Letture festive – 146. Partecipi – Santissima Trinità – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Santissima Trinità – Anno B – 26 maggio 2024
Dal libro del Deuteronòmio – Dt 4,32-34.39-40
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 8,14-17
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 28,16-20


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letture festive 146

Con questo discorso al popolo, contenuto nel libro del Deuteronomio, Mosè invita i suoi interlocutori a essere partecipi in modo attivo – attraverso l’osservanza delle leggi e dei comandi – del rapporto del tutto particolare che Dio stesso ha stabilito con il popolo che si è scelto, rivelandosi e intervenendo per liberarlo dalla schiavitù dell’Egitto. Si tratta, anche per noi odierni con Dio o senza Dio, di una sorta di concentrato di diverse questioni rilevanti che riguardano tanto le rappresentazioni di Dio (o di ciò che i senza Dio possono intendere per esso) quanto l’essere partecipi di ciò che queste rappresentazioni implicano. La specificità particolare di una rivelazione ricevuta e di una scelta compiuta, da parte dell’unico vero e universale Dio, nei confronti di un unico piccolo popolo sembrano porre in questione la destinazione universale del messaggio biblico. In questo caso dobbiamo probabilmente affermare che il riconoscimento della radicale parzialità di ciascun punto di vista, a partire dal proprio, è paradossalmente l’unico modo per garantire tanto la specificità unica della partecipazione di ciascuno quanto l’universalità di un messaggio destinato davvero a tutti, con Dio o senza Dio. Se poi ci domandiamo in che modo il messaggio biblico possa risultare decisivo per i suoi ascoltatori, l’immagine di una voce proveniente da un fuoco potenzialmente distruttivo, ma ascoltando la quale si può, pur  avvicinandosi, rimanere vivi, esprime bene, per con Dio e per senza Dio, la serietà di una partecipazione rischiosa e di un coinvolgimento diretto e personale, al quale non ci si può sottrarre, se si vogliono accogliere in profondità parole significative e nutrienti per la propria esistenza. Anche la necessità di attribuire un qualche significato a interventi divini (per i con Dio) o a interventi umani (per i senza Dio), interventi in qualche caso violenti nei confronti di qualcuno per liberare qualcun altro, ebbene questa necessità di attribuire un qualche significato richiede forme attive di partecipazione attraverso l’esercizio di una interpretazione critica. Consideriamo infine la partecipazione attiva che consiste nell’osservanza di leggi e comandi, intesi come strada verso la felicità propria e dei propri discendenti in una terra che viene promessa per sempre: da questo punto di vista, sulla pagina di Deuteronomio si stende – per noi lettori odierni con Dio o senza Dio – l’ombra lunga di una storia bimillennaria che ha mostrato a più riprese i forti limiti di questa promessa divina, tanto riguardo allo spazio che ne è l’oggetto, cioè la terra promessa, quanto riguardo al tempo che ne dovrebbe esprimere la durata, cioè il per sempre. A rendere peraltro più complesso, drammatico e ambiguo tutto ciò vi sono le tragiche dimensioni che il conflitto israelo-palestinese ha recentemente raggiunto, con l’uccisione di decine di migliaia di civili, in gran parte bambini e donne.

