Letture festive – 73. Compimento – 6a domenica del Tempo Ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

6a domenica del Tempo Ordinario Anno A – 12 febbraio 2023
Dal libro del Siràcide – Sir 15,16-21 (NV) [gr.15, 5-20]
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi – 1 Cor 2,6-10
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 5,17-37


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letture festive 73

Il libro del Siracide sembra suggerire che il compimento di un’esistenza umana sia il risultato di scelte libere, come ad esempio quella tra la volontà di osservare o di non osservare i comandamenti. Il compimento dell’esistenza si realizzerebbe perciò grazie alla possibilità di seguire preferenze personali come quelle alternative tra fuoco e acqua, realtà poste davanti a noi perché si possa tendere la mano là dove si vuole, quasi a cogliere il frutto desiderato. Il compimento dell’esistenza umana, con Dio o senza Dio, sembra quindi poter felicemente consistere nel ricevere ciò che si è scelto perché piace. Ma le opposizioni radicali tra vita e morte, tra bene e male, così come la descrizione di Dio che troviamo in questo brano biblico, fanno sorgere almeno due interrogativi: chi mai, con Dio o senza Dio, sceglierebbe ciò che rappresenta per la propria esistenza morte e male anziché scegliere vita e bene? Quale possibilità di scelta rimane se lo sguardo e gli occhi di quel Dio forte e potente di cui scrive il Siracide osservano costantemente gli umani, a nessuno dei quali è dato il permesso di peccare? Per provare a cercare risposte dobbiamo forse spostare il nostro punto di vista e considerare che il compimento di ogni esistenza umana, con Dio o senza Dio, vada inteso appunto come il risultato conclusivo di una vita che solo alla fine può dirsi compiuta. Si tratta, infatti, di un cammino dagli esiti non determinati in anticipo, cammino che agli inizi – nei casi più fortunati e quando le circostanze lo consentono – si caratterizza per una serie di possibilità di scelta e di promesse di realizzazione di ciò che piace. Ma l’immagine biblica dello sguardo e degli occhi di Dio rivela il senso profondo dell’invito alla scelta, ricordando una caratteristica importante delle diverse realtà: le realtà che – una volta scelte – orientano il cammino dell’esistenza umana non sono per nulla tutte uguali tra loro, per cui la scelta dell’una o dell’altra non è per nulla indifferente e non dovrebbe essere casuale. Esistono, infatti, scelte che conducono verso un compimento di vita e di bene e scelte che conducono verso un compimento di male e di morte. Ma orientare la propria esistenza a un compimento di bene e di vita non è operazione semplice né è possibile compierla in modalità automatica, perché richiede invece – a ogni passaggio rilevante – la pratica di un sapiente discernimento.

In questo testo della prima lettera di Paolo ai Corinzi il tema del compimento si trova collegato a quelli della perfezione e della sapienza e collocato all’interno di una cosmologia e di una cronologia religiosa molto diversa dalla nostra. Secondo alcuni studiosi, infatti, in questo passo, quando parla di dominatori di questo mondo, Paolo intende riferirsi a potenze non umane e sostanzialmente diaboliche, che ignorano la sapienza di Dio e per questo vengono infine annientate; quando Paolo parla di sapienza di Dio rimasta nascosta la intende collegata al mistero divino del quale fa parte la vera identità del Signore della gloria, rivelata ad alcuni ma nascosta ad altri; quando Paolo parla della crocefissione del Signore della gloria ad opera dei dominatori di questo mondo, intende riferirsi a un evento di salvezza, accaduto in modo certamente reale, ma non qui sulla terra – a Gerusalemme – e neppure in un momento puntuale della storia – intorno agli anni trenta del primo secolo dopo Cristo – bensì in quello spazio intermedio tra cielo e terra, tra uomini e divinità, che nell’antica cosmologia ebraica (e non solo ebraica) è abitato da una quantità di spiriti e di forze, buone e cattive, angeliche e demoniache, capaci di interagire con le realtà umane e con quelle divine. In questa cosmologia e cronologia religiosa – come si vede davvero molto lontana da quella cui siamo abituati – il compimento si collega a una sapienza divina e nascosta, ma rivelata dallo Spirito a quelli che vengono chiamati perfetti. Questa perfezione e maturità spirituale, che trova compimento in Paolo e nei destinatari della lettera, consiste ultimamente nel riconoscere la sapienza divina nascosta precisamente in quella crocefissione del Signore della gloria, che invece ha tratto in inganno i dominatori di questo mondo. Proprio questi ultimi, infatti, sono stati tenuti all’oscuro di quella verità del mistero nascosto in Dio e rivelato invece ai perfetti. In questo modo si sono trovati attirati in una trappola, perché proprio attraverso la crocefissione operata da loro stessi di quel Signore della gloria di cui ignoravano la vera identità, il piano del sapiente mistero divino, un piano di salvezza e liberazione per tutti, ha potuto attuarsi completamente e trovare infine il suo compimento salvifico esattamente nella forma del proprio contrario: la forma di un Signore della gloria crocefisso.

