Letture festive – 63. Osare – 4a domenica di Avvento – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

4a domenica di Avvento Anno A – 18 dicembre 2022
Dal libro del profeta Isaìa – Is 7,10-14
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 1,1-7
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 1,18-24


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letture festive 63

Osare è un po’ come camminare sul sottile crinale di una vetta: espone pericolosamente su versanti opposti coloro che vi camminano. Anche per questo il dialogo religioso tra il re Acaz, il profeta Isaia e il Signore Dio, ambientato in tempi storicamente difficili, rimane attraversato dall’ambiguità e dalla fatica nel decifrare ciò che davvero va osato: quale è il comportamento più autenticamente religioso e più saggiamente lungimirante? Osare chiedere un segno a Dio? Osare affidarsi alle sole proprie forze, per non mettere alla prova Dio? Nel testo di Isaia alla fine è Dio stesso che osa prendere l’iniziativa di un segno, che però è molto diverso da quelli miracolosi e risolutivi che ci si aspetta solitamente dalla divinità. Si tratta infatti, semplicemente, della nascita di un bambino da una giovane donna, del segno di un futuro promesso, del segno di una vita che continua e che si rinnova, ma con tutte le fragilità di una piccola esistenza umana, che ha bisogno di tempo, di anni, per crescere e diventare adulta. Ma proprio nell’osare questa novità, che non si esaurisce nell’immediatezza di un’azione coraggiosa e puntuale, ma che si estende e si sviluppa per anni, si manifesta agli occhi del profeta la presenza divina nella storia, quell’essere di Dio con noi, che si esprime nel nome ebraico di Emmanuele. Ma anche per i senza Dio la novità che ogni nascita porta con sé invita a osare l’apertura a un futuro inatteso, persino quando in tempi difficili si fatica a decifrarne il senso e il valore.

Osare è anche il duplice movimento che si può riconoscere in ogni chiamata, in ogni vocazione, in ogni invito a intraprendere una strada nuova. L’apostolo Paolo, nel presentarsi come apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo, sottolinea come all’origine di tutto vi sia l’esperienza di una gratuità inattesa e insperata. È come se all’inizio vi fosse un osare iniziale da parte di chi chiama, di chi invita – in questo caso Dio stesso – il quale osa sperare che colui che viene chiamato risulti all’altezza della missione affidata. Osare – da parte di chi chiama e invia in missione – costituisce, in questo senso, l’impulso iniziale di ogni chiamata, di ogni vocazione, di ogni invio in missione. Ma a questo osare originario corrisponde l’osare di chi viene chiamato, invitato e inviato in missione come Paolo. Solo se si osa, infatti, si può proclamare un annuncio che non proviene da noi stessi; solo se si osa si può compiere una missione che non ci siamo dati; solo se si osa si può – come si propone di fare Paolo – suscitare da parte di altri l’obbedienza di una fede che tuttavia non siamo in grado di trasmettere. Diventa evidente, in questo modo, come la capacità e la scelta di osare sia strettamente collegata alla capacità e alla scelta di fidarsi e avere fiducia. Solo chi sceglie di fidarsi e di avere fiducia è realmente in grado di osare. Ciò vale per chi chiama e invia in missione, che per osare deve fidarsi e avere fiducia di colui che chiama, invita e invia, ma ciò vale anche per chi viene chiamato, invitato e inviato in missione, che per osare intraprendere il cammino deve fidarsi e avere fiducia in chi lo ha inviato e nella possibilità di compiere la missione assegnata. Nel caso di Paolo, questa capacità di osare, di avere fiducia e di fidarsi viene sperimentata in stretta relazione con la figura di Gesù Cristo risorto dai morti.

Come può essere osato qualcosa di così radicalmente rischioso e importante come la generazione di un essere umano? Nel racconto del vangelo di Matteo vi è un eroe che – fin dal suo nome, che in ebraico significa: Dio accresca, aggiungendo figli – risulta decisivo perché possa essere osata quella che secondo i vangeli è la generazione fondamentale per l’esistenza di ogni ascoltatore e lettore: la generazione di Gesù. Si tratta di Giuseppe, lo sposo di Maria, che l’evangelista descrive con i tratti dell’omonimo Giuseppe figlio del patriarca biblico Giacobbe, quel Giuseppe che in Genesi viene presentato come l’uomo che osa interpretare i sogni e che osa rifiutarsi a una unione illegittima con la moglie del suo padrone. Questo primo Giuseppe è l’uomo che, capace di amministrare con saggezza e responsabilità quanto gli viene affidato, osa superare ogni risentimento, accogliendo in Egitto e salvando dalla carestia i fratelli gelosi, che pure lo avrebbero voluto morto e che lo avevano venduto come schiavo. Giuseppe motiva ai fratelli ritrovati il proprio osare la rinuncia a ogni vendetta, con l’accettazione dei limiti del proprio potere e cioè con il riconoscere di non essere Dio. Il Giuseppe evangelico, non a caso già presentato da Matteo nella genealogia come figlio di un Giacobbe, ripropone del suo omonimo veterotestamentario la capacità di interpretare i sogni e lasciarsene istruire, insieme al desiderio di una giustizia superiore che si esprime in una generosità non risentita e non vendicativa. Davanti all’inattesa gravidanza della giovane Maria, già promessagli come sposa, Giuseppe osa dapprima immaginare le procedure di una giustizia che tenga generosamente insieme comportamenti legittimi e tutela della persona più debole, cioè della stessa Maria, ma si spinge poi a osare l’ascolto della verità proveniente dai propri sogni migliori e più ispirati, riconoscendo di non essere come Dio, che conosce già ogni cosa, ma di dover invece operare un discernimento. Giuseppe osa infine intraprendere la strada più difficile ma più evangelica, osando ciò che per altri sarebbe impossibile osare: l’accoglienza fiduciosa di una promessa di speranza per il popolo e l’accoglienza di una sposa già in attesa del figlio che – grazie alla capacità di osare del sognatore Giuseppe – potrà dare compimento a queste speranze di salvezza.