Riflessioni teologiche – 83. Albert Schweitzer e il “mito di Cristo” secondo Arthur Drews

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Il filosofo tedesco Arthur Drews, nella Storia della ricerca sulla vita di Gesù di Albert Schweitzer, viene presentato come il terzo e ultimo grande sostenitore, attraverso una interpretazione mitica, della non-esistenza storica di Gesù. Con alcune variazioni nel corso del tempo – ad esempio sulla storicità delle lettere paoline – e con una concezione che è essenzialmente un compromesso tra interpretazione mitica e interpretazione simbolica, più che una sintesi vera e propria, Drews sostiene che la vita di Gesù, quale è presentata dai sinottici, esprime in forma storica le idee metafisiche, le speranze religiose e le esperienze intime ed esteriori della comunità fondata su Gesù come dio cultuale. Drews, mentre ricorre alla spiegazione di un mito astrale che vede nella costellazione di Orione un collegamento tra il Gesù crocefisso e le altre divinità mitiche impiccate, riconduce le personalità al seguito del Gesù evangelico agli dèi e semidei più diversi, come nel caso di Pietro e Proteo. La genesi della storicizzazione della figura di Gesù viene collocata da Drews nel periodo successivo alla distruzione di Gerusalemme, come una sorta di risposta alle pressanti domande sorte riguardo al messia atteso.


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Tra i sostenitori dell’interpretazione mitica, il terzo principale studioso presentato nella Storia della ricerca sulla vita di Gesù è il filosofo tedesco Arthur Drews, il quale «attinse da Smith la fede nella non-storicità di Gesù», in un modo che Albert Schweitzer descrive così: «[Quando] risuonò la predicazione di Smith sul Gesù precristiano, […questa] diede un impulso nuovo e talmente notevole ai dubbi nutriti segretamente da Drews nei confronti del Gesù storico, che questi si convertì subito dal falso al vero uomo-dio. Illuminato dalla nuova conoscenza, Drews indagò diligentemente tutti gli scritti rivelatori di tratti mitici e simbolici del preteso Gesù storico, giungendo [a pubblicare nel 1909 la prima parte del volume Il mito di Cristo, nel quale] afferma che “la vita di Gesù, quale è presentata dai sinottici, esprime in forma storica le idee metafisiche, le speranze religiose e le esperienze intime ed esteriori della comunità fondata su Gesù come dio cultuale. I suoi detti, i suoi discorsi e le sue parabole rispecchiano solo le concezioni etico-religiose fondamentali, i rispettivi stati d’animo, […] l’odio e l’amore dei membri della comunità, e le diversità e contraddizioni dei vangeli si spiegano come gradi successivi dell’evoluzione del pensiero messianico in comunità e in tempi diversi”. Drews riprende da Smith il Gesù precristiano con tutte le ipotesi storiche ed etimologiche corrispondenti». Un esempio dell’approccio di Drews è offerto da Schweitzer in relazione all’interpretazione mitica della figura di Pietro, quando afferma: «Drews utilizza ampiamente le scoperte di Robertson e degli altri mitologi ed è convinto che le personalità al seguito del Gesù evangelico debbano la loro vita agli dèi e semidei più diversi, di cui Pietro costituisce una delle possibili incarnazioni [… Drews, differenziandosi in questo da Robertson,] fa notare […] che l’apostolo presenta somiglianze con il greco Proteo, una delle quali è già deducibile dall’affinità stessa del nome. L’occupazione secondaria di Proteo consisteva nel custodire le chiavi degli inferi; nella sua attività principale era un vecchio genio del mare, “il quale, per incarico di Poseidone, pascolava il suo gregge, gli animali marini. Era uno spirito gentile, ma pure astuto e mutevole. Le sue persistenti metamorfosi spinsero anche Omero a fare di lui un essere inafferrabile”. Se poi si considera che in Virgilio [Eneide 11, 262] Proteo assume in Oriente il ruolo proprio di Atlante in Occidente, sì che è possibile parlare delle “colonne di Proteo”, s’illumina chiaramente il passo della lettera ai Galati (2,9) nel quale Pietro, con Giacomo e Giovanni, è definito una delle “colonne” della Comunità di Gerusalemme. “Nei vangeli il carattere di Pietro, oscillante tra presunzione e scoraggiamento, tra certezza della fede e pusillanimità fino al rinnegamento del maestro, si dimostra altrettanto mutevole come quello di Proteo; Pietro, del resto, come pescatore è in rapporto con l’acqua e compie il miracolo di camminare sulle onde come un dio marino”».

