Le nozze a Cana di Galilea (Gv 2,1-11) Chi è lo sposo delle nozze di Cana?

Continuiamo a presentare la serie di riflessioni che il gesuita belga padre Jean Louis Ska – ben noto a chi frequenta le conferenze del C.I.B. – ha scritte sul Vangelo secondo Giovanni. Tutte le meditazioni in origine sono state pubblicate su Rinascere, rivista del Movimento Rinascita Cristiana, che ringraziamo per la gentile concessione.

  di Jean Louis Ska

Le nozze a Cana di Galilea (Gv 2,1-11) Chi è lo sposo delle nozze di Cana?

2,1Il terzo giorno vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. 2Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
3Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». 4E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». 5Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». 6Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. 7E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. 8Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. 9Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo 10e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». 11Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. 12Dopo questo fatto scese a Cafàrnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni.

  1. Il «terzo giorno»

(Vedere Giovanni 1,19; 1,29; 1,35; 1,39; 1,43; 2,1).

Siamo alla fine di una settimana intera che inizia con la predizione di Giovanni Battista e continua con l’appello dei discepoli. Vi sono altre due settimane nel vangelo di Giovanni, una che precede la passione e risurrezione, iniziando con l’unzione di Betania e finendo un sabato con la sepoltura di Gesù (Gv 12,1; 13,1; 19,31; 20,1.19.26). In 20,1 inizia una seconda settimana, quella della risurrezione, con alcune apparizioni, settimana che si conclude con l’apparizione a Tommaso, «otto giorni dopo» (20,26). Il riferimento alla prima settimana della creazione (cf. Gn 1,1 e Gv 1,1) è innegabile. Nel quarto vangelo la vita di Gesù Cristo inizia una nuova fase della creazione; o, meglio, è l’inizio di una nuova creazione.

In 2,1 il «terzo giorno» è probabilmente un riferimento al giorno della risurrezione. Si vedano Mt 16,21; 17,23; 20,19; Lc 9,22; 13,32; 18,33; 24,7.46; 1Cor 15,4. Tuttavia il vangelo di Giovanni usa l’espressione soltanto qui. In ogni modo, vi sono diversi accenni alla passione/risurrezione in questo brano, ad esempio nella menzione dell’«ora» nel v. 4, che è l’ora della passione di Gesù o della sua glorificazione (si veda Gv 13,1, ad esempio).

Inoltre la madre di Gesù è presente solo in due scene nel vangelo di Giovanni: nelle nozze di Cana e ai piedi della croce (Gv 2,1-5; 19,25-27). In entrambi i casi il quarto vangelo la chiama «la madre di Gesù» e non “Maria” e Gesù si rivolge a lei chiamandola «donna» (2,4; 19,26). Vi sono diverse spiegazioni di questo fatto. In ogni caso, sembra che il quarto vangelo voglia andare oltre la semplice maternità di Maria e suggerire una maternità più ampia. Maria è chiamata «donna» come Eva, la prima “donna” del genere umano (Gn 2,23). Secondo questa interpretazione Maria avrà un ruolo speciale nella nuova creazione e nell’umanità salvata da Gesù Cristo.

Infine, se il «terzo giorno» accenna con ogni probabilità al giorno della risurrezione, allora le nozze di Cana annunziano, in qualche modo, l’«ora» della passione e risurrezione (v. 4) e la «gloria» che sarà quella di Gesù Cristo in quel momento (v. 11).

  1. «Donna, che vuoi da me?» (2,4)

Letteralmente si deve tradurre questa espressione tipicamente semitica con: «Che cosa c’è a me e a te?», «Che cosa c’è fra me e te?»; o ancora: «Che cosa abbiamo da fare insieme?». Si vedano gli usi di tale espressione in Gdc 11,12; 2Sam 16,10; 19,23; 1Re 17,18; 2Re 3,13; 2Cr 35,21; Mc 5,7; Lc 8,28.

In realtà può avere più di un significato, andando dalla semplice sorpresa sino ad un rifiuto di stabilire un vero rapporto. Nel contesto delle nozze di Cana un elemento essenziale delle usanze del tempo permette di capire la reazione di Gesù. Nel mondo biblico, così come ancora oggi nel mondo mussulmano e non solo, donne e uomini non si siedono mai insieme in occasioni pubbliche. In altre parole, durante le nozze donne e uomini erano in due sale separate. Anche la sposa e lo sposo erano separati. Solo così, per altro, si capisce la vicenda di Giacobbe ingannato da suo suocero Labano in Gn 29,23.25.

