Letture festive – 174. Onnipotente – 34a domenica del Tempo ordinario – Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno B
Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio
di Alberto Ganzerli
34a domenica del Tempo ordinario – Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo – Anno B – 24 novembre 2024
Dal libro del profeta Daniele – Dn 7,13-14
Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo – Ap 1,5-8
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 18,33b-37
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letture festive 174
Nel brano tratto dalla visione del profeta Daniele viene rappresentato come onnipotente non il vegliardo, descritto nei versetti precedenti con capelli e barba bianca, seduto su un trono di fuoco, ma la misteriosa figura di colui che è simile a un figlio d’uomo e che viene presentato al vegliardo stesso. Questo simile a un figlio d’uomo viene reso quasi onnipotente da ciò che gli viene dato – potere, gloria e regno – e per questo tutti i popoli, nazioni e lingue si mettono al suo servizio. La sua onnipotenza si caratterizza come un potere eterno, che non finirà mai, per cui il suo regno non sarà mai distrutto. Il fatto che l’onnipotenza – una delle principali caratteristiche proprie di Dio nelle concezioni teistiche – venga attribuita a una figura presentata come uno simile a un figlio d’uomo può sembrare a noi lettori, con Dio o senza Dio, un paradosso e suscitare diverse domande: In che termini si può parlare di onnipotente quando ci si riferisce a un essere umano e non a un Dio? L’onnipotenza è qualcosa che – nel caso di un essere umano – qualcun altro deve attribuirgli? L’onnipotenza indica forse qualcosa che non finisce mai di esercitare una qualche forma di potere? O anche comporta che altri si mettano al proprio servizio? Con Dio e senza Dio tenderanno probabilmente a dare risposte diverse a queste domande. I credenti cristiani con Dio leggeranno in questa pagina veterotestamentaria una prefigurazione del Cristo, che è allo stesso tempo uomo e Dio, oltre che Figlio di Dio Padre e le risposte saranno coerenti con questa interpretazione. I credenti cristiani senza Dio, invece, dovranno cercare risposte diverse, che potrebbero andare nella direzione di interpretare l’onnipotenza come la molteplicità delle forme del potere, molteplicità potenzialmente quasi infinita ma in realtà piuttosto limitata nelle specifiche e concrete circostanze. E queste potenzialità virtualmente infinite ma concretamente limitate delle forme nelle quali il potere si manifesta e si esercita riguardano tanto i singoli umani quanto i loro raggruppamenti, tanto le istituzioni quanto tutte le diverse forze e realtà che esercitano una qualche influenza, più o meno determinante e decisiva, sul nostro mondo e sul nostro tempo.
In questo passo del libro dell’Apocalisse si definisce Onnipotente il Signore Dio, ma non Gesù Cristo, al quale però vengono attribuiti diversi aspetti di sovranità e potenza che lo avvicinano a ciò che con Dio e senza Dio si aspetterebbero dall’intervento di qualcuno che sia onnipotente, per lo meno nel senso che affronti e risolva i principali problemi che affliggono questo nostro mondo. Della figura di Gesù Cristo, infatti, vengono date anzitutto tre definizioni: la prima è quella di un testimone fedele e cioè di qualcuno che in modo affidabile può testimoniare qualcosa di vero; la seconda definizione è quella di primogenito dei morti e cioè di qualcuno che per primo è riuscito a trasformare l’esperienza della morte in una esperienza di nuova nascita; la terza definizione è quella di sovrano dei re della terra e cioè di qualcuno che è in qualche modo capace di relativizzare il potere che i potenti normalmente esercitano. Vengono poi elencate tre attività attribuite alla figura di Gesù Cristo: l’amare noi, l’averci liberato dai peccati, l’aver fatto di noi un regno. Anche qui potremmo riconoscere tre bisogni fondamentali che tutti, con Dio o senza Dio, cerchiamo di soddisfare in un modo o nell’altro: l’essere amati, l’essere liberati da quanto ci condiziona e ci pesa, interiormente o a motivo dei nostri comportamenti, l’appartenere a forme di comunità nelle quali poterci riconoscere e con le quali poter realizzare quanto da soli sarebbe impossibile. Vi è tuttavia anche un’ultima parte del testo che mostra quanto sia paradossale l’onnipotenza di questa figura di Gesù Cristo che sembra promettere risposte potenti a tutte le domande decisive dell’esistenza. Si parla infatti della visione di qualcuno che è stato trafitto e per il quale tutte le tribù della terra si battono il petto in segno di pentimento. Il potere viene qui mostrato nella sua debolezza, impotenza e vulnerabilità, quasi a suggerire che la figura di Gesù Cristo – nella particolarissima e vulnerabile onnipotenza che la caratterizza – possa preservare con Dio e senza Dio dai possibili deliri di onnipotenza che alcuni potenti di questo mondo sembrano coltivare.