La concezione mitica di Drews viene presentata da Albert Schweitzer nelle sue evoluzioni: «Nella seconda parte [del Mito di Cristo, infatti,] pubblicata nel 1911 […] Drews supera i suoi maestri […] e imbocca la strada della spiegazione astrologica sulla quale lo invitano [altri autori e ad esempio sostiene] «che tutti gli dèi del mito impiccati (Attis, Marsia, Osiride, Odino, ecc..) abbiano il loro modello astrale nella costellazione di Orione». [Con il “mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato” del salmo 22 citato da Marco nella scena della crocefissione, secondo Drews viene] «“raggiunto un punto sicuro, da cui si evince la natura originariamente mitica e astrale della restante storia di Gesù, e appare offerta la prova evidente dell’esistenza di un culto del ‘crocifisso’ anteriore a Gesù e dell’indole meramente astrale del nucleo della figura di Gesù”». Prosegue Schweitzer: «Tuttavia la conoscenza astrale non liquida le spiegazioni mitiche precedenti, perché esse risalgono alle rappresentazioni che hanno raffigurato quell’evento celeste sul piano religioso e cultuale nelle forme più diverse. Per quanto attiene alla storia della passione Drews ricorre alla fede generale nel salvatore divino, che muore e risorge, come accade nei culti di Tammuz, di Mitra, di Attis, di Melkarth e di Adone. […] Da quanto […gli storici della religione] hanno detto e scritto sulla fede precristiana gnostico-orientale in un salvatore divino che muore e risorge e sui legami che sussistono tra il battesimo e la cena e i culti naturali e le religioni misteriche, Drews si sente autorizzato a concludere, non del tutto a torto, che la teoria dell’origine del cristianesimo senza ricorso a un Gesù storico sia fondamentalmente in linea con le loro idee [con le idee, cioè, degli storici delle religioni]». Una delle critiche di Schweitzer riguarda il fatto che «La concezione di Drews è essenzialmente un compromesso tra interpretazione mitica e interpretazione simbolica e non una sintesi vera e propria». Evidenziando poi quella che gli appare come un’incoerenza Schweitzer sottolinea che nella seconda parte del Mito di Cristo, pubblicata nel 1911, Drews «dichiarò subito che la sua teoria poteva benissimo prescindere dall’idea di un Gesù precristiano, poiché per un verso Paolo può venir compreso anche senza quella congettura, d’altra parte “la natura mitica del salvatore cristiano” potrebbe venir sufficientemente dimostrata “dal carattere degli stessi vangeli senza bisogno di nessun altra fonte”. […] Un altro cambiamento nella posizione di Drews è testimoniato secondo Schweitzer «Nella seconda parte del Mito di Cristo [quella del 1911…nella quale] sotto l’influenza […dei cosiddetti] Olandesi radicali mette in dubbio la storicità delle lettere canoniche di Paolo. [… Qui Drews] dimentica che nella prima edizione del Mito di Cristo aveva fatto dell’apostolo autore delle lettere il fondatore del culto di Gesù dell’era cristiana e non si rende conto che l’abbandono di queste tesi implica una serie di gravi conseguenze». Prosegue Schweitzer: in un testo dedicato alla «“trasformazione del Gesù mitico in quello storico” si vede quanto pesanti siano stati gli effetti di quella perdita. Paolo è completamente fuori gioco e al suo posto s’incontrano… la distruzione di Gerusalemme e la mitologia astrale».

