Letture festive – 137. Scandalo – Domenica delle Palme – Passione del Signore – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Domenica delle Palme – Passione del Signore – Anno B – 24 marzo 2024
Dal libro del profeta Isaìa – Is 50,4-7
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Filippési – Fil 2,6-11
Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Marco – Mc 14,1-15,47


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letture festive 137

Nella narrazione della passione che viene proclamata in questa Domenica delle Palme, si può individuare come filo rosso che attraversa questa parte finale del vangelo di Marco il tema dello scandalo, un tema che suscita in con Dio e in senza Dio una quantità di domande alle quali però è difficile trovare risposte soddisfacenti. L’etimologia riconduce il termine greco skàndalon alla dimensione molto concreta di un oggetto che diventa di inciampo o di ostacolo e che può rendere difficoltoso il camminare fino appunto a far inciampare e cadere. L’utilizzo prevalente della parola – nei testi biblici ma anche per noi oggi – trasferisce il significato dal piano fisico a quello simbolico e metaforico, etico e religioso. Tanto per con Dio quanto per senza Dio, lo scandalo diventa allora ciò che si produce quando una nostra aspettativa o concezione inadeguata della realtà viene messa in discussione e mandata in crisi precisamente dal nostro incontro/scontro – attraverso l’esperienza che ne facciamo – con questa stessa realtà che ci eravamo rappresentati e che ci aspettavamo in una determinata forma e modalità. Ma lo scandalo può diventare anche pietra d’inciampo che insegna a camminare con maggiore attenzione e consapevolezza o a fare memoria di qualcosa che non va dimenticato, come nel caso dell’iniziativa delle cosiddette pietre d’inciampo, poste a ricordo delle vittime del nazismo. Già nella prima lettura – tratta dalla descrizione che il profeta Isaia fa del servo sofferente – lo scandalo è presente, ma nella forma di una tentazione evitata, perché il servo si sperimenta come assistito da Dio e ciò gli impedisce di sentirsi svergognato e di restare confuso. Anche nel testo paolino dell’inno della lettera ai Filippesi, lo scandalo – che potrebbe essere rappresentato dal progressivo svuotamento di umiliazione che conduce Cristo Gesù fino alla morte di croce – ebbene questo scandalo viene quasi annullato dall’immediato successivo accostamento con l’esaltazione di Gesù, al cui nome ogni realtà viene invitata a sottomettersi. Dobbiamo arrivare al racconto della passione di Marco perché lo scandalo si manifesti nella multiforme pluralità e drammaticità delle sue possibili valenze umane e religiose, che interpellano e provocano con Dio e senza Dio. La narrazione marciana della passione, infatti, ci fa incontrare almeno una ventina di passaggi nei quali lo scandalo si presenta in forme e con valenze diverse e ogni volta particolari. Il primo scandalo – che il testo evangelico giudica moralistico e in fondo falso – è quello di coloro che si indignano per quello che ritengono uno spreco di profumo prezioso, quello che una donna utilizza per compiere un gesto profetico e di umana pietà nei confronti di un Gesù destinato alla morte. Il secondo scandalo è in realtà un mancato scandalo, quello dei capi dei sacerdoti, che non trovano scandaloso il corrompere, e quello di Giuda Iscariota, uno dei Dodici, che non trova scandaloso il farsi corrompere. Il terzo scandalo, il rattristarsi dei Dodici all’annuncio fatto da Gesù del tradimento, si rivelerà di lì a poco molto superficiale, nel momento in cui tutti abbandoneranno Gesù.

Il quarto scandalo è quello di affermazioni, previsioni e promesse a cui non seguono i fatti, uno scandalo ben rappresentato dalle parole di Pietro che prima dichiara: «Anche se tutti si scandalizzeranno, io no!» e che poi insiste affermando per primo, imitato in questo dagli altri del gruppo dei Dodici: «Anche se dovessi morire con te, io non ti rinnegherò». Il quinto scandalo, uno tra i più sorprendenti e – potremmo persino dire – scandalosi per i lettori dei vangelo – è che, diversamente dal servo sofferente descritto da Isaia, il Gesù di Marco è profondamente scandalizzato dal destino che lo attende e – pur dichiarandosi disponibile ad affrontarlo – prega affinché gli venga risparmiato. Il sesto scandalo è la misteriosa stanchezza fino al sonno dei tre scelti da Gesù nel gruppo dei Dodici, una stanchezza che somiglia molto a un meccanismo di difesa o di fuga per sottrarsi alla prossimità con un Gesù che Marco descrive come impaurito e angosciato. Il settimo scandalo è quello del sentirsi abbandonato di Gesù che scandalizzato deve riconoscere come, nel momento della prova decisiva, l’unico tra i Dodici che voglia essergli vicino sia colui che lo tradisce, addirittura pervertendo il bacio destinato a riconoscere l’autorevolezza del maestro in un gesto di falsa devozione e d’inganno. L’ottavo scandalo è quello vissuto dai Dodici che – abbandonando Gesù e fuggendo – mostrano di non riuscire a superare gli ostacoli che evidentemente impediscono loro di restargli vicini e di condividerne il destino. Nel racconto di Marco questo scandalo dei Dodici di fronte alla prospettiva della morte viene condiviso e in qualche modo rappresentato anche dalla misteriosa figura di un ragazzo (in greco neanìskos) che segue Gesù, rivestito solo di un lenzuolo (in greco sindone), lenzuolo-sindone che il ragazzo-neanìskos, fuggendo via nudo, lascia cadere quando provano ad afferrarlo. Del resto, poco più avanti nel racconto di Marco, un lenzuolo-sindone sarà utilizzato per deporre Gesù nel sepolcro, mentre – a suggerire il possibile superamento dello scandalo della morte – un ragazzo-neanìskos – non più nudo e in fuga ma seduto e vestito di bianco – dirà alle donne giunte al sepolcro che il crocefisso è risorto. Il nono scandalo consiste, per testimoni e accusatori di Gesù, nella difficoltà a trovare qualcosa che risulti abbastanza scandaloso da giustificarne la condanna; di qui una ricerca inutile che trova solo testimonianze contraddittorie persino nell’affermare il falso. Il decimo scandalo è quello che consente all’autorità religiosa di potersi strappare le vesti perché, nelle parole di Gesù, si è finalmente trovato – in modo pretestuoso – qualcosa che possa essere interpretato come una bestemmia. L’undicesimo scandalo è la triplice negazione da parte di Pietro di conoscere Gesù, un’affermazione reiterata e scandalosamente falsa grazie alla quale Pietro evita quello che per lui sarebbe lo scandalo di un coinvolgimento con Gesù, anche se al prezzo di uno dei comportamenti più scandalosi narrati nel vangelo. Anche il suo immediatamente successivo scoppiare in pianto, del resto, non lo riconduce alla sequela di Gesù né lo porta a osservare, seppur da lontano, la scena della crocefissione, come invece fanno le donne. Il dodicesimo scandalo è quello di un Pilato che, volendo dare soddisfazione alla folla, si sente ostacolato nell’esercitare quella giustizia imparziale che pure gli sarebbe richiesta, ma non riesce a superare questo ostacolo.

