Imposizione delle mani

Germogli

germogli” è una collanina, nata quasi per caso, dopo una riunione nella quale mi era stato chiesto di proporre una breve meditazione;

germogli” è una cosa piccolissima, debole, un timido inizio, niente di ambizioso;

germogli” ha la pretesa di mettere in comune qualche passo nel cammino di fede guardando alla Scrittura e sapendo che «né chi pianta è qualcosa, né lo è chi irriga, ma è Dio che fa crescere» (1Cor 3,7).

Alberto Bigarelli

di Alberto bigarelli

«Quando il 20 aprile 1986 sono stato ordinato sacerdote da mons. Alessandro Maggiolini, un passaggio del rituale è stato l’unzione delle palme delle mani col sacro crisma. Le parole esplicative sono state: «Il Signore Gesù Cristo che il Padre ha consacrato in Spirito Santo e potenza, ti custodisca per la santificazione del suo popolo e per l’offerta del sacrificio». La portata di questo gesto penso di averla capita a distanza di molto tempo, dopo tante imposizioni nella celebrazione dei sacramenti e nelle benedizioni individuali.

Come estimatore e lettore assiduo della Sacra Scrittura, ho ritrovato questo gesto in molti testi sia dell’Antico come del Nuovo Testamento. Non sono tutti dello stesso valore, però tanti sono molto eloquenti. Te ne presento alcuni.

Per partire vediamo una pericope della lettera agli Ebrei: «Perciò, lasciando da parte il discorso iniziale su Cristo, passiamo a ciò che è completo, senza gettare di nuovo le fondamenta: la rinuncia alle opere morte e alla fede in Dio, la dottrina dei battesimi, l’imposizione delle mani, la risurrezione dei morti e il giudizio eterno» (6,1s.). Dunque l’imposizione delle mani fa parte delle cose elementari da conoscere, fa parte dell’insegnamento fondamentale della fede. Il gesto è molto antico. Lo compie il patriarca Isacco su Giacobbe quando gli offre quel pasto così gradito dopo il quale lo benedice assicurandogli una grande prosperità (Gen 27,27). Lo compie il popolo di Israele quando incarica la tribù di Levi del culto. Il Signore dice a Mosè: «Farai avvicinare i leviti dinanzi alla tenda del convegno e convocherai tutta la comunità degli Israeliti. Farai avvicinare i leviti davanti al Signore e gli Israeliti porranno le mani sui leviti; Aronne presenterà i leviti con il rito di elevazione davanti al Signore da parte degli Israeliti, ed essi svolgeranno il servizio del Signore. Poi i leviti porranno le mani sulla testa dei giovenchi, e tu ne offrirai uno in sacrificio per il peccato e l’altro in olocausto al Signore, per compiere il rito espiatorio per i leviti» (Nm 8.10ss.). Solo due osservazioni: il popolo incarica i leviti di rappresentarlo imponendo loro le mani; a loro volta lo fanno i leviti sui giovenchi riservandoli per il sacrificio con il quale li immette nel servizio culturale.

Un altro brano interessante è quello in cui si racconta come Mosè prepari la sua successione. Dice al Signore: «”Il Signore, il Dio della vita di ogni essere vivente, metta a capo di questa comunità un uomo che li preceda nell’uscire e nel tornare, li faccia uscire e li faccia tornare, perché la comunità del Signore non sia un gregge senza pastore”. Il Signore disse a Mosè: “Prenditi Giosuè, figlio di Nun, uomo in cui è lo spirito; porrai la mano su di lui, lo farai comparire davanti al sacerdote Eleàzaro a davanti a tutta la comunità, gli darai i tuoi ordini sotto i loro occhi e porrai su di lui una parte della tua autorità, perché tutta la comunità degli Israeliti gli obbedisca”. …Mosè fece come il Signore gli aveva ordinato; prese Giosuè e lo fece comparire davanti al sacerdote Eleàzaro e, davanti a tutta la comunità, pose su di lui le mani e gli diede i suoi ordini, come il Signore aveva detto per mezzo di Mosè.» (Nm 27,16-23). Questa imposizione delle mani fatta pubblicamente in un momento di culto alla presenza del sacerdote Eleàzaro, obbedendo alla volontà di Dio, convalida la scelta e la successione di Giosuè quale pastore di Israele. Questo gesto è ricordato anche dal Deutoronomio dove, dopo la morte di Mosè, leggiamo: «Giosuè, figlio di Nun, era pieno dello spirito di saggezza, perché Mosè aveva imposto le mani su di lui. Gli israeliti gli obbedirono e fecero quello che il Signore aveva comandato a Mosè (34,9). Autorità e sapienza sono state comunicate a Giosuè attraverso l’imposizione delle mani di Mosè.