Attraverso le parole della lettera ai Romani, Paolo intende sottolineare quanto profondamente i suoi lettori siano stati resi partecipi della famiglia di Dio come figli adottivi e di come questa partecipazione li sottragga alla paura propria degli schiavi. Si tratta, anche per noi lettori odierni, con Dio o senza Dio, di una partecipazione dal carattere fortemente dinamico in quanto animata dallo Spirito. Tutti quelli che, infatti, sono guidati dallo Spirito sono resi figli adottivi di Dio e coeredi di Cristo, partecipando e cioè prendendo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Se i con Dio possono vedere tutto ciò come esperienza di partecipazione alla vita trinitaria di Dio stesso, i senza Dio hanno ovviamente necessità di una interpretazione diversa, che però può includere anche aspetti che riguardano i con Dio. A partire da questo testo paolino si potrebbe, infatti, connotare l’esperienza trinitaria dei credenti senza Dio in una triplice direzione; primo; il fare esperienza concreta e insieme spirituale di liberazione da tutte le forme di paura che caratterizzano il sentirsi in qualche modo schiavi; secondo: il ritenere sé stessi come compartecipi di una condizione credente ed ecclesiale di figliolanza che ci lega a madri e padri, ad ascendenze culturali e religiose, a fonti ispiratrici e a comunità educanti e testimonianti, che non siamo stati noi a creare o produrre e grazie alle quali siamo diventati – almeno in parte, nel bene e nel male – ciò che ora siamo; terzo: l’assumersi la responsabilità di partecipare attivamente alla trasmissione coraggiosa e innovativa di un’eredità credente ed ecclesiale ricca di luci ma anche di ombre, facendosi carico delle inevitabili sofferenze affinché il messaggio evangelico possa risuonare e risplendere nella sua gloriosa e affascinante bellezza, non solo per noi ma anche per tutti coloro, con Dio o senza Dio, ai quali è destinato nel presente e nel futuro.

Nella breve narrazione che conclude il suo vangelo, presentando i discepoli di Gesù che vengono resi partecipi della sua missione, Matteo sottolinea una serie di elementi, che possono risultare significativi anche per noi discepoli odierni con Dio o senza Dio, chiamati a diventare partecipi della testimonianza evangelica. Ai discepoli, chiamati fin dagli inizi alla sequela di Gesù, viene dato appuntamento dal Gesù risorto proprio in Galilea, quasi invitandoli a riprendere dall’inizio il cammino del discepolato con una consapevolezza e una partecipazione modificate dall’esperienza maturata nel frattempo, nel bene e nel male, come ricorda l’accenno al fatto che i dodici, nel frattempo, siano rimasti in undici. Le esperienze di partecipazione al discepolato e alla testimonianza comunitaria anche oggi, per con Dio e per senza Dio, consistono nel ripercorrere con sempre nuova consapevolezza un cammino iniziato in determinate forme, ma poi necessariamente trasformato nel corso del tempo e chiamato a interrogarsi ad ogni passaggio su motivazioni e modalità di partecipazione adeguate al momento. Le difficoltà che i discepoli di ieri e di oggi, con Dio o senza Dio, possono incontrare in questo interrogarsi vengono rappresentate dall’evangelista con l’ambivalenza del loro comportamento e atteggiamento, là dove si afferma che gli undici quando videro il risorto si prostrarono e però – nello stesso tempo – dubitarono. Ogni ripresa dell’esperienza del discepolato a un livello diverso dai precedenti richiede infatti ai discepoli, con Dio o senza Dio, fatiche e salti di qualità nell’accogliere e nel testimoniare il messaggio evangelico. Ma solo in questo modo la dinamica del discepolato cristiano può essere sperimentata con autenticità da nuovi discepoli, attraverso una moltiplicazione resa possibile da quella sorta di potere attrattivo del messaggio evangelico che Gesù in qualche modo consegna ai suoi, mentre dichiara di essere con loro tutti i giorni fino alla fine del mondo. Ciò che l’evangelista prefigura, infatti, consiste in un diffondersi senza limiti presso ogni popolo – e quindi anche presso di noi odierni con Dio o senza Dio – della medesima esperienza di discepolato sperimentata dagli undici. Questa esperienza di autentico discepolato, che sarà quella di tutte le generazioni cristiane successive, si potrà riconoscere da tre caratteristiche; la prima: l’accoglienza dell’insegnamento del messaggio evangelico di Gesù tanto da parte di con Dio quanto da parte di senza Dio; la seconda caratteristica: l’essere immersi – come ricorda il significato in greco della parola battezzare – in una vita che i con Dio possono definire divina e trinitaria e i senza Dio qualitativamente nuova, trasformata e trasformante; la terza caratteristica: lo sperimentare accanto a sé, nella comunità credente e nell’esistenza vissuta in questo mondo, la presenza di Gesù, riconoscibile da parte di con Dio e da parte di senza Dio in una molteplicità diversificata di forme e di figure.