Riflessioni teologiche – 64. Bruno Latour: idee, metodi e pratiche per la teologia e per la chiesa

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

La proposta teorica, metodologica e pratica di Bruno Latour può suggerire piste promettenti alla ricerca teologica e alle pratiche delle comunità ecclesiali, nella direzione di un cristianesimo radicalmente ecumenico e di una chiesa realmente sinodale. A partire dalle molteplici indicazioni di percorso lasciateci da Latour, tra le quali la teoria dell’attore-rete (ANT), l’esplorazione può spingersi in diverse direzioni: la verità del cristianesimo e delle sue interpretazioni, i modi di intendere la tradizione ecclesiale e di praticare la trasmissione di quanto ricevuto, l’elaborazione da parte dei cristiani di teorie e pratiche innovative, capaci di dilatare – oltre i confini consueti – l’ampiezza delle visioni della realtà e la capacità di accoglienza e di comunione del cristianesimo e delle sue pratiche ecclesiali.


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riflessioni teologiche 64

Bruno Latour, nato nel 1947 e morto nel 2022, è stato un intellettuale e attivista poliedrico: antropologo, sociologo, ma soprattutto filosofo e in realtà anche teologo, in particolare agli inizi e nelle ultime fasi del suo percorso di ricerca. Possiamo ritenerlo teologo soprattutto se vogliamo intendere la teologia – seguendo la definizione di David Tracy – come il tentativo di stabilire correlazioni reciprocamente critiche tra una interpretazione della tradizione cristiana e una interpretazione della situazione contemporanea. Se infatti in questi ultimi anni il contributo di Latour si è concentrato sull’urgenza di affrontare in modo tempestivo e adeguato il tema dell’abitabilità del pianeta per tutti i viventi, incrociando su questo piano le riflessioni di papa Francesco nell’enciclica Laudato si’,  alle origini del percorso di ricerca di Latour troviamo, invece, la sua tesi di dottorato sull’esegesi di Rudolf Bultmann, dalla quale dichiara di aver tratto insegnamenti preziosi, che vale la pena richiamare con le stesse parole autobiografiche di Bruno Latour, perché rappresentano un punto decisivo della sua proposta teorica, metodologica e pratica, ma anche di quanto noi oggi possiamo ricavarne.

Afferma Bruno Latour: «Scoprii l’esegesi biblica, che ebbe l’effetto di costringermi a rinnovare la mia formazione cattolica e che, soprattutto, mi mise per la prima volta in contatto con ciò che finì per essere chiamato una rete di traduzioni – qualcosa che avrebbe avuto un’influenza decisiva sul mio pensiero. Si sarebbe potuto pensare che l’esegesi di Bultmann avrebbe avuto l’effetto corrosivo di un acido sul robusto insieme di certezze acquisite nella buona e cattolica borghese Borgogna. Ma per me il risultato fu esattamente l’opposto, benché Bultmann stesso avesse l’intenzione di raggiungere l’autenticità eliminando una dopo l’altra ogni aggiunta successiva che era stata selvaggiamente inventata da lunghe catene di locutori cristiani – e il risultato, come si sa, è che alla fine della Storia della tradizione sinottica […] si corre il rischio di rimanere con poco più che tre o quattro frasi “genuine” in aramaico sussurrate da un certo “Joshua di Nazaret”. La mia lettura era che, al contrario, le condizioni di verità del Vangelo risiedessero soltanto nella lunga catena di continue invenzioni. A condizione che quelle invenzioni fossero introdotte, per così dire, nella giusta chiave. Era in questa chiave, in questa maniera di discriminare tra due tipologie opposte di tradimento – tradimento per semplice ripetizione e assenza d’innovazione, e tradimento dovuto a troppe innovazioni, al punto da condurre alla perdita dell’intento iniziale – che scrissi la mia tesi di dottorato: l’oggetto era proprio lo spirito d’invenzione, o forse dovrei dire lo Spirito Santo! In un certo senso, avevo tolto il veleno da Bultmann e trasformato il suo acido critico nella miglior prova a disposizione per mostrare che si può ottenere la verità (la verità religiosa, in questo caso) tramite un immenso numero di mediazioni, a condizione che ciascun collegamento rinnovasse il messaggio “nella giusta maniera”. Il problema, chiaramente, era come definire questa “giusta maniera” in modo sufficientemente preciso». E qui Latour specifica ulteriormente: «Ho fatto questo attraverso una lettura attenta dello straordinario libro di Charles Péguy Clio, il cui argomento e forma riguardavano proprio la questione della buona e cattiva ripetizione, una domanda che è stata anche ripresa da Deleuze nel 1968 in Differenza e Ripetizione».