Anche all’inizio del libro di Ester vi sono due banchetti, uno organizzato dal re con tutti i suoi officiali e uno organizzato dalla regina con tutte le donne della reggia. I banchetti sono separati e, quando il re Assuero chiede alla regina Vasti di presentarsi, ella rifiuta e, secondo molti interpreti, doveva rifiutare, perché era contro tutte le usanze del tempo (Est 1,10-12). Era contro il costume e significava soltanto indecenza e sconcezza.

Perciò Gesù dice a sua madre: «Ma che cosa vieni a fare qua, nella sala dove sto con tutti gli uomini?». Tutto ciò per dire due cose essenziali. Primo: Maria aveva visto che il vino veniva a mancare; aveva un occhio su ciò che succedeva in cucina, quindi. Secondo: la situazione doveva essere grave e Maria doveva avere motivi molto seri per infrangere le regole del buon comportamento.

  1. Gli invitati

Il racconto delle nozze di Cana inizia in un modo sorprendente, sebbene siamo forse troppo abituati a sentirlo. Vi sono nozze e le prime persone menzionate sono… gli invitati! In genere un resoconto di questo tipo inizia con la menzione degli sposi, non quella degli invitati; e non sapremo mai come si chiamavano gli sposi di Cana. Abbiamo buoni motivi di pensare che vi sia una ragione particolare in questa scelta. In secondo luogo la prima persona menzionata non è Gesù di Nazaret, bensì sua madre. Anche in questo caso la cosa può sorprendere, innanzi tutto sapendo quale fosse la situazione della donna nella società tradizionale di Israele. E anche in questo caso possiamo pensare che la cosa sia intenzionale. Torneremo su questo punto.

Quanti invitati c’erano? Non possiamo saperlo, certo, però dovevano essere abbastanza numerosi. In effetti la madre di Gesù è stata invitata, forse perché era una parente dello sposo o della sposa. È venuta con suo figlio e suo figlio è venuto con tutti i suoi amici. Se ciascuno degli invitati ha potuto agire nello stesso modo, possiamo immaginare quanta gente si è ritrovata in Cana per le famose nozze!

Sappiamo inoltre che le nozze duravano in genere sette giorni. È il caso, ad esempio, in Gn 29,27-28 (nozze di Giacobbe con Lea) e in Gdc 14,15.17 (nozze di Sansone con una donna filistea). Abbiamo quindi elementi sufficienti per capire perché il vino è potuto venire a mancare.

  1. Le sei giare di acqua

Il testo dice che «vi erano sei giare che contenevano ciascuna due o tre misure». Ora, una «misura» andava dai quaranta ai quarantacinque litri. Pertanto ciascuna delle giare conteneva tra ottanta e centoventi litri, forse tra novanta e centotrentacinque litri. Se si moltiplica x 6, si ha la quantità totale: da un minimo di quattrocentottanta e un massimo di ottocentodieci litri. Non dimentichiamo, però, che Gesù chiede prima ai servi di riempire le giare di acqua.

Quanto tempo ci avranno messo? Occorreva andare ad attingere l’acqua ad un pozzo o a un fontanile, poi trasportarla e travasarla nelle giare. Una persona trasporta in genere una decina di litri. Tutto ciò sapendo che manca il vino, non l’acqua.

Ultimo dettaglio: le giare erano sei. Ora, il numero perfetto è sette, non sei. Il particolare deve avere la sua importanza, altrimenti non sarebbe stato menzionato. Le giare sono previste per le purificazioni (rituali) dei giudei. È vero che i giudei erano molto puliti e si lavavano spesso le mani, ad esempio prima dei pasti. Il testo di Gv 2,6 suggerisce – penso – che abbiamo qui un’economia imperfetta: quella delle purificazioni dei giudei e della loro religione. Essa aspetta un complemento: le giare sono sei e non sette; vi è bisogno di vino e non di acqua.

