si presenta in apparente contraddizione con i precedenti: “se siamo infedeli, lui rimane fedele, perché non può rinnegare sé stesso”. Se il rinnegare, il dire: “non ti conosco” provoca ancora un: “quando ti comporti così, neppure io ti riconosco più”, l’essere infedele non provoca qui una corrispettiva infedeltà, perché vi è invece – se non altro per coerenza con sé stessi – la scelta consapevole di mantenere una relazione di fedeltà, anche se questa è divenuta ormai unilaterale e unidirezionale. È quel tipo di relazione in cui una delle parti sceglie di non limitarsi a contraccambiare l’altro in base al suo comportamento, in un modo che potremmo definire retributivo, ma compie uno scarto, uno spostamento, decisamente inatteso. Si tratta di un nuovo posizionamento, dove la reazione non corrisponde all’azione dell’altro ma vi si oppone, come la fedeltà all’infedeltà, come il mantenere aperto un canale di comunicazione anche con chi sembra non voler più comunicare. Questo comportamento, non simmetrico e perciò inatteso, potrebbe essere proprio ciò che produce nell’altro uno spiazzamento e crea le condizioni del suo cambiamento.

Il vangelo di Luca ci invita a notare gli aspetti inattesi che costellano un episodio di guarigione multipla di dieci lebbrosi. Il primo aspetto inatteso è dato dal fatto che una malattia che provoca un così tragico isolamento sociale, crei tra gli stessi isolati una comunanza tale da farli parlare ad una sola voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi”. Anche la reazione di Gesù è inattesa, perché li tratta come se fossero già guariti e dice loro di presentarsi ai sacerdoti, che ne devono attestare ufficialmente la guarigione. Si potrebbe considerare inattesa anche la loro scelta di obbedire senza obiezioni a questo ordine apparentemente assurdo – o per lo meno prematuro – da parte di Gesù. Inatteso, per lo meno nella modalità, è pure il riconoscersi miracolosamente guariti durante il cammino, senza alcun apparente intervento da parte di nessuno. Inatteso, per il lettore del vangelo come per lo stesso Gesù, è il fatto che solo uno dei dieci torni indietro a ringraziare e che si tratti di uno straniero samaritano, e perciò di qualcuno che – nella concezione più integralista dell’ebraismo praticato a Gerusalemme – veniva ritenuto in qualche modo un eretico senza Dio. In realtà si potrebbe anche pensare che proprio questa scarsa considerazione di cui i samaritani godevano a Gerusalemme abbia tenuto questo decimo lebbroso guarito lontano dai sacerdoti del tempio, facendogli preferire, invece, il ritorno dal suo benefattore Gesù. Interpretando così risulterebbe ancora più inattesa la parola finale che Gesù rivolge al samaritano guarito: “alzati e va; la tua fede ti ha salvato!”. Inattesa è, anzitutto, l’ombra che viene implicitamente gettata sulla guarigione degli altri nove, che si potrebbero considerare non salvati dalla propria fede, benché non samaritani e benché abbiano creduto e seguito l’ordine di Gesù, fino a ritrovarsi anch’essi guariti. La guarigione, anche se miracolosa, non coincide dunque con la fede che salva. Quest’ultima caratterizza qui – in modo inatteso e a differenza degli altri nove lebbrosi guariti – un eretico senza Dio che, a ben vedere, non ha seguito l’ordine di Gesù, non essendo mai arrivato a presentarsi ai sacerdoti del tempio di Gerusalemme, ma – in modo inatteso – ha deciso di propria iniziativa di cambiare direzione e di tornare sui propri passi per esprimere la propria gratitudine.