Con Dio o senza Dio ?

Oggigiorno, interrogarsi sul cosa voglia dire essere credente, non è certo cosa da poco. Questa occasione mi si è presentata qualche anno fa durante le ferie estive con la famiglia al Parco Nazionale del Circeo. Mi è stato chiesto di argomentare il mio essere credente, domanda che implica una certa riflessione e che non consente di dare risposte affrettate e superficiali, soprattutto se si vuole creare un dialogo serio. Mi sono però ben presto accorto che l’unico interesse del mio interlocutore era quello di portarmi sulla sua linea di pensiero. Naturalmente il dialogo è terminato senza che nessuna delle due parti ricevesse qualcosa in cambio. Quanto successo, però, nell’arco degli anni mi ha fatto pensare e, inevitabilmente, mi ha posto delle domande:

  1. Vale la pena creare un dibattito o un confronto tra le ragioni di chi crede e chi non crede?

Ritengo che questo confronto sia possibile (anche se alcune prospettive rimarranno  molto probabilmente inconciliabili) anzi, doveroso. Lo stesso Paolo VI diceva: “Noi dedichiamo uno sforzo pastorale di riflessione per cercare di cogliere negli atei nell’intimo del loro pensiero i motivi del loro dubbio e della loro negazione a Dio”. Anche il Cardinale Martini quando avviò la “Cattedra dei non credenti” scriveva che per dialogare “occorre avere simpatia per l’altro, avvicinarlo con fiducia. Un dialogo sulle cose importanti della vita è oggi necessario per la sopravvivenza e lo sviluppo delle culture, soprattutto in Europa”. Ancora Martini faceva sua la frase di Norberto Bobbio “La differenza rilevante per me non passa tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti; ovvero tra coloro che riflettono sui vari perché e gli indifferenti che non riflettono”.

La sfida che ci si presenta davanti è di far comprendere che la fede di ogni cristiano è quella di colui che in ogni istante si interroga sulla sua non fede, come dice il padre che, nel vangelo di Marco, porta il figlio epilettico e indemoniato  a Gesù affinché lo guarisca: “Credo; aiuta la mia incredulità!” (Mc 9,24). In altre parole: sostienimi nel superare ogni giorno la mia incredulità. Ogni giorno nel mio cammino di fede devo capire di non essere arrivato, che da questo momento sono a posto con tutto e tutti. La fede del cristiano non sta sulla terra, dice S. Agostino, la fede del cristiano è appesa alla croce, dunque deve esserci sempre una parte di dubbio in noi, è necessario interrogarci continuamente, capire che dobbiamo sempre essere in ricerca.

  1. E’ praticabile un dialogo convinto, rispettoso, capace di essere anche fecondo?

Tutti noi credenti o non credenti siamo alla ricerca della verità e non possiamo dare nulla per scontato. Gli atei non credono in Dio, non si sentono coinvolti da questa presenza perché non la sentono reale, ma sono consapevoli, invece,  che le religioni che professano Dio fanno parte della storia umana. Ogni credente porta in se la minaccia del non credere e ogni non credente porta in se il germe della fede. Il punto d’incontro è la disponibilità a riflettere sulle domande che tutti ci accomunano. Dobbiamo riuscire a creare un dialogo che richieda una disposizione attiva della differenza dell’altro, cioè avvicinarsi alla sua differenza attraverso l’incontro personale. Questo rapporto serio, sincero, ci unisce e ci fa dire che, sia per i non credenti, sia per i credenti, esiste una via spirituale; spirituale non intesa nello stretto senso religioso, ma come vita interiore, ricca di fedeltà e impegno, rivolta al servizio verso gli altri, all’attenzione alla creazione, al bello, ai rapporti umani. Una spiritualità che fa capire anche agli atei che, se Dio non esiste, non per questo ci si può permettere tutto. Esiste in ognuno di noi una coscienza che ci impone, vista la nostra capacità di comprendere il bene e il male, di combattere la violenza per seguire la pace, l’ingiustizia per la giustizia, che ci permette di riconoscere principi e voleri, diritti e doveri, di essere attenti al nostro mondo, fedeli all’uomo vivendo e agendo umanamente, credendo all’amore e alla fratellanza comune. Penso che sia arrivato il momento di dialogare con il mondo della modernità, un mondo nel quale c’è anche la possibilità di non essere credenti. Spero che in un futuro prossimo si possano creare dibattiti , tavole rotonde, seminari aperti a tutte le persone non credenti che ricercano un messaggio anche per loro nella Chiesa e nei testi della Bibbia. Dobbiamo superare l’indifferenza che ci fa dire che non cambia nulla, che si creda o no in Dio. Dobbiamo  cercare l’ “umano” che unisce nonostante le differenze perché, per la mia sensibilità, ritengo che Gesù sia la rivelazione del Salvatore di tutti, non soltanto di noi cristiani.

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