Indulgenza. Cosa? Come?

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

Il termine “indulgenza” viene spesso associato a quello di abuso – basta ricordare i secoli. XV e XVI – in cui entra nell’uso il verbo “lucrare” (già verbo latino), tuttora conosciuto, e che vuol dire “guadagnare denaro”. É stato una delle molle che ha fatto scattare la riforma protestante. Abuso che è stato riconosciuto da Paolo VI nella Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina (1967): «Purtroppo nell’uso delle indulgenze si infiltrarono talvolta degli abusi, sia … a causa di concessioni non opportune … sia a causa di “illeciti profitti” veniva infamato il nome di indulgenza. Ma la chiesa, biasimando e correggendo tali abusi, “insegna e stabilisce che l’uso delle indulgenze deve essere conservato perché sommamente salutare al popolo cristiano e autorevolmente approvato da sacri concili…” (8).

La definizione di “indulgenza”, formulata la prima volta nel documento di Leone X (decreto Cum postquam, 1518) si ritrova nella Norma 1 della Indulgentiarum doctrina: «L’indulgenza è la remissione dinanzi a Dio della pena temporale per i peccati, già rimessi quanto alla colpa, che il fedele, debitamente disposto e a determinate condizioni, acquista per intervento della chiesa, la quale, come ministra della redenzione, autoritativamente dispensa ed applica il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi». Questa formula viene ripresa fedelmente dal Codice di Diritto Canonico del 1983 (nn. 992-997) e nel Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 nn. 1471-1479).

Il giubileo straordinario della misericordia, inaugurato l’8 dicembre scorso, rilancia la questione dell’indulgenza che è bene considerare per la sua legittimità e la sua attualità. La Bolla d’indizione del giubileo, Misericordiae vultus pubblicata da papa Francesco, ripresenta la dottrina classica, ma con un nuovo afflato. Leggendo la Bolla si può avvertire come questo afflato si profili già in un documento precedente, quello dell’indizione dell’Anno Santo della Redenzione di Giovanni Paolo II (2000): Incarnationis mysterium.

Papa Francesco affronta il tema dell’indulgenza nella sua relazione con Dio come una forma di misericordia: «La misericordia di Dio … diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato» (22). Viene sottolineata l’attenzione di Dio verso il peccatore come si può notare proseguendo la lettura: «Vivere dunque l’indulgenza nell’Anno Santo significa accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita del credente» (ib.). In questo modo viene sottolineato il fatto che l’indulgenza deve essere percepita come il protendersi misericordioso di Dio verso i peccatori.

Associando in modo così stretto misericordia e indulgenza divina si impedisce a quest’ultima di essere autonoma, anzi viene riannodata alla sua sorgente, cioè all’amore di Dio verso gli uomini. Questo spostamento d’accento è molto importante perché tiene distante espressioni quali “guadagnare”, “ottenere”, “lucrare l’indulgenza”. Papa Francesco preferisce l’espressione «vivere l’indulgenza», «fare esperienza» della misericordia di Dio e della sua indulgenza attraverso la mediazione della Chiesa. In questo nuovo “clima” non viene più ripresa la distinzione fra indulgenza particolare e indulgenza plenaria, distinzione che può suscitare difficoltà inestricabili nel circoscrivere le indulgenze particolari. Evitando i vocaboli particolare e plenaria e limitandosi al termine indulgenza il papa scivola fuori da un giuridismo difficilmente gestibile.

Mentre l’indulgenza era stata definita come la “remissione delle pene temporali”, cioè il condono delle conseguenze dei peccati commessi che ci avrebbero fatto passare qualche tempo in purgatorio, constatiamo nel paragrafo sull’indulgenza nella Misericordiae vultus (22), l’assenza sia di questo termine come del vocabolo “remissione”. In luogo di queste espressioni proprie della definizione classica dell’indulgenza, Francesco utilizza altre formule che vogliono dire la stessa cosa: «il peso del peccato», «la forza del peccato che ci condiziona, «le contraddizioni che sono conseguenza del peccato», «l’impronta negativa del peccato sui nostri comportamenti e nei nostri pensieri», «le conseguenze del peccato». Allo stesso tempo si può constatare che il termine “remissione” è sostituito da “liberazione”, così come compare la formula: «perché il perdono sia esteso fino alle estreme conseguenze a cui giunge l’amore di Dio» (ib.). Quasi volendo liberare la dottrina dell’indulgenza dal suo orizzonte giuridico, Francesco afferma: «Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia» (21).

