Riflessioni teologiche – 76. Albert Schweitzer e la concezione simbolica del Cristo rosso di Albert Kalthoff

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Albert Schweitzer nella sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù include, tra i negatori del Gesù storico che propongono una teoria simbolica, oltre a Bruno Bauer anche Albert Kalthoff. Questo teologo, all’inizio del Novecento, presenta Gesù non come una persona storicamente esistita ma come un prodotto dell’opera degli scrittori cristiani antichi, che avevano imparato nella sinagoga a creare “personificazioni”, sulle quali si fonda l’intera letteratura tardo-giudaica. In questa personificazione costituita dalla figura di Gesù verrebbe in qualche modo rappresentata l’esperienza del cristianesimo popolare delle prime generazioni e cioè di comunità sorte in un contesto storico caratterizzato dall’incontro fra tensioni sociali e attese religiose messianico-apocalittiche. Ma, secondo Schweitzer, mentre critica giustamente il Gesù storico della teologia liberale, Albert Kalthoff finisce per contrapporgli un Cristo rosso e comunista che presenta gli stessi limiti del Gesù storico dei suoi avversari: quello di rispecchiare gli ideali di chi lo descrive.


Su YouTube l’audio-video si trova cercando
riflessioni teologiche 76

Albert Schweitzer, nel capitolo 22 della sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù, suddivide i negatori del Gesù storico in due grandi categorie, e definisce le loro concezioni, rispettivamente, simbolica e mitica, descrivendo la concezione simbolica in questi termini: «la figura di Gesù disegnata nei vangeli rappresenta i pensieri, i principi e le esperienze del movimento sociale e religioso che ha prodotto il cristianesimo […La concezione che possiamo chiamare simbolica] parte del presupposto che la comunità più antica si sia costruita nei racconti su Gesù una storia ricca di significati fin nei particolari. […] Secondo [questa] concezione le idee religiose hanno formato e immaginato l’evento storico corrispondente». Su questo sfondo Bruno Bauer viene indicato da Albert Schweitzer come colui che, negli anni ‘40 dell’Ottocento, «sviluppò per la prima volta con la dovuta ampiezza [la spiegazione] simbolica», che fu ripresa a inizio Novecento da Albert Kalthoff. La posizione di quest’ultimo viene introdotta sinteticamente da Schweitzer con queste parole: «Secondo Albert Kalthoff il cristianesimo nacque per autocombustione, allorché il materiale infiammabile e di natura religiosa e sociale, accumulatosi nell’impero romano, venne a contatto con le attese messianiche giudaiche. Gesù di Nazaret non è mai esistito; e se è stato uno dei numerosi messia giudaici morti in croce, non ha tuttavia fondato il cristianesimo. La storia di Gesù fissata nei vangeli in realtà non è che la genesi dell’immagine di Cristo, cioè la storia della comunità nel suo divenire. Non vi è quindi nessun problema della vita di Gesù, ma solo un problema del Cristo». Il percorso seguito da Kalthoff viene delineato da Schweitzer secondo queste tappe: «Egli si dissociò dal Gesù storico-moderno, non rinvenendo il tragitto che dalla vita di Gesù lo conducesse al cristianesimo primitivo. […] Se quindi non possiamo percorrere il cammino dall’indietro in avanti, cerchiamo di percorrere lo stesso cammino in senso contrario, determinando in primo luogo nella teologia della comunità i valori che dobbiamo poi ritrovare nella vita di Gesù».

Nel commentare questo approccio Albert Schweitzer – intuendo la necessità di collegare ogni tentativo di ricostruzione del Gesù storico a una ricostruzione credibile del cristianesimo primitivo – coglie uno snodo decisivo quando afferma: «In ciò [Kalthoff] ha ragione. La teologia storico-moderna lo avrà positivamente confutato solo quando avrà spiegato l’origine del cristianesimo nella vita di Gesù senza la teoria dello “stacco” dell’uno dall’altra, con cui operano Harnack […] e tutti gli altri. Essa deve riconoscere il diritto formale all’esistenza di tutte le ipotesi, anche di quelle più stravaganti, che considerano questo problema e tentano di risolverlo, finché non sia riuscita in certo qual modo a spiegare come l’influenza della setta messianico giudaica abbia prodotto in un baleno, e in pari tempo in ogni punto, un cristianesimo popolare greco-romano e non avrà descritto una buona volta il cristianesimo popolare delle prime tre generazioni». Secondo Schweitzer «la critica mossa da Kalthoff alle opere storico-positive coglie parzialmente nel segno. “Gesù”, egli afferma a un certo punto, “è diventato per la teologia protestante il vaso in cui ogni teologo versa i propri pensieri” e osserva giustamente che il “Cristo”, visto a ritroso dalle epistole e dai vangeli nel Nuovo Testamento fino all’apocalisse di Daniele, dispone sempre di caratteristiche simultaneamente umane e sovrumane. “Mai e in nessun luogo – precisa Kalthoff – è come la teologia critica ha voluto vederlo: un semplice uomo naturale, un individuo storico”. “L’apocalittica messianica aveva elevato a tal punto il nome di Cristo nella sfera eroica, che era diventato impossibile assegnarlo a un individuo umano”».