Albert Schweitzer sintetizza la ricostruzione delle origini cristiane alla quale Drews infine giunge, citando le sue stesse parole: «“La leggenda cultuale”, scrive Drews, “narrava di un Emmanuele o Gesù che, secondo Isaia, doveva sacrificarsi per i peccati del suo popolo per poi ritornare di nuovo nella figura dell’atteso messia, per portare ai suoi il regno tanto desiderato. Quando, dopo la distruzione di Gerusalemme, dopo il crollo di tutte le speranze politiche dei Giudei e sotto il peso delle sofferenze popolari per l’oppressione romana, la domanda sulla venuta del messia divenne attuale, fiorirono spontaneamente sulle labbra di tutti gli interrogativi: quando ha veramente sofferto il servo di Dio? Dove è morto? Qual era il suo aspetto? Che cosa ha fatto prima di essere messo a morte dai suoi nemici? E chi erano questi nemici? E altrettanto spontaneamente la risposta a tali domande veniva dalle allusioni contenute in parte nei profeti, in parte nelle speculazioni mitico-astrali, che portarono così a storicizzare l’immagine di Gesù e a staccarla dal puro mito originario”. Per i suddetti motivi la sua morte non poteva essere avvenuta troppo tempo prima della distruzione di Gerusalemme. Il futuro messia doveva essere nato ai tempi di Augusto, celebrato dai pagani come il desiderato salvatore del mondo. La mitologia astrale offriva il nome di Pilato, che con la sua lancia (pilum) avrebbe dovuto trafiggere il dio del sole appeso all’albero del mondo, la via lattea. […]. Secondo le parole dei profeti il servo di Dio avrebbe dovuto essere un salvatore dalle malattie spirituali e corporali, un avvocato dei poveri e degli oppressi. Miracoli straordinari avrebbero dovuto tradire il suo futuro significato messianico e ciò nonostante i suoi non l’avrebbero compreso ed egli avrebbe subito gli attacchi dei suoi nemici. E costoro, chi potevano essere se non quei farisei e quegli scribi la cui opposizione alle sette giudaiche era apparsa sempre più chiara dalla distruzione di Gerusalemme?… “In quel tempo messaggeri della nuova fede giravano di città in città, stimolati da esperienze visionarie, nelle quali credevano di aver visto il corpo del ‘Signore’ risorto, e annunciavano in tutte le regioni ‘la buona novella’ della prossima venuta del messia e della vicinanza del regno dei cieli. Nei mercati e nelle vie risuonò l’invito alla conversione e anche la fede nel signore Gesù Cristo”». Con Arthur Drews si chiude sostanzialmente la panoramica che Albert Schweitzer dedica ai propri contemporanei negatori del Gesù storico, ma questa ricognizione ha condotto lo stesso Schweitzer, che pure non condivide le posizioni di questi studiosi, ad alcune importanti riflessioni critiche sul tema della storicità di Gesù che, come vedremo, mantengono ancora oggi, a più di un secolo di distanza, un loro valore.

Riferimenti:

Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia Editrice, Brescia 1986 (1° ediz. tedesca del 1906, 2° ediz. ampliata 1913)
I testi citati sono tratti dal capitolo 22

Arthur Drews, The Christ Mith, T.F. Unwin, Londra 1910 (Traduzione della terza edizione tedesca rivista e ampliata nel 1910, mentre la prima edizione tedesca è del 1909).
Arthur Drews, The Witnesses to the Historicity of Jesus, The Open court publishing company, Chicago 1913. (Traduzione abbreviata e modificata della seconda parte del Mito di Cristo, pubblicata in tedesco nel 1911).

I due volumi di Drews possono essere consultati integralmente online sul sito: archiv.org