Prosegue Bruno Latour: «Ciò che Bultmann fece per me (voglio dire il Bultmann che mi ero costruito, messo sui suoi piedi cattolici, per così dire) era che, quando entrai nel laboratorio biologico in California, dove cominciavo il mio primo serio studio etnografico, ero attrezzato per notare la sua dimensione esegetica nell’immensa complessità della pratica scientifica. Da cui la mia fascinazione per gli aspetti letterari della scienza, per gli strumenti di visualizzazione, per il lavoro collettivo d’interpretazione concentrato attorno a tracce appena distinguibili, per ciò che chiamai iscrizioni. Anche qui, esattamente come nel lavoro dell’esegesi biblica, la verità poteva essere ottenuta non riducendo il numero dei passi intermedi, bensì aumentando il numero delle mediazioni. Purché, naturalmente, ogni passaggio fosse condotto utilizzando la giusta chiave. Qui di nuovo, per la seconda volta, ero impegnato nel cercare di definire il più esattamente possibile la giusta chiave in grado di fornire le condizioni di riuscita per una lunga catena di traduzioni. Era ovvio che la chiave per assicurare l’oggettività della scienza fosse completamente diversa dal modo per assicurare la fedeltà dello spirito religioso, ma questa differenza non significava che vi fosse diretta certezza in un caso e pura invenzione nell’altro. In altre parole, avrei potuto già distaccarmi dalla controversia tra ‘conoscenza’ e ‘fede’ e sostituire questi due termini (più confusivi che altro) con due serie di catene empiricamente comprensibili di traduzioni che si stavano diffondendo lungo due diversi sistemi. Immutabile mobilità o Immutabilità mobile [nell’originale: Immutable mobiles] è il nome che ho dato alle catene di riferimento che avevo […] esaminato […] in vari […] siti di produzione scientifica. Il nome era un po’ strano, ma nel corso degli anni ho capito che era un concetto molto utile perché ora avevo in mano un metodo comparativo per lo studio di vari tipi di produzione di verità non basato su nozioni usuali (il soprannaturale e il naturale per esempio), ma invece su due e solo due elementi: reti di traduzioni da un lato e, dall’altro, la chiave, la modalità o il regime in cui sono stati fatti per potersi diffondere. Questo mi ha aperto a una prospettiva molto diversa che ho caratterizzato con la parola irréduction [irriduzione]». Questa lunga citazione di un testo del 2010 si trova, quasi integralmente, nel numero che la Rivista di Teologia dell’Evangelizzazione ha dedicato a Bruno Latour nel 2022, pochi mesi prima della sua scomparsa. Nel loro insieme questi contributi di diversi studiosi offrono una prima panoramica delle possibili recezioni teologiche del pensiero di Latour e suggeriscono una molteplicità di temi e percorsi, invitando a ulteriori approfondimenti. Proprio a partire da qui, oltre che dai testi dello stesso Bruno Latour e di altri autori, vorrei cercare di cogliere e sviluppare il contributo che la proposta teorico-pratica di Bruno Latour e dei suoi approcci metodologici, potrebbe offrire alla elaborazione, intrapresa in queste riflessioni teologiche, di un cristianesimo radicalmente ecumenico, aperto cioè a teisti, post-teisti e non teisti, a con Dio e a senza Dio, senza dimenticare – come ci ricorda Bruno Latour – gli altri viventi di un pianeta che dobbiamo far rimanere e diventare abitabile per tutti.

Riferimenti:

Bibliografia e materiali diversi di e su Bruno Latour si possono trovare sul sito ufficiale dell’autore: bruno-latour.fr

Una serie di brevi video interviste del 2021 a Bruno Latour si trovano, sottotitolate in lingua italiana, cercando sul internet: arte.tv/it Bruno Latour

La definizione operativa di teologia di David Tracy come tentativo di stabilire delle correlazioni reciprocamente critiche tra una interpretazione della tradizione cristiana e una interpretazione della situazione contemporanea si trova riportata in  C.R. Bråkenhielm, La tradizione cristiana e la società contemporanea, «Concilium», XXX, 6 (1994), p. 45.

Il numero dedicato a Bruno Latour da Rivista di teologia dell’Evangelizzazione (RTE) Anno XXVI, n. 51/2022, gennaio-giugno 2022, contiene, da pag. 3 a pag. 116 i contributi dei seguenti autori: Fabrizio Mandreoli, Nicola Manghi, Vincenzo Rosito, Stefania De Vito, Michele Zanardi, Marco Pietro Giovannoni, Matteo Prodi, Federico Badiali, Giorgio Marcello.

La citazione di Bruno Latour riguardante la sua ricerca sull’esegesi di Rudof Bultmann si trova (quasi integralmente e tradotta in italiano) in Nicola Manghi, «Dall’angoscia al metodo. Politica e teoria nell’opera di Bruno Latour», in Rivista di teologia dell’Evangelizzazione, Anno XXVI, n. 51/2022, gennaio-giugno 2022, pp. 15-31, pp. 24-25.
L’articolo completo, in inglese, dal quale la citazione è tratta, si può trovare sul sito ufficiale di Bruno Latour: Bruno Latour, «Coming out as a Philosopher», in Social Studies of Sciences 40 (2010) 4, pp. 599-608.
Il testo citato è a pp. 600-601.