  1. Il vino e lo sposo

Si possono leggere, ad esempio, Amos 9,13-15; Gioele 4,18; Isaia 25,6; cf. Isaia 62,8-9 (paragonare con Amos 5,11). Per quale tempo era annunziato un’abbondanza di vino? In genere si parla dell’abbondanza di vino per la fine dei tempi o per i tempi messianici. È abbastanza chiaro, quindi, che il vino di Cana ha a che fare con l’inizio dell’era messianica. Sarà confermato dal v. 11. La questione, come vedremo, è di sapere chi si è accorto del fatto.

Il maggiordomo, in genere l’amico dello sposo (cf. Gv 3,29), era spesso incaricato di badare al buon funzionamento delle nozze. Esprime la sua sorpresa quando gli fanno gustare il vino e riferisce il fatto allo sposo (2,9-10). Impariamo una cosa importante, vale a dire che lo sposo era – come di solito, infatti – la persona incaricata di fornire il vino delle nozze. Noi lettori sappiamo – con la madre di Gesù e i servitori – che il vino è venuto a mancare; sappiamo anche chi ha fornito il vino: non è certamente lo sposo! Tutto si chiarisce a questo punto: chi ha fornito il vino, l’eccellente vino di Cana? E chi è il “vero” sposo in questo racconto? È senza dubbio chi ha procurato il vino, e l’ha procurato in abbondanza.

Il vero sposo, tuttavia, rimane nascosto e incognito. Capiamo meglio – penso – perché gli invitati siano menzionati e gli sposi invece no. Chi, però, ha scoperto l’identità dello sposo? Vale la pena, penso, rileggere i vv. 9-10: «Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora»». I servitori sapevano, lo sposo e il maggiordomo invece no. I servitori sanno perché hanno sudato abbastanza per attingere e trasportare l’acqua. E l’hanno fatto senza recriminare, poiché le anfore erano «piene fino all’orlo» (v. 7). Possiamo trarre una conseguenza da quest’osservazione: chi rimane seduto nella sala di nozze non si accorge di niente. Chi sta vicino alle cucine o alla cantina e si preoccupa del buono svolgimento della festa, come Maria, o chi contribuisce a salvare la festa, come i servitori, ne ricava un grande vantaggio: quello di “sapere” chi è il vero sposo che dà il vino dell’età messianica. Il “sapere” è condizionato dalla partecipazione attiva al successo delle nozze.

  1. Chi potrebbe essere la sposa?

È una domanda difficile. È noto che, in tutti i racconti del Nuovo Testamento che parlano di nozze, in particolare le parabole evangeliche, la sposa non è menzionata (cf., ad esempio, Mt 22,1-14 e Lc 14,16-24; Mt 25,1-12; cf. anche Mt 9,14-17, Mc 2,18-22 e Lc 5,33-39; o ancora Gv 3,29). Una eccezione – però siamo in un altro tipo di letteratura – sarebbe Apocalisse 21,2, dove la Nuova Gerusalemme è paragonata ad una giovane sposa. Sarà un altro tratto del maschilismo ben conosciuto degli scrittori biblici.

Esiste però una possibilità di interpretazione interessante. Nell’Antico Testamento lo sposo è il Dio di Israele e la sposa è il popolo (cf. Ger 2,2-3; 11,15; Ez 16,1-63; Os 2,16-17) oppure la città di Gerusalemme (Is 54,1-8; 62,1-5). Se torniamo al racconto di Gv 2,1-12, possiamo intravvedere un elemento di risposta negli ultimi versetti dove si dice: «Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui. Dopo questo fatto scese a Cafarnao, insieme a sua madre, ai suoi fratelli e ai suoi discepoli. Là rimasero pochi giorni» (2,11-12). Un gruppo di discepoli «crede» – così come i servitori dei vv. 7-9 «sanno» – e sta per formare il popolo della nuova alleanza. Il racconto, purtroppo, non fornisce altri elementi. La sposa, in questo caso, sarebbe il gruppo di discepoli che accompagna Gesù di Nazaret a Cafarnao e che impersona il futuro popolo di Dio. La parola di Giovanni Battista in Gv 3,29 («Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena») va probabilmente nella stessa direzione: lo sposo è Gesù di Nazaret e la sposa sarebbero i discepoli che seguono Gesù. In questo passo la discussione verte, in effetti, sul successo di Gesù di Nazaret: «Tutto lo seguono» (Gv 3,26).