La pena di cui si parla – come ha mostrato K. Rahner – è presente nell’uomo pentito e si manifesta nella sofferenza della contraddizione che permane fra l’interiore tensione al bene e il perdurare del desiderio e dei comportamenti opposti ad essa. Il superamento di questa pena può essere compreso soltanto come un processo di maturazione personale grazie al quale, passo dopo passo, ogni energia dell’essere umano viene integrata dalla decisione della persona libera. L’indulgenza si presenta così come ciò che permette un processo di maturazione più rapido e meno doloroso. Lo sostiene anche il papa nella Bolla d’indizione: «Mentre percepiamo la potenza della grazia che ci trasforma, sperimentiamo anche la forza del peccato che ci condiziona. Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che sono la conseguenza dei nostri peccati» (22). Le tracce lasciate dal peccato nella memoria, l’immaginazione e il corpo possono continuare ad alimentare la tentazione. In questo senso il cristiano è insieme peccatore e giusto (simul peccator et justus), ma questa condizione contraddittoria non è definitiva perché la giustizia progredisce sotto l’influenza della grazia e sostenuta dalla solidarietà ecclesiale.

Anche nel parlare di solidarietà a favore di coloro che beneficiano dell’indulgenza di Dio è particolarmente rivelatore constatare l’assenza nella Misericordiae vultus di termini tecnici e classici quali l’espiazione, la riparazione, il merito, la purificazione del purgatorio. La dottrina dell’indulgenza ha elaborato a suo tempo un sistema di solidarietà e cioè di trasferimento dei meriti di Cristo e dei santi a favore dei penitenti in modo da alleggerire la loro personale espiazione. É una pratica antica che si trova anche nell’Indulgentiarum doctrina di Paolo VI: «E poiché le sofferenze, che i martiri sostenevano per la fede e per la legge di Dio, venivano stimate di grande valore, i penitenti erano soliti ricorrere agli stessi martiri per essere aiutati dai loro meriti, al fine di ottenere dai vescovi una più rapida riconciliazione» (6). Questi meriti trasferibili erano considerati il “tesoro della Chiesa” al quale poter attingere per dare sollievo ai penitenti.

La Bolla del 2015 non fa più riferimento a questo schema esplicativo. Non dice più che il peccatore deve espiare o soddisfare, ma sottolinea la sua liberazione perché cresca nell’amore. L’indulgenza del Padre «lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato» (22). Questa affermazione da un orientamento nuovo: non invita più a guardare al passato per riparare quello che ha distrutto col  peccato, ma orienta a guardare avanti perché possa agire nell’amore e crescere nella fede. Non si tratta più di una compensazione o di una sorta di risarcimento, ma piuttosto di un invito ad entrare in un dinamismo vitale di conversione. Se questo modo di vedere è giusto, allora si deve comprendere l’indulgenza come un aiuto a vivere meglio, ad agire nell’amore, a crescere piuttosto che a un mezzo per essere sollevati da una pena. In questo modo l’indulgenza non ci fa guardare all’indietro, ma ci spinge verso il nostro compimento. É un modo di percepire l’indulgenza più medicinale che giuridico.

Si può riprendere qui un pensiero di J.-M. Hennaux espresso in occasione del giubileo del 2000: «La grazia dell’indulgenza … risponde alla necessità di purificazione, di guarigione, di risanamento, di ristoro, di riunificazione in rapporto al peccato che è in noi e negli altri» (NRT 122, 2000, 98). Questo vocabolario sottolinea, giustamente, la purificazione necessaria dalle tracce del peccato nella memoria e nel corpo nella misura in cui ostacolano la libertà personale. Inoltre, se l’indulgenza produce un tale effetto, non è solo per ristabilire il penitente nello stato precedente al peccato, ma molto di più per porlo in una dinamica di conversione. La guarigione spirituale lungi dall’essere un fine in se stessa, ci permette di rimetterci in cammino; l’indulgenza è un aiuto per il progresso della vita personale di fede.

In questo modo di sentire anche il ricorso al “tesoro della Chiesa” non compare più nella Bolla d’indizione di papa Francesco. Questo concetto è stato inteso purtroppo come un deposito bancario, legato all’idea piuttosto commerciale di uno scambio di meriti. Una simile visione, se non si richiama con fermezza la centralità dell’atto redentore di Cristo dal quale proviene ogni merito, rischia di lasciar pensare che la fonte di salvezza siano i meriti dei giusti. Paolo VI aveva, a suo tempo, cercato di correggere una simile stortura richiamando l’unica mediazione di Cristo: «il “tesoro della chiesa”. Infatti, non lo si deve considerare come la somma di beni materiali, accumulati nel corso dei secoli, ma come l’infinito ed inesauribile valore che le espiazioni e i meriti di Cristo hanno presso il Padre ed offerti perché tutta l’umanità fosse liberata dal peccato e pervenisse alla comunione con il Padre; è lo stesso Cristo redentore, in cui sono e vivono le soddisfazioni ed i meriti della sua redenzione» (Indul. Doctrina 5). In luogo di “tesoro della Chiesa”, Francesco preferisce parlare della santità della Chiesa: «La loro santità – dei santi – viene in aiuto alla nostra fragilità, e così la Madre Chiesa è capace con la sua preghiera e la sua vita di venire incontro alla debolezza di alcuni con la santità di altri … con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita del credente. Indulgenza è sperimentare la santità della Chiesa che partecipa a tutti i benefici della redenzione di Cristo» (22). La solidarietà ecclesiale non è frutto di un’organizzazione e delle decisioni della Chiesa, ma piuttosto la conseguenza dell’azione di Dio in suo favore. La solidarietà fondata sulla comunione dei santi, dono di Dio, è un’immagine della vitalità della Chiesa: i santi lo sono nella misura in cui vengono incontro ai deboli, cosa in cui si mostrano “fratelli” dei peccatori.