L’imposizione delle mani classica, probabilmente era praticata già al tempo di Gesù anche nel mondo dei maestri di Israele. era uno specifico tipo di ordinazione (semikhah) che, secondo la dottrina tradizionale ebraica, immetteva in una linea d’autorità che risaliva fino a Mosè ed ai settanta anziani suoi collaboratori nel tempo dell’esodo (cf Es 18,13-26).

Si può dire che quando il Signore impone le mani compie un gesto conosciuto e piuttosto tradizionale. Se coi bambini, pur benedicendoli, lo fa in modo affettuoso (cf. Mc 10,15; Mt 19,13; ecc.) in altre circostanze imponendo le mani dona la guarigione. Alcuni esempi. Gesù si reca a Nazareth e trova opposizione dei suoi ex-compaesani: «Ma Gesù disse loro: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. E lì non poteva compiere nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi malati e li guarì» (Mc 6,4-5). Ancora: «Giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi gli impose le mani e gli chiese: “Vedi qualcosa?”. Quello, alzando gli occhi, diceva: “Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano”. Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa» (Mc 8,22-25). Un’ultima testimonianza: dopo la predicazione a Cafarnao, trascorso il sabato «al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva» (Lc 4,40).

Questo gesto passa anche ai discepoli e anche loro lo compiono con uguale efficacia. Il passaggio lo si può riconoscere in Mc 16 , 17-20 «”Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” … Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano». Fra i segni non si deve escludere l’imposizione delle mani in vista della guarigione. Gli Atti degli Apostoli associano l’imposizione delle mani al dono dello Spirito; leggiamo in 8 , 14-17: «Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo;  non era ancora infatti disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo». Qualcuno vede in questo testo la nascita del sacramento della Confermazione. Mi limito a sottolineare il contesto di preghiera e l’effusione dello Spirito che arricchisce di nuovi doni la rinascita battesimale precedentemente avvenuta. La stessa cosa, secondo gli Atti, avviene a Efeso in un altro contesto: «Mentre Apollo era a Corinto, Paolo, attraversate le regioni dell’altopiano, scese a Efeso. Qui trovò alcuni discepoli e disse loro: “Avete ricevuto lo spirito santo quando siete venuti alla fede?”. Gli risposero: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che esista uno Spirito Santo”. Ed egli disse: “Quale battesimo avete ricevuto?”. “Il battesimo di Giovanni “, risposero. Disse allora Paolo:” Giovanni battezzò con un battesimo di conversione, dicendo al popolo di credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè in Gesù”. Udito questo, si fecero battezzare nel nome del Signore Gesù e,, non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare»(19 , 5-6). L’imposizione delle mani avviene dopo il battesimo e viene arricchito dai doni carismatici dalla grossolalia e dalla profezia. Non solo Pietro e Giovanni, ma anche Paolo impone le mani.

Un’altra caratteristica della imposizione delle mani è quella della immissione in un incarico a favore della comunità ecclesiale. Una prima testimonianza si trova negli Atti, nell’episodio della scelta dei primi sette diaconi: «In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero:  “Non è giusto che noi lasciamo da parte la parola di Dio per servire alle mense. Dunque, fratelli, cercate tra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola “. Piacque questa proposta a tutto il gruppo e scelsero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcolo, Timone, Parmenàs e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono agli apostoli e, dopo aver pregato, imposero loro le mani» (6,1 – 6). Chi solleva il problema dell’assistenza quotidiana alle vedove sono i Dodici. La loro sensibilità pastorale li spinge a cercare una soluzione che assicuri a loro da una parte, la libertà della predicazione e, dall’altra alle vedove in difficoltà, l’assistenza necessaria. Notate come tutta la comunità dei discepoli sia coinvolta nel segnalare fratelli stimati all’altezza dell’incarico; su di essi i Dodici con l’imposizione delle mani ufficializzano la loro scelta.

