Letture festive – 74. Rimproveri – 7a domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

7a domenica del Tempo Ordinario Anno A – 19 febbraio 2023
Dal libro del Levìtico – Lv 19,1-2.17-18
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1 Cor 3,16-23
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 5,38-48


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letture festive 74

Questo passo del Levitico potrebbe essere letto come un profondo e solenne elogio del rimprovero: la capacità di rimproverare apertamente è infatti anzitutto una radicale alternativa tanto al covare odio verso il fratello quanto al vendicarsi e al serbare rancore; la capacità di rimproverare apertamente, inoltre, evita di trovarsi addossato – in quanto corresponsabili – il peccato del fratello; la capacità di rimproverare apertamente è infine uno dei modi per amare il prossimo come sé stessi. Questa triplice motivazione dell’elogio intercetta le dinamiche profonde che stanno alla base di ogni azione meritevole di rimprovero e mostra – tanto ai con Dio quando ai senza Dio – la via per provare a gestire queste dinamiche, facendo addirittura diventare la capacità di rimproverare adeguatamente un indicatore di santità, perché rende somiglianti a quello che viene presentato come un Dio santo persino nel suo rimproverare. Per apprendere l’arte del rimprovero possiamo quindi iniziare ad confrontarci criticamente con le parole bibliche attribuite a Dio, a Gesù e ai personaggi biblici che rimproverano; per riuscire a rimproverare in modo costruttivo dobbiamo vigilare sulla nostra interiorità e interrompere per tempo ogni fermentazione interiore di odio, che rischia di produrre frutti dannosi per tutti; solo rimproverando apertamente il fratello che sbaglia gli riconosciamo la responsabilità che è sua – e non nostra – e gli consentiamo di farsene carico; il rimprovero aperto, infine – con quella dose di aggressività controllata e non violenta che spesso lo caratterizza – consente di depotenziale la tentazione della vendetta e i colpi di coda del rancore. Per tutte queste ragioni in riferimento a colui che sa rimproverare si dovrebbe parlare di una vera e propria beatitudine.

Scrivendo ai Corinzi che intende rimproverare, Paolo esemplifica uno stile e una pratica di rimprovero che attraversa tre momenti e che può essere fatta propria sia dai con Dio che dai senza Dio: in primo luogo il ricordare la condizione alla quale si è chiamati e alla quale non si deve venire meno, se non si vuole doverne sopportare le conseguenze negative, cioè: comportarsi come persone abitate da uno Spirito di santità da custodire in un tempio – noi stessi – che non deve andare distrutto; in secondo luogo il sottoporre a critica atteggiamenti e comportamenti inadeguati, mostrandone l’inconsistenza e gli esiti fallimentari, cioè: se si vogliono costruire solidi progetti di vita, non si deve rincorrere una falsa sapienza che si rivela infine soltanto illusoria e controproducente; in terzo luogo l’invito a evitare comportamenti e atteggiamenti privi di fondamento e di prospettive, indicando però, nello stesso momento, una prospettiva, una visione, un punto di vista ulteriore e un percorso positivo e incoraggiante, cioè: gli esseri umani sui quali contiamo e ai quali ci affidiamo, in modo esclusivo o anche solo eccessivo, rimangono esseri limitati e fallibili: di questo dobbiamo essere consapevoli, imparando perciò a contare anche su noi stessi e sulle nostre reali capacità. Tutto quello che ci riguarda infatti è affidato anche alla nostra responsabilità e in questo senso è nostro e in qualche modo ci appartiene: persone e mondo, vita e morte, presente e futuro. Ma – detto questo – essendo anche noi stessi, come ogni essere umano, limitati e fallibili, avvertiamo l’importanza e in fondo la necessità di aprirci a qualcun altro che ci abbia a cuore, in modo simile a come potrebbero averci a cuore – secondo le parole bibliche – Dio stesso e Cristo Gesù.

L’evangelista Matteo, nel proseguire il cosiddetto discorso delle antitesi – che sarebbe meglio definire discorso sul compimento della legge – coglie tre aspetti decisivi per i quali le parole evangeliche risuonano come salutari rimproveri per tutti noi, a prescindere dal fatto che siamo dei con Dio o dei senza Dio. Il primo rimprovero riguarda la nostra tendenza a rispondere agli appelli che ci vengono rivolti limitando al minimo il nostro impegno e circoscrivendo nell’ambito più ristretto possibile quello che riteniamo essere il nostro dovere. Per questo, quando ci capita di subire violenza, l’appello a porre un limite alla nostra reazione violenta si risolve – metaforicamente – nell’accecare l’occhio di chi ha accecato il nostro occhio e nel rompere il dente a chi ha rotto il nostro dente. Analogamente, quando si tratta di circoscrivere l’insieme di coloro che sono degni del nostro amore, ci limitiamo a individuare quelli che riteniamo amici, mentre, al di fuori di questa cerchia, ci sentiamo legittimati a rivolgere il nostro odio verso coloro che riteniamo nemici o persecutori, malvagi o ingiusti. Il secondo rimprovero riguarda la nostra pigrizia nel cercare soluzioni creative ai problemi piccoli e grandi che la vita ci pone. Per questo evitiamo di prenderci il tempo necessario per provare a inventare strategie di reazione e di provocazione nonviolenta, come sarebbe il porgere l’altra guancia a chi ce ne ha già schiaffeggiata una, lasciare il mantello a chi vuole prenderci la tunica, accompagnare chi ci costringe a farlo per il doppio della strada richiesta, pregare per i nostri persecutori. Il terzo rimprovero riguarda il punto di vista troppo limitato, scontato e banale dal quale consideriamo la realtà e le persone. Noi infatti guardiamo gli amici per amarli e i nemici per odiarli, esattamente come fanno quelli che non conoscono un punto di vista più alto e profondo, come quello che ci aspetteremmo di trovare in Dio. Proprio questo diventa allora l’elemento di novità: la possibilità di assumere uno sguardo simile a quello che immaginiamo dovrebbe essere quello di Dio. Ciò comporta un superamento delle suddivisioni troppo nette che spesso crediamo di vedere tra cattivi e buoni, tra giusti e ingiusti, tra amici e nemici. Lo sguardo evangelico che siamo invitati a fare nostro diventa perciò quello che – anziché giudicare e condannare alcuni – intende salvare tutti, ma proprio tutti. Solo così i rimproveri di Gesù avranno prodotto il loro effetto: quello di aprire i nostri occhi sul rischio che la nostra esistenza rimanga entro orizzonti ristretti, vittima delle nostre pigrizie, ripiegata su di sé e in fondo meschina, mentre invece la parola del vangelo, se accolta, ci invita all’impegno e alla creatività, per ampliare il nostro sguardo e aprire la nostra vita a ciò che di buono, di bello e di vero essa, con tutti i suoi limiti, è chiamata ad essere.