Letture festive – 77. Sorgenti – 3a domenica di Quaresima – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

3a domenica di Quaresima Anno A – 12 marzo 2023
Dal libro dell’Èsodo – Es 17,3-7
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 5,1-2.5-8
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 4,5-42


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letture festive 77

Il tema delle sorgenti rappresenta nel testo di Esodo un invito a interrogarsi su ciò che vi è di originario e di primordiale nell’esperienza umana e religiosa dei con Dio e dei senza Dio e in che modo si possa attingere a ciò che in questa esperienza consente di togliere la sete. L’acqua, infatti, il desiderarla, il trovarla o il restarne privi, costituiscono da sempre simboli potentissimi e presenti in tutte le culture. La sete, di conseguenza, è tra quelle esperienze originarie e primordiali, che fanno cadere ogni apparenza e ogni rispetto reverenziale e persino religioso, per ricondurre ogni discorso a una questione di vita o di morte: perché ci hai fatti uscire dall’Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame? E la risposta di Dio al bisogno originario e primordiale di una sorgente d’acqua per non morire di sete ricalca modelli culturali altrettanto originari, primordiali e simbolicamente universali: quelli della magia. Il bastone che Mosè è invitato a utilizzare per colpire la roccia e farne scaturire acqua ricorda infatti la bacchetta di un mago potente, che riesce a compiere la magia, facendo apparire una sorgente che riesce a placare la sete del popolo. Ma si tratta di una magia e di una sorgente magica che lasciano insoddisfatto, perlomeno, l’autore biblico, il quale collega l’episodio alla protesta e alla messa alla prova del Signore e quindi a una sostanziale mancanza di fede e di fiducia da parte del popolo. La domanda finale del popolo – il Signore è in mezzo a noi sì o no? – domanda che collega la presenza del Signore a un manifestarsi prodigioso e a sorgenti magiche in grado di placare la sete, rivela in effetti di quale tipo di fede si tratti qui: il riconoscimento – interessato ai possibili benefici – di forze che intervengono magicamente sulla realtà, piegandola con potenza a soddisfare i bisogni originari, tanto dei con Dio quanto dei senza Dio.

L’apostolo Paolo invita i cristiani di Roma a riconoscere le sorgenti che alimentano la loro esperienza cristiana e lo fa indicando l’esperienza della grazia, cioè di un amore ricevuto gratuitamente in dono e non conquistato per merito. Anche se l’immagine della sorgente e del flusso d’acqua che ne scaturisce non vengono esplicitate da Paolo, possiamo forse coglierle nel modo in cui si parla di grazia e di amore, quando si dice della possibilità di accedere a qualcosa – la grazia – e di qualcosa che viene riversato – l’amore. Troviamo qui una concentrazione di parole fondamentali: fede, giustificazione, Gesù Cristo, pace, grazia, speranza, amore, Spirito Santo. Si tratta di indicatori di quel nucleo – che potremmo definire sorgivo – dell’esperienza cristiana e di questo nucleo fa parte il tipo di amore che per Paolo trova dimostrazione nella morte di Cristo. L’opposizione tra una morte osata per una persona buona e la morte di Cristo per noi, quando ancora eravamo in una condizione di debolezza e di peccato, stabilisce la misura – smisurata, inattesa e non dovuta – dell’amore che è stato riversato nei nostri cuori. Qui, nell’amore smisurato, si trova per Paolo quella sorgente gratuita e sempre zampillante, dalla quale scaturisce l’esperienza cristiana e alla quale la medesima esperienza cristiana – dei con Dio e dei senza Dio – deve sempre ritornare, per attingere alle proprie inesauribili sorgenti.

Al centro del racconto che Giovanni fa dell’incontro tra il giudeo Gesù e la donna di Samaria al pozzo di Giacobbe sta precisamente la domanda su quale sia la sorgente dalla quale possono ricevere vita tanto i con Dio quanto i senza Dio. Il contesto storico-religioso che fa da sfondo al racconto è quello nel quale, reciprocamente, tanto i Giudei quanto i Samaritani considerano sé stessi come i con Dio e ritengono invece gli altri, in qualche modo, dei senza Dio. Il dialogo inizia con la domanda di un Gesù che – apparentemente impossibilitato a raggiungere la sorgente – chiede da bere e riceve in risposta dalla donna una contro-domanda, che pone il problema del conflitto e della separazione tra con Dio e senza Dio. La replica di Gesù invita la donna ad aprirsi alla dinamica del dono, riconoscendo tra con Dio e senza Dio una comunanza e una reciprocità, perché tutti hanno sete di vita e tutti possono chiedere un’acqua che corrisponda a questa sete. La donna esprime le sue perplessità ma inizia a riconoscere nel grande padre Giacobbe una origine che accomuna con Dio e senza Dio. Giunti a questo punto, le parole di Gesù imprimono una svolta alla conversazione e costringono la donna a un salto di qualità decisivo. Entrambi i problemi, infatti, quello della sete e quello della disputa tra con Dio e senza Dio, vengono riformulati in modo alternativo, per poter essere diversamente affrontati. Vi è un’acqua capace di farci uscire dalla ripetizione alla quale ci costringe il ripresentarsi di esigenze che chiedono risposta, anzi la sorgente capace di far scaturire quest’acqua potrà trovare posto in ciascuno di coloro che accolgono questo dono. La donna chiede a Gesù di ricevere questo dono, ma Gesù – che non è un mago capace di creare sorgenti prodigiose con una bacchetta magica – rinvia la donna alle condizioni richieste perché il dono possa essere accolto: ritornare in modo consapevolmente critico alle sorgenti del proprio vissuto personale e religioso. La successione di mariti e la domanda sulla pluralità dei luoghi di culto rivelano nella donna di Samaria incertezze ma anche apertura e disponibilità. Sul problema del luogo del culto autentico, Gesù offre una duplice indicazione: la prima e più immediata consiste nel seguire ciò che – in coscienza, potremmo aggiungere – ciascuno, con Dio o senza Dio, ritiene di conoscere come vero; e qui Gesù parla da ortodosso giudeo che chiaramente ritiene sé stesso un con Dio che conosce la verità; ma la seconda – e più profonda – indicazione offerta dal medesimo Gesù sposta il problema del luogo del culto autentico in una dimensione completamente diversa: non vi è in prospettiva altro luogo di culto autentico che non siano lo Spirito e la Verità, cioè quella sorgente di acqua viva e zampillante per una vita in pienezza che ciascuno può accogliere in sé come un dono. A questo punto la donna di Samaria è pronta a riconoscere in Gesù non più l’ortodosso giudeo da guardare con sospetto, come fosse un senza Dio, ma l’autorevole Messia atteso perché in grado di annunciare ogni cosa. Dalla sorgente che ormai la donna di Samaria ha accolto in sé inizia a scaturire acqua viva e zampillante, attraverso la sua testimonianza agli altri senza Dio Samaritani, i quali, incontrando Gesù e accogliendo il dono, diventano a loro volta una sorgente di acqua viva e zampillante. Paradossalmente, mentre i discepoli di Gesù, benché siano dei con Dio a tutti gli effetti, riescono solo a meravigliarsi scandalizzati nel vedere Gesù parlare con una donna e a fraintendere il discorso dello stesso Gesù riguardo al cibo spirituale e all’opportunità di raccogliere ciò che altri hanno seminato, questi senza Dio Samaritani accolgono il dono e arrivano quindi a riconoscere il luogo del culto autentico in Spirito e Verità in quella sorgente di acqua viva e zampillante che loro stessi sono ormai diventati.