La Bolla di Paolo VI afferma inoltre che l’indulgenza «conviene in parte con gli altri mezzi o vie destinate ad eliminare ciò che rimane del peccato, ma nello stesso tempo si distingue chiaramente da essi. Nell’indulgenza, infatti, la chiesa facendo uso del suo potere di ministra della redenzione di Cristo Signore, non soltanto prega, ma con intervento autoritativo dispensa al fedele ben disposto il tesoro delle soddisfazioni di Cristo e dei santi in ordine alla remissione della pena temporale» (8).

La Misericordiae vultus non usa espressioni quali “intervento autoritativo”, presente anche nel Catechismo della Chiesa Cattolica (n. 1478), ma una formula che si allarga a tutta la vita della Chiesa; «la Madre Chiesa è capace con la sua preghiera e la sua vita di venire incontro alla debolezza di alcuni con la santità di altri» (22). La Chiesa, secondo il papa, è anche la Sposa di Cristo; la sua vita dipende da Cristo. Si può dire che è “madre” degli uomini nella misura in cui è “sposa” di Cristo. Queste immagini pongono la preghiera della Chiesa, legata alla sua vita, come il primo mezzo di mediazione dell’indulgenza divina. In questo modo non si esclude l’“intervento autoritativo”, ma viene sottomesso alle preghiere della Chiesa. In questo modo l’“intervento autoritativo” sembra come sorpassato; affermare che la santità degli uni viene incontro alla debolezza degli altri rimane molto generico. Non si dice infatti come questo si realizzi, ma l’idea di solidarietà è molto sottolineata senza ripiegamenti su espressioni e rimandi giuridici. Il testo del papa invita a rinnovare il fondamento della dottrina dell’indulgenza e della solidarietà che essa implica.

Papa Francesco ha continuato ciò che il suo predecessore aveva iniziato cambiando il vocabolario così da rendere più comprensibile la vecchia dottrina dell’indulgenza. L’assenza quasi totale di tutte le espressioni legate alla dottrina classica appare sorprendente perché questa dottrina era già stata riformulata recentemente e a partire dal documento di Paolo VI del 1967 dal Codice di Diritto Canonico del 19083 e dal Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992. Nella Misericordiae vultus viene sottolineato di più un approccio spirituale che porta maggiore attenzione all’uomo, un approccio libero da ogni pesantezza giuridica e contabile. Queste accentuazioni invitano a ripensare teologicamente la dottrina dell’indulgenza partendo dalla misericordia e dall’indulgenza del Padre.

Preghiera di papa Francesco per il giubileo

Signore Gesù Cristo,
tu ci hai insegnato a essere misericordiosi come il Padre celeste,
e ci hai detto che chi vede te vede Lui.
Mostraci il tuo volto e saremo salvi.
Il tuo sguardo pieno di amore liberò Zaccheo e Matteo dalla schiavitù del denaro;
l’adultera e la Maddalena dal porre la felicità solo in una creatura;
fece piangere Pietro dopo il tradimento,
e assicurò il Paradiso al ladrone pentito.
Fa’ che ognuno di noi ascolti come rivolta a sé la parola che dicesti alla samaritana: Se tu conoscessi il dono di Dio!

Tu sei il volto visibile del Padre invisibile,
del Dio che manifesta la sua onnipotenza soprattutto con il perdono e la misericordia:
fa’ che la Chiesa sia nel mondo il volto visibile di Te, suo Signore, risorto e nella gloria.
Hai voluto che i tuoi ministri fossero anch’essi rivestiti di debolezza
per sentire giusta compassione per quelli che sono nel l’ignoranza
e nell’errore; fa’ che chiunque si accosti a uno di loro si senta atteso, amato e perdonato da Dio.

Manda il tuo Spirito e consacraci tutti con la sua unzione
perché il Giubileo della Misericordia sia un anno di grazia del Signore
e la sua Chiesa con rinnovato entusiasmo possa portare ai poveri il lieto messaggio, proclamare ai prigionieri e agli oppressi la libertà e ai ciechi restituire la vista.