Il testo evangelico, spesso definito come discorso delle antitesi, potrebbe invece essere chiamato discorso del compimento, come del resto invita a fare lo stesso Gesù di Matteo, quando dichiara di non essere venuto ad abolire quanto insegnato dalla Legge o dai Profeti, ma a dare pieno compimento. In realtà la parola antitesi non è senza ragioni, perché esprime quanto sembra affermare la formula ripetuta nel vangelo, là dove, da una parte si legge: avete inteso che fu detto… – e si sottintende dalla legge di Mosè e quindi in nome di Dio – mentre dall’altra parte Gesù afferma: ma io vi dico. Come comprendere, allora, queste che si presentano come antitesi ma che invece vogliono essere un pieno compimento? Ci può forse venire in aiuto il tema del recinto, presente in molte tradizioni religiose e caro all’ebraismo di ogni tempo, come ad esempio si può notare nel tempio di Gerusalemme, con le sue delimitazioni date da cortili e portici. Una possibile soluzione dell’apparente conflitto evangelico tra antitesi e compimento diventa allora quella di immaginare i precetti e gli insegnamenti della Legge di Mosè citati da Gesù come fossero scritti sulla recinzione del cantiere edile che delimita l’area di costruzione di un nuovo edificio. Se i precetti e gli insegnamenti della Legge tracciano confini che non vanno mai superati, all’interno della recinzione rimane l’area del cantiere. Qui si può e – sottolinea il Gesù di Matteo – si deve edificare quella costruzione, fatta di pratiche e di vissuti, chiamata a dare pieno compimento a quanto la formulazione della Legge ha inteso primariamente circoscrivere soltanto nelle sue limitazioni esterne ed estreme. Per questa ragione il Gesù di Matteo può allo stesso tempo proibire ogni minima trasgressione della Legge e invitare a una giustizia che superi quella praticata dagli scrupolosi osservanti della Legge. Nel cantiere che si propone di dare compimento evangelico alle prescrizioni della Legge antica, si devono allora – da parte di con Dio e di senza Dio – costruire soprattutto gli edifici di relazioni umane rinnovate: relazioni umane ispirate al superamento dell’aggressività che si concretizzino in pratiche di nonviolenza attiva, relazioni affettive e coniugali ispirate da un amore giusto e non prevaricatore, capace di governare i propri desideri eccessivamente voraci e potenzialmente distruttivi, relazioni sociali autentiche nelle quali la comunicazione si basi sulla verità più che sul presunto potere attribuito anticamente ai giuramenti, un potere di disporre della propria vita che si rivela spesso soltanto presunto. Il reale compimento quantitativo e qualitativo della nostra esistenza, infatti, solo in parte viene determinato dalla nostra singola volontà. Ma quello che rimane in nostro potere è il parlare – come ci invita a fare il Gesù di Matteo – con dei che siano e dei no che siano no, così da poter dare in questo modo il giusto compimento evangelico per lo meno alle nostre parole.

Riferimenti:

Sull’interpretazione di 1 Cor 2, 6-10
Richard Carrier, On the Historicity of Jesus. Why We Might Have Reason for Doubt, Sheffield Phoenix Press, Sheffield 2014, pp. 47-48, 668.