Schweitzer prosegue affermando che «la riflessione che guida Kalthoff è in sé perspicace e costituisce un felice complemento della costruzione di Bruno Bauer. Questi voleva far sorgere il cristianesimo dalla filosofia greco-romana; Kalthoff, consapevole che il problema principale riguarda la genesi del cristianesimo popolare, vuole partire dai movimenti sociali. Nell’impero, egli spiega, tra gli schiavi asserviti, privi di diritti e le masse popolari si raccolsero forze esplosive ad alta tensione. Si formò un movimento comunista, il quale assunse colori messianico-apocalittici ad opera di quei giudei che appartenevano alle masse proletarie. La sinagoga ha influenzato le condizioni sociali romane [e come afferma Kalthoff] “ha amalgamato il primigenio fermento sociale del tempo producendo così la nuova cultura cristiana”. Gli scrittori cristiani antichi [– prosegue Schweitzer –] avevano imparato nella sinagoga a creare “personificazioni”. L’intera letteratura tardogiudaica si fonda su questo principio. Il “Cristo” divenne in tal maniera l’eroe della comunità [per cui, secondo Kalthoff] “dal punto di vista teologico-sociale l’immagine del Cristo è l’espressione religiosa sublimata di tutte le forze sociali ed etiche operanti in un’epoca”. La cena era il banchetto commemorativo dell’eroe della comunità». Ma – si chiede Albert Schweitzer – «fino a che punto sono valide le premesse di questa costruzione?». La sua risposta è che, da questo punto di vista e «in ultima analisi, non esiste proprio nessuna differenza tra Kalthoff e i suoi avversari. Costoro vogliono trapiantare nel nostro tempo il loro Gesù storico ed egli il suo “Cristo”. “Un Cristo secolarizzato”, afferma [Kalthoff], “tipo dell’uomo autonomo, che s’impone nella lotta e nella sofferenza per offrire agli uomini come benedizione amorosa quell’infinita pienezza d’amore che porta in sé. Rinasce così il vecchio tipo del Cristo ecclesiastico. Non è più il Cristo degli scribi, l’uomo teologico del concetto con tutte le sue pratiche e regole scolastiche. È il Cristo popolare, il Cristo laico, che esprime sensibilmente e spiritualmente nella sua immagine tutte le forze più semplici e naturali, e quindi più sublimi dell’anima umana”». Davanti a queste parole di Kalthoff, Albert Schweitzer, evocando il colore rosso tradizionalmente e simbolicamente collegato al comunismo, conclude la propria recensione critica con queste parole: «Il Gesù della teologia storico-moderna prometteva le stesse cose. Perché allora la deviazione scettica? Il Cristo di Kalthoff non si distingue dal Gesù di coloro che egli combatte, guardandoli dall’alto in basso, ma è come dipinto con inchiostro rosso su carta assorbente. Egli pretende che la sua opera venga considerata come qualcosa di nuovo perché è rossa e sfilacciata». Se Bruno Bauer e Albert Kalthoff ben rappresentano la concezione che Albert Schweitzer definisce simbolica, fra coloro che tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento negano l’esistenza storica di Gesù, la concezione che prevale e che viene ampiamente presentata dallo stesso Schweitzer è invece la concezione definita mitica. A questa dovremo dedicare le prossime riflessioni.

Riferimenti:

Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia Editrice, Brescia 1986 (1° ediz. tedesca del 1906, 2° ediz. ampliata 1913)
I testi citati sono tratti dal capitolo 22 e dal capitolo 18

Albert Kalthoff, Das Christus-Problem. Grundlinien zu einer Sozialtheologie, Lepzig 1902.
Albert Kalthoff, Die Entstehung des Christentums. Neue Beiträge zum Christusproblem, Lepzig 1904.
(trad. inglese: Albert Kalthoff, The Rise of Christianity, 1907 e 2015)