Letture festive – 97. Tesori – 17a domenica del Tempo ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

17a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 30 luglio 2023
Dal primo libro dei Re – 1Re 3,5.7-12
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani – Rm 8,28-30
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 13,44-52


Su YouTube l’audio-video si trova cercando:
letture festive 97

Nel sogno di Salomone raccontato dal primo libro dei Re, il tesoro, prezioso ma ancora indeterminato che Dio gli offre è la possibilità di esaudire un suo desiderio a scelta, come avviene nelle fiabe di ogni tradizione. La scelta di Salomone, come quella di ogni vero eroe, evita la triplice tentazione dei beni che sono al vertice di molte scale di valori, per con Dio e per senza Dio: una vita lunga per sé, ricchezze in abbondanza e potere sui nemici. La scelta di Salomone di quale tesoro ricevere da Dio è dettata, invece, non dal proprio interesse personale, ma dalla responsabilità che riconosce di avere nei confronti degli altri. È questa, infatti, l’alternativa radicale davanti alla quale, a volte, sono posti gli umani quando si tratta di tesori, di beni, di valori tra i quali scegliere. E le attuali condizioni del pianeta, quelle che Bruno Latour chiama nuovo regime climatico, danno nuova attualità alla scelta di Salomone. Il giovane re rinuncia ad anteporre all’interesse altrui sé stesso e ciò che nell’immediato potrebbe costituire per lui un valore e un tesoro. Nel caso di Salomone si tratta dei suoi sudditi, nel caso nostro, di odierni con Dio o senza Dio, si tratta delle scelte da fare oggi perché le future generazioni possano ancora abitare questo pianeta. Il tesoro che ciascuno, nelle piccole e grandi scelte di vita, sceglie di ricevere, di custodire, di lasciare a propria volta in eredità dovrebbe essere quello che davvero tiene conto del nostro essere in relazione non solo con ciò che ci circonda ma anche con il futuro che andiamo preparando quando scegliamo che cosa considerare un tesoro. In questa condizione del pianeta e dei viventi, infatti, qualcosa può essere realmente un tesoro e un valore solo se lo è anche in relazione a un futuro che non può più essere assente dalle nostre valutazioni e dalle nostre scelte. Come per Salomone, allora, anche per noi, con Dio o senza Dio, il primo e più importante tesoro da chiedere non è la lunghezza della propria esistenza individuale, ma il fatto che la vita sul pianeta possa risultare vivibile anche dopo di noi; il tesoro non è lo sfruttamento prepotente e senza limite delle risorse disponibili, ma una radicale conversione che riconosca il carattere limitato e fragile di molte di queste risorse; il tesoro non è la ricchezza di cui si può ancora godere ora, senza pensare al futuro, ma il creare le condizioni perché la multiforme ricchezza del pianeta e della vita non venga esaurita dalla cupidigia di poche generazioni, insensibili alle future generazioni di viventi. Come per Salomone, allora, anche per noi, con Dio o senza Dio, il primo e più importante tesoro da chiedere è quello del discernimento nel giudicare, il tesoro di un cuore saggio e intelligente, che ci consenta – facendoci carico delle nostre responsabilità generazionali ed epocali – di leggere la realtà e di pensare al futuro di chi potrà esserci dopo di noi, compiendo noi, fin da ora, scelte che loro potranno riconoscere come giuste.