Lo chiediamo per intercessione di Maria Madre della Misericordia a teche vivi e regni con il Padre e lo Spirito Santo per tutti i secoli dei secoli.

Amen

Indicazioni pratiche per vivere il giubileo della misericordia

Quali sono i segni del Giubileo?
Il pellegrinaggio, la porta santa e le indulgenze.

Cos’è il pellegrinaggio?
Come scrive Francesco nella bolla Misericordiae Vultus: «Il pellegrinaggio è un segno peculiare dell’Anno santo perché icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata». Il pellegrinaggio è dunque un percorso di pentimento e di preparazione al rinnovamento interiore che il fedele compie sui passi di Gesù. È anche un itinerario “materiale”: per ottenere l’indulgenza giubilare bisogna andare pellegrini in quelle chiese che sono state designate come luoghi di pellegrinaggio legati al Giubiloe e dotati di  “Porta Santa”.  Durante il tragitto – se si è in gruppo – leggere/cantare qualche salmo penitenziale (es. 6.31.37.41.50.102. ecc.). Si deve partecipare alla Messa o a una celebrazione liturgica (lodi, vespri…), o a un “esercizio di pietà” (come la Via Crucis o il Rosario).

Che significato ha la Porta Santa?
Gesù ha detto: «Io sono la porta» (Gv 10,7) per indicare che nessuno può avere accesso al Padre se non per mezzo suo. Gesù è l’unica via di accesso alla salvezza. Di conseguenza il passaggio attraverso la Porta santa evoca il passaggio che ogni cristiano è chiamato a compiere dal peccato alla grazia attraverso Cristo, che chiama tutti a partecipare ai frutti della redenzione del Signore e della sua misericordia. Papa Francesco ha ricordato che nella Misericordiae vultus che «Attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi».

Come ottengono l’indulgenza plenaria i malati, gli anziani o coloro che non possono uscire da casa?
A coloro che sono impossibilitati a recarsi alla Porta Santa, «sarà di grande aiuto vivere la malattia e la sofferenza come esperienza di vicinanza al Signore» e «vivere con fede e gioiosa speranza questo momento di prova, ricevendo la comunione o partecipando alla santa Messa e alla preghiera comunitaria, anche attraverso i vari mezzi di comunicazione, sarà per loro il modo di ottenere l’indulgenza giubilare».

Come ottengono l’indulgenza plenaria i carcerati?
I carcerati «nelle cappelle delle carceri potranno ottenere l’indulgenza, e ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre, possa questo gesto significare per loro il passaggio della Porta Santa, perché la misericordia di Dio, capace di trasformare i cuori, è anche in grado di trasformare le sbarre in esperienza di libertà».

E per i defunti?
Papa Francesco invita a riscoprire la ricchezza contenuta nelle opere di misericordia corporale e spirituale: «Ogni volta che un fedele vivrà una o più di queste opere in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare. Di qui l’impegno a vivere della misericordia per ottenere la grazia del perdono completo ed esaustivo per la forza dell’amore del Padre che nessuno esclude. Si tratterà pertanto di un’indulgenza giubilare piena, frutto dell’evento stesso che viene celebrato e vissuto con fede, speranza e carità».
Ai defunti, aggiunge il Papa, “siamo legati per la testimonianza di fede e carità che ci hanno lasciato. Come li ricordiamo nella celebrazione eucaristica, così possiamo, nel grande mistero della comunione dei Santi, pregare per loro, perché il volto misericordioso del Padre li liberi da ogni residuo di colpa e possa stringerli a sé nella beatitudine che non ha fine”.

Le opere del giubileo

Nel messaggio inviato da Francesco a mons. Rino Fisichella, nel quale offre alcuni suggerimenti per la celebrazione del Giubileo della Misericordia, il Papa ricorda che «ogni volta che un fedele vivrà» una delle opere di misericordia spirituale o corporale «in prima persona otterrà certamente l’indulgenza giubilare». Ecco l’elenco delle opere di misericordia.

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA SPIRITUALE
1 – Consigliare i dubbiosi
2 – Insegnare agli ignoranti
3 – Ammonire i peccatori
4 – Consolare gli afflitti
5 – Perdonare le offese
6 – Sopportare pazientemente le persone moleste
7 – Pregare Dio per i vivi e per i morti

LE SETTE OPERE DI MISERICORDIA CORPORALE
1 – Dar da mangiare agli affamati
2 – Dar da bere agli assetati
3 – Vestire gli ignudi
4 – Alloggiare i pellegrini
5 – Visitare gli infermi
6 – Visitare i carcerati
7 – Seppellire i morti