Riflessioni teologiche – 56. Cristianesimo ecumenico e pratiche di comunione (parte 17: Il PRINCIPIO N. 4 E L’UNICA LEGGE DELL’OPEN SPACE TECHNOLOGY – OST – NELLE ASSEMBLEE ECCLESIALI)

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Osare un cristianesimo radicalmente ecumenico, dinamicamente inserito nel processo di riconfigurazione in forma sinodale intrapreso da chiese e comunità cattoliche su impulso di papa Francesco, richiede un rinnovato impegno nel praticare forme di comunione ecclesiale capaci di ampliare la varietà di coloro che potrebbero essere raggiunti o accolti o attivamente coinvolti. Nell’intraprendere questo percorso di ricerca teologica, di esperienza vissuta e di pratiche di sperimentazione ecclesiale potrebbero essere di aiuto diversi approcci teorico-pratici provenienti da alcune fonti di ispirazione: elementi ricavabili dall’esperienza vissuta nelle famiglie, riflessioni sulle comunità di pratica, metodologie per l’ascolto attivo e la gestione dei conflitti, approcci filosofici della teoria dell’attore-rete (ANT) e dell’ontologia orientata agli oggetti (OOO), suggestioni collegate alla nozione di terzo paesaggio e possibili applicazioni di questi approcci alla teologia e alla pratica ecclesiale (parte 17: Il PRINCIPIO N.4 E L’UNICA LEGGE DELL’OPEN SPACE TECHNOLOGY – OST – NELLE ASSEMBLEE ECCLESIALI)


Su YouTube l’audio-video si trova cercando
riflessioni teologiche 56

Il 4° e ultimo principio dell’Open Space Technology è: Quando è finita è finita, nel senso che agli argomenti in discussione va dedicato il tempo necessario, né più né meno. Nelle assemblee ecclesiali – ma si potrebbe rilevare questa tendenza, in modo più generale, nei vissuti e nelle pratiche delle comunità cristiane – uno dei rischi è precisamente quello di ritenere necessario dare continuità e proseguire anche ciò che, invece, ha ormai esaurito il proprio ciclo vitale. Si tratti di intuizioni o di idee, di pratiche o di forme organizzative, di formulazioni dottrinali o di convinzioni personali, di modalità operative o di riti codificati: raramente si riesce a prendere atto che qualcosa è finito o che va terminato per il fatto che non è né bene né utile che prosegua. Si asseconda, invece, una sorta di movimento inerziale, anche quando sono ormai venute meno da tempo le ragioni e le motivazioni all’origine di tale movimento. Non solo: si registrano spesso vere e proprie resistenze, in ambito ecclesiale, all’abbandono di ciò che, per molte e valide ragioni, andrebbe ormai chiaramente abbandonato. Da questo punto di vista vi è nel metodo dell’Open Space Technology qualcosa che lo rende particolarmente utile e consonante all’attuale cambiamento d’epoca ecclesiale. Si tratta della sua capacità di agevolare e accompagnare quella sorta di elaborazione del lutto richiesta in ogni transizione epocale, caratterizzata dal venir meno di modelli e strutture, pratiche e riti, idee e convinzioni a cui si è profondamente affezionati, perché anche da esse si proviene e si è stati generati.

A decenni di distanza dagli esordi dell’Open Space Technology, il suo ideatore Harrison Owen ha sottolineato come una delle funzioni più importanti di questo metodo – che pure presenta modalità leggere e giocose – sia proprio quella di agevolare l’elaborazione del lutto, cioè del dolore e della sofferenza che accompagna ogni scomparsa – come delle persone care – anche delle strutture culturali e dei sistemi di pensiero divenuti per noi abituali. Le comunità ecclesiali si trovano oggi nella necessità di attraversare un profondo e radicale cambiamento d’epoca, che interessa tutte le dimensioni della vita ecclesiale e che comporta, in diversi modi, la perdita di strutture e sistemi consueti e consolidati, ai quali si è spesso anche affettivamente legati. Nella gestione di queste inevitabili esperienze di lutto, l’Open Space Technology può risultare utile per accompagnare la presa di congedo da parte delle chiese odierne da quelle forme – ancora tridentine e preconciliari – che ancora oggi la caratterizzano e la appesantiscono, in un modo divenuto oramai non più utile né necessario. L’Open Space Technology insiste, come si è visto, su chi è presente qui e oggi, su ciò che può e deve accedere qui e oggi, su ciò che comincia e finisce qui e oggi, ma anche su ciò che finisce e comincia qui e oggi. Questa insistenza sul qui e oggi – contrariamente alle opposte insistenze sugli altrove collegati a uno ieri o a un domani – può davvero aiutare a compiere, giorno per giorno, i passi necessari per un cammino di transizione graduale ma reale. Solo così una chiesa per tanti aspetti ancora tridentina e preconciliare può lasciare il posto a quella riconfigurazione in forma sinodale di una chiesa e di un cristianesimo radicalmente ecumenici che probabilmente molti da tempo vorrebbero già qui e oggi.