Il tredicesimo scandalo, riconducibile ai comportamenti di scherno da parte dei soldati, si collega al fatto che la condanna a morte, anticipando in qualche modo la morte del condannato, sembra autorizzare i soldati a trattare Gesù come un oggetto ormai privo di valore, fino a legittimare forme di trattamento scandalosamente crudeli e ingiustificate. Il quattordicesimo scandalo è la violenza che viene arbitrariamente esercitata sul passante che trova sulla propria strada l’ostacolo di una croce altrui che viene costretto a portare. Il quindicesimo scandalo è quello sperimentato da chi insulta, deride e invita Gesù a scendere dalla croce e a salvare sé stesso. È infatti quasi come se costoro si dichiarassero scandalizzati in un certo qual modo dall’inerzia di Gesù, dalla sua impotenza, dalla sua radicale distanza rispetto a tutto ciò che il divino dovrebbe significare in termini di forza, potenza e salvezza dalla morte. Ma quello più sorprendente fra tutti quelli narrati in Marco è forse il sedicesimo scandalo, quello sperimentato dal Gesù morente che, davanti alle parole che i religiosi scandalizzati rovesciano su di lui, sembra in qualche modo raccoglierle e assorbirle, quasi facendole proprie e sintetizzandole nelle parole, tratte da un salmo, che rivolge direttamente a Dio: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Il diciassettesimo scandalo si riferisce in realtà a uno scandalo superato in modo sorprendente e inatteso: il velo – che nel tempio di Gerusalemme costituiva un ostacolo alla visione e un impedimento all’accesso diretto nello spazio più vicino alla Santità del divino – ebbene questo velo viene lacerato e aperto, quasi ad abolire una separazione divenuta ormai scandalosa tra Dio e il suo popolo. Anche il diciottesimo scandalo si riferisce a uno scandalo superato, se possibile in modo ancor più sorprendente e inatteso: uno dei pochi personaggi del racconto marciano che sembrano superare lo scandalo, infatti, è un senza Dio, il centurione romano che riconosce l’appartenenza al divino di quell’uomo precisamente nel vederlo morire in quel modo. È sulla bocca del centurione spettatore della morte di Gesù che troviamo quella confessione di fede cristologica – «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» – alla quale Marco tendeva fin dal primo versetto del suo vangelo, dove introduceva la figura di Gesù Cristo figlio di Dio. Anche il diciannovesimo scandalo si riferisce a uno scandalo superato, questa volta da un Giuseppe di Arimatea, membro di quello stesso sinedrio che aveva voluto la condanna di Gesù, un Giuseppe che ora coraggiosamente va da Pilato a chiedere il corpo di Gesù. Il ventesimo scandalo, quello che sembra destinato a chiudere in modo definitivo questa narrazione di Marco piena di scandali, è la pietra stessa che viene fatta rotolare all’entrata del sepolcro dove il cadavere del crocefisso è stato deposto. Si tratta di una pesante pietra tombale messa sopra ogni velleità di superare lo scandalo della morte e in particolare lo scandalo di questa morte sulla croce, la morte di un Gesù scandalizzato dal Dio che lo ha abbandonato. Quanto poi alle differenze tra con Dio e senza Dio davanti all’esperienza dello scandalo, potremmo dire che la realtà oppone – tanto a con Dio quanto a senza Dio – ostacoli e inciampi che rendono difficile l’affrontare questa medesima realtà, quale ne sia il significato o l’origine (religiosa o meno) e tanto nel caso Dio esista quanto nel caso Dio non esista. Rimane il fatto, inatteso e significativo, che nel racconto di Marco una delle figure che riescono ad affrontare e superare lo scandalo, riconoscendo il vero significato della figura del crocefisso, è quella di un senza Dio: il centurione romano.