Paolo ricorda ai cristiani di Roma che, per chi si orienta all’amore, tutto coopera al bene. Potremmo dire che si tratta di una condizione nella quale con Dio e senza Dio sono invitati a fare tesoro di ogni cosa, dal momento che ogni cosa può essere o diventare, in qualche modo, un tesoro piccolo o grande, che accresce il bene e l’amore al quale si è orientati. Se si impara a fare tesoro di tutto, anche di ciò che a prima vista non sembra affatto un tesoro e neppure un valore, ma addirittura un disvalore, i tesori si moltiplicano. Se, infatti, tutto – purché colto secondo un determinato approccio – può concorrere al bene, allora ogni cosa può diventare un tesoro e in ogni cosa può nascondersi qualcosa di prezioso. Ai lettori cristiani di questo brano viene presentata una concatenazione di parole che descrivono la condizione dei chiamati: conosciuti, predestinati, conformi all’immagine del Figlio, fratelli, giustificati, glorificati. Nel fare questo Paolo sembra invitarci a riconoscere come ciò che è realmente un tesoro prezioso spesso nasconda al proprio interno qualcos’altro di buono e di prezioso, che può moltiplicarsi per essere a sua volta considerato un tesoro, tanto dai con Dio quanto dai senza Dio.

Le parabole evangeliche nelle quali Gesù assimila il regno a un tesoro sembrano in realtà invitare i lettori con Dio o senza Dio, da una parte, a riconoscere come il regno sia impossibile da definire con precisione e descrivere in modo univoco e, dall’altra parte, a riconoscere come il valore del regno consista anzitutto in ciò che è capace di muovere nel cuore umano. Si tratta, infatti, di qualcosa la cui acquisizione avviene in modo indiretto e provoca effetti paradossali: se si paragona il regno a un tesoro che era nascosto in un campo e che viene trovato, lo si deve sotterrare nuovamente per poi acquistare l’intero campo. Se si paragona il regno a una perla preziosa, il commerciante di perle vende tutto non per rivenderla a un prezzo maggiore, come farebbe un mercante, ma per averla per sé, cessando così il proprio lavoro di mercante di perle. Il regno somiglia, in ogni caso, a un tesoro il cui ritrovamento riempie di una tale gioia che, per averlo, si è disposti a vendere tutto ciò che si ha. Ma si tratta anche – nel caso del regno – di una realtà dinamica e in movimento, ancora ambigua nei suoi esiti, come una rete dove i pesci buoni sono ancora insieme ai cattivi, perché il tempo di una distinzione e di una separazione in vista di una scelta non è ancora venuto. Questa distinzione e separazione in vista di una scelta, tuttavia, possono essere in qualche modo anticipate da ciò che viene chiamato discernimento. E questa capacità, che molto si avvicina al dono chiesto da Salomone, è propria di ogni scriba divenuto discepolo del regno, che sa di avere a disposizione un tesoro antico e nuovo che deve però riuscire a padroneggiare in modo adeguato. Anche a noi, lettori con Dio o senza Dio di questo testo evangelico, è chiesto di essere anzitutto consapevoli del tesoro della Scrittura e di quanto nella storia è stato trasmesso attraverso generazioni di credenti. Ma, nello stesso tempo, ci viene chiesto di essere consapevoli che l’antico e il nuovo rappresentano un tesoro a condizione che li si faccia incontrare e interagire in quei modi indiretti e paradossali che l’annuncio evangelico del regno suggerisce e richiede. Si tratta di qualcosa che ricorda il compito della teologia, così come lo intende ad esempio David Tracy: il tentativo di stabilire una correlazione reciprocamente critica tra due interpretazioni: una interpretazione della tradizione e una interpretazione della situazione contemporanea. Se ai teologi cristiani è chiesto di fare questo in modo approfondito e sul piano teorico e scientifico, tutti i cristiani, con Dio o senza Dio, dovrebbero comunque cercare di stabilire questa correlazione reciprocamente critica tra la loro interpretazione di quanto è stato loro trasmesso nella fede e la loro interpretazione della situazione nella quale si trovano a vivere, anzitutto attraverso la consapevolezza credente della loro esistenza cristiana.

Riferimenti:

Bruno Latour, La sfida di Gaia. Il nuovo regime climatico, Meltemi, Milano 2020 (originale francese del 2015)

La definizione di teologia di David Tracy si trova citata da C.R. Bråkenhielm, La tradizione cristiana e la società contemporanea, in «Concilium», XXX, 6 (1994), p. 45