Oltre ai quattro principi, vi è un’unica fondamentale legge, che tutti i partecipanti all’Open Space Technology anche di una assemblea ecclesiale devono responsabilmente impegnarsi a osservare. Si tratta della cosiddetta leggedei due piedi, in base alla quale, se ci si accorge che non si sta né imparando né contribuendo alle attività, è bene alzarsi e spostarsi in un luogo in cui si possa essere più recettivi e più produttivi, cioè in cui si possa davvero partecipare. Ciò potrebbe significare aggregarsi e partecipare a un altro dei gruppi di lavoro dell’Open Space Technology, ma anche uscirne, se ci si rende conto che – almeno per me, qui e oggi – è la cosa giusta da fare. Legittimare e incentivare questo approccio e questo comportamento – evitando così che possa essere interpretato come maleducazione o disprezzo per il lavoro comune – consente di migliorare la qualità del lavoro, ottimizzare le energie disponibili in ciascuno, superare la frustrazione del sentirsi inutili o poco interessati a ciò che si sta facendo. I benefici di questa legge, quando viene davvero applicata, ricadono anzitutto sui singoli, che possono così, dove e quando ve ne sono le condizioni, fare esperienza di reale e gratificante partecipazione. Ma i benefici di questa legge ricadono anche sul gruppo, che può sempre contare su partecipanti realmente e costantemente recettivi e produttivi. Le comunità ecclesiali dovrebbero probabilmente fare propria questa legge dei due piedi applicandola alla generalità delle proprie pratiche, mentre al momento essa viene – giustamente – rispettata per lo più da coloro che abbandonano la chiesa, perché purtroppo non trovano in essa un contesto vitale al quale davvero partecipare, imparando o producendo qualcosa di buono e di utile. Se davvero tutti coloro che in vari modi partecipano alla vita ecclesiale – dai ministri ordinati fino a chi, teista o non teista, si accosta alla chiesa solo occasionalmente – se davvero tutti fossero messi in condizione, attraverso la pratica dell’Open Space Technology, di poter scegliere liberamente il modo in cui partecipare, la vita delle comunità ecclesiali diventerebbe probabilmente più bella e più gioiosa, più libera e più attraente per tutti.

Riferimenti:

Harrison Owen, Open Space Technology: A User’s Guide, BK, 3° edition, San Francisco 2008.

Harrison Owen, Wave rider: leadership for high performance in a self-organizing world, BK, San Francisco 2008.

Stella Morra – Marianella Sclavi, Sinodalità: Quali pratiche?
Audio-video su YouTube pubblicato il 17 maggio 2022
Si può trovare su YouTube cercando: sinodalità sclavi.

Marianella Sclavi – Lawrence E. Susskind, Confronto creativo. Dal diritto di parola al diritto di essere ascoltati. Con una conversazione tra Marianella Sclavi e Giuliano Amato, Et al. Edizioni, Milano 2011.
Questo titolo è disponibile anche in una nuova versione ebook Kindle del 2021 con il titolo: Manuale di Confronto Creativo. Le Arti della Comunicazione, della Convivenza e della Democrazia nel XXI secolo

Marianella Sclavi, Arte di ascoltare e mondi possibili. Come si esce dalle cornici di cui siamo parte, Bruno Mondadori, Milano 2003.

Le sette regole dell’ascolto attivo si possono trovare sul sito di Marianella Sclavi: www.ascoltoattivo.net