Anche l’uscita dalla cecità subita da Paolo mentre era in viaggio, ancora come fariseo, per contrastare la vivacità della chiesa di Antiochia, avviene con l’imposizione delle mani di Anania. Vediamo questa pagina: «Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla. Così, guidandolo per mano, lo condussero a Damasco. Per tre giorni rimase cieco e non prese né cibo né bevanda. C’era a Damasco un discepolo di nome Anania. Il signore in una visione gli disse: “Anania!”. Rispose: “Eccomi, Signore! “. Il Signore a lui: “Ssu, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista “. Rispose Anania: “Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome”. Ma il Signore gli disse: “ Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome”. Allora Anania andò, entrò nella casa, gli impose la mani e disse: “Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo”. E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono» (At  9,8 – 19). Il recupero della vista e il dono dello Spirito sono legati insieme.

Una cosa analoga alla designazione dei primi diaconi si può osservare quando Paolo e Barnaba sono inviati in missione. Lo leggiamo in Atti 13,1 – 3: «C’erano nella Chiesa di Antiochia profeti e maestri: Bàrnaba, Simeone detto Niger, Lucio di Cirene, Manaèn, compagno d’infanzia di Erode il tetrarca  e Saulo. Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: “Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l’opera alla quale gli ho chiamati”. Allora, dopo aver digiunato e pregato, infusero loro le mani e li congedarono». Così, dopo la rivelazione dello Spirito Santo, in un clima di preghiera, con la piena approvazione della comunità di Antiochia e come suoi inviati ufficialmente disegnati, Paolo e Bàrnaba iniziano il primo viaggio missionario che li vedrà attraversare i territori dell’Asia Minore. Faccio notare che il loro incarico non è un’autodesignazione, non c’è traccia di protagonismo, tutt’altro. Tutto è espressione della comunione ecclesiale di quella comunità. Nell’ultimo viaggio missionario è interessante ricordare le guarigioni operate dall’apostolo a Malta dove la nave era naufragata a causa del maltempo. Gli Atti raccontano che «Là vicino vi erano i possedimenti appartenenti al governatore dell’isola, di nome Publio; questi ci accolse e ci ospitò con benevolenza per tre giorni. Avvenne che il padre di Publio giacesse a letto, colpito da febbri e da  dissenteria; Paolo andò a visitarlo e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì. Dopo questo fatto, anche gli altri abitanti dell’isola che avevano malattie accorrevano e venivano guariti» (28,7-10). L’imposizione delle mani non è un gesto magico, ma avviene dopo aver pregato e aver invocato l’intervento del Signore.

Nella sua prima lettera pastorale Paolo esorta Il Discepolo Timoteo a non farsi impressionare da chi gli fa osservazioni per la sua inesperienza episcopale a Efeso: «Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma siì di esempio ai fedeli nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza. In attesa del mio arrivo, dèdicati alla lettura, all’esortazione e all’insegnamento. non trascurare il dono che è in te e che ti è stato conferito, mediante una parola profetica, con l’imposizione delle mani da parte dei presbiteri (1 Team 4,12-14). Intorno alla metà del I sec. la chiesa post-apostolica è in espansione e ha bisogno di guide sicure: Timoteo ne ha tutte le caratteristiche. Paolo lo invita ad avere una condotta irreprensibile, a dedicarsi al ministero facendo fruttare il dono dell’episcopato, tanto più che gli è stato conferito dai presbiteri con l’imposizione delle loro mani dopo una rivelazione profetica. Essendo un incarico al governo pastorale, l’apostolo lo esorta ad essere prudente nel desinare altri presbiteri/vescovi prima di aver fatto discernimento sulla loro idoneità «per non farti complice dei peccati altrui» (1 Tim 5,22).

L’imposizione delle mani è un gesto particolarmente significativo anche se altrettanto sfaccettato, ma si può comunque dire che, per grazia del Signore, è segno/veicolo/sigillo di doni spirituali. Nella mia piccola esperienza sacerdotale ed esorcistica, nelle benedizioni individuali, nelle celebrazioni delle Messe di guarigione fisica e interiore, ne constato l’efficacia. Ne ho parlato perché desidererei che i miei confratelli nel presbiterato fossero meno prevenuti, meno restii.  Le vostre mani sono state consacrate «per la santificazione del popolo e per l’offerta del sacrificio», abbiamo letto nel rituale dell’ordinazione presbiterale.

«Per l’offerta del sacrificio» ci siamo, ma «per la santificazione del popolo» si potrebbe fare qualche passo in più a conforto dei fedeli, per testimoniare che il Signore è presente vivo nella sua chiesa e opera ancora – lo si può constatare – nella sua misericordia per portare Ristoro, consolazione e gioia.