La domanda su che cosa comporti, per con Dio o per senza Dio, l’essere onnipotente – o meglio il ritenere di essere tale – è una possibile chiave di lettura del dialogo messo in scena dall’evangelista Giovanni tra Pilato e Gesù. Questo dialogo, come molti in Giovanni, viene abilmente costruito dall’autore evangelico giocando sugli equivoci e sull’incomprensione tra i dialoganti, i quali attribuiscono alle parole utilizzate significati diversi. Qui l’incomprensione ruota intorno alla regalità che viene attribuita a Gesù e al potere – se non addirittura all’onnipotenza – che questa condizione dovrebbe comportare. Pilato, nel chiedere al suo interlocutore se sia lui il re dei Giudei, parla da una posizione che gli consente di esercitare un potere di tipo politico-amministrativo-giudiziario. Pilato sembra desideroso di capire quale eventuale potere di tipo analogo sia quello che Gesù può rivendicare ed esercitare. A questa domanda il Gesù di Giovanni risponde con un’altra domanda, suggerendo che le informazioni o le dicerie che lo riguardano provengano da altri e possano dare adito a equivoci. Pilato ribadisce il suo essere interessato a chiarire quali siano i rapporti tra i poteri in gioco: il proprio potere, quello di Gesù e quello di chi glielo ha consegnato. Troviamo qui un primo modo di intendere l’onnipotenza: quello secondo cui il potere – in modo pervasivo e nelle sue diverse forme – riguarda ultimamente ogni ambito e ogni relazione così che precisamente il potere è in fondo l’unica cosa che davvero conta nelle realtà umane e sociali. Riguardo a questo potere che tanto interessa Pilato, Gesù invece ribadisce la propria estraneità e lo fa richiamando l’assenza di violenza con cui chi era vicino ha reagito alla sua cattura, come risulta nella narrazione giovannea, diversamente da quanto leggiamo nei sinottici. Ciò dovrebbe far capire che il regno di Gesù non è di questo mondo, non è di quaggiù e allora Pilato insiste per capire in che cosa consista l’essere re di Gesù, dal momento che non comporta l’esercizio del potere tramite la violenza. Il Gesù di Giovanni arriva così al punto decisivo della narrazione sottraendosi radicalmente al modo di concepire l’onnipotenza come esercizio di un potere pervasivo e – ove necessario – violento. E questo scarto narrativo viene compiuto dall’evangelista per orientare la concezione di onnipotenza di noi lettori in un’altra direzione e verso un ambito completamente diverso: quello della testimonianza alla verità. L’essere re che il Gesù di Giovanni attribuisce a sé stesso, la missione regale per la quale dichiara di essere venuto nel mondo consiste nel dare testimonianza alla verità. Questa testimonianza risuona attraverso una voce che – dice Giovanni – viene ascoltata da chiunque è dalla verità e cioè – potremmo dire oggi noi con Dio o senza Dio – da chi sinceramente ricerca la verità e rimane aperto a ciò che in coscienza potrà riconoscere come vero. A noi lettori di questa pagina evangelica viene proposta così una sorta di radicale trasformazione di quel modo di intendere l’onnipotenza che consiste nell’esercizio pervasivo di un potere anche violento. Quando questa transizione trova compimento, a risultare in qualche modo onnipotente è l’esercizio diffuso di una parola disarmata che nella sua destinazione universale dà testimonianza a tutto ciò che in diversi modi può essere riconosciuto come vero o come qualcosa che avvicina alla verità. Con Dio e senza Dio potranno certamente avere opinioni e convinzioni diverse rispetto a ciò che è vero e persino riguardo al modo di intendere Dio. Ma per tutti vale l’invito ad aprirsi alla testimonianza che proviene dalle parole evangeliche e per tutti vale l’invito a ricercare e riconoscere ciò che ciascuno in coscienza, come con Dio o come senza Dio, è in condizione di incontrare come verità.