Riflessioni teologiche – 82. Albert Schweitzer e l’interpretazione mitico-simbolica di William B. Smith

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Nella sua Storia della ricerca sulla vita di Gesù Albert Schweitzer annovera il matematico americano William Benjamin Smith tra i principali negatori del Gesù storico e in particolare come colui che unisce la teoria simbolica e quella mitica. I dubbi di Smith rispetto alla concezione tradizionale derivano dalle apparenti incongruenze di quest’ultima, che ipotizza un’evoluzione nel cristianesimo primitivo dal Gesù storico e umano al Gesù divino e spirituale, mentre in realtà nei libri più antichi del Nuovo Testamento, ad esempio le lettere di Paolo, non troviamo quasi nulla riguardo un Gesù storico. Al centro della sua ipotesi Smith colloca una sorta di Gesù precristiano dai caratteri divini che, oggetto di culto in ambiente ebraico ed ellenistico, sarebbe stato reso – dal cristianesimo primitivo – protagonista della narrazione di una vicenda storica, nella quale temi di provenienza mitica si univano a significati di valore simbolico, corrispondenti alla sensibilità religiosa ebraica e greco ellenistica dell’epoca.


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William Benjamin Smith è il secondo importante negatore dell’esistenza storica di Gesù che Albert Schweitzer presenta nella sua Storia della ricerca sulla vita Gesù, caratterizzandolo come colui che «valorizza la teoria simbolica accanto a quella mitica». Le due opere che Schweitzer ha potuto esaminare – lamentando la mancanza di una presentazione organica da parte di Smith delle sue tesi – sono Il Gesù precristiano, del 1906, che «offre solo studi preliminari» e Ecce Deus del 1911, che lo stesso Smith presenta come «un rapido schizzo» in vista di un’esposizione più completa. Ma ciò non toglie che secondo Smith «l’intima logica dei risultati presentati dia loro un fondamento sufficiente». Albert Schweitzer descrive così le «riflessioni e osservazioni di carattere generale [che] hanno scosso la fiducia di Smith circa la concezione tradizionale. È pensabile, si è chiesto, che una singola personalità abbia potuto originare un movimento religioso così grande, diffusosi tanto rapidamente? E come mai Paolo e gli apologeti parlano così poco della predicazione e dell’attività pubblica di Gesù? Anche le concezioni più antiche relative alla teandria di Gesù sono divenute per lui problematiche. La scuola critica ritiene che Marco offra un’immagine del Signore ancora spregiudicatamente umana; nelle descrizioni successive, invece, il divino fa sentire in modo crescente la sua presenza, per assurgere poi a elemento dominante nel quarto vangelo. Tutto ciò corrisponde poi ai fatti? Come accordarlo al dato che Paolo, l’autore dell’Apocalisse di Giovanni e gli altri scrittori cristiani antichi, per quanto non abbiano composto nessun vangelo, si siano occupati soprattutto della personalità divina del redentore? L’apostolo dei gentili è il testimone più antico e avrebbe dovuto di conseguenza annunciare un Gesù molto umano, se fosse corretto lo sviluppo abitualmente supposto. La scienza neotestamentaria e la storia dei dogmi hanno finora insegnato che l’uomo Gesù è stato divinizzato. La concezione dell’origine del protocristianesimo esposta in connessione con quest’ipotesi fondamentale è su molti punti insoddisfacente». L’ipotesi alternativa che Smith ritiene necessario esplorare viene presentata da Albert Schweitzer in questi termini: «Non si richiede in questo caso […] di cimentarsi col secondo procedimento possibile e muovere dalla congettura che nella fede protocristiana e nei vangeli sia stata umanizzata una persona divina? Tutta la teoria di Smith dipende da queste riflessioni e considerazioni criticamente giustificate, che lo inducono a supporre un Gesù divino precristiano».

Albert Schweitzer richiama gli argomenti che Smith propone a sostegno della sua tesi, a partire dal fatto che «nei Philosophumena del […] confutatore di eretici Ippolito [morto intorno al 250] si trova l’inno di una setta gnostica dei naasseni nel quale Gesù, come essere celeste, propone al Padre di recarsi sulla terra per redimere le parti del mondo spirituale smarrite nel caos [Philosoph. 5,10]. […] Smith […, che contesta la consueta datazione postcristiana,] propende per un’origine precristiana dell’inno, disponendo in tal modo di un documento attestante l’adorazione di un essere divino, di nome Gesù, prima degli inizi dell’era cristiana». Si cita poi «l’eresiologo Epifanio [morto intorno al 403….il quale], elencando le sette giudaiche [Hear. 18 e 29], ne menziona una dei nazarei o nasarei, già esistente prima di Cristo […] I nazarei (nasarei) – e qui Smith concorda con Robertson – non hanno nulla a che fare con Nazaret. […] Smith, per spiegare questo nome, si serve della radice ebraica N-S-R (nasar, noser = custode, guardiano). Questi giudei si chiamavano nazarei (nasarei) poiché adoravano un “dio cultuale” Gesù ha nosri, “Gesù il custode”. Solo successivamente venne stabilito un rapporto tra questo appellativo, usato per Gesù e i suoi fedeli, e la città di Nazaret». Passando poi alle testimonianze neotestamentarie, la panoramica di Schweitzer sulle interpretazioni di Smith mostra che «si scoprono tracce del culto del Gesù precristiano anche negli Atti degli Apostoli. Del giudeo alessandrino Apollo, narrano infatti che insegnava “le cose relative a Gesù” senza essersi messo prima in contatto con la locale comunità paolina. Per di più conosceva solo il battesimo di Giovanni [Atti 18, 24-28]. Nella medesima situazione si trovano alcuni altri “discepoli” di Efeso, dodici di numero, che pure avevano ricevuto solo il battesimo di Giovanni ed erano del tutto ignari dello Spirito santo finché Paolo li istruì e battezzò [Atti 19, 1-7]. [Secondo Smith…] questi passi oscuri […] in realtà sono di estrema importanza, perché informano su cristiani precristiani divenuti a Efeso paolini nell’era cristiana. Un altro episodio su cui Smith ferma la sua attenzione riguarda il mago Elimas [Atti 13, 6-8], che si scontrò con Paolo a Cipro e venne chiamato Bar-Jesus (figlio di Gesù). [Anche] il samaritano Simon Mago [Atti 8, 9-13] non si sarebbe fatto battezzare tanto rapidamente da Filippo se non avesse già praticato il culto di Gesù». Secondo Smith – afferma Schweitzer – «Nell’ultimo secolo precristiano esisteva dunque un culto segreto fra i Giudei, in particolare fra quelli ellenisti, relativo a un Gesù divino. Questo nome è la forma greca per Giosuè, aiuto di Jahvé secondo l’originario significato, facilmente “confondibile” con Jeshua, che significava liberazione […e che] si trasformò in “liberatore”. Il dio cultuale Giosuè divenne il liberatore Gesù. […]. Per [… i Greci] divenne in più il “guaritore” e, inoltre, il custode (nazaraios), il soter, il salvatore, ed eventualmente ancora il […] figlio dell’uomo ed il secondo Adamo. Con le ultime espressioni era indicato quale uomo celeste. Questi nomi così pregnanti abilitarono il dio cultuale Gesù ad essere un giudeo per i Giudei e un greco per i Greci, garantendone il futuro».

Nella concezione di Smith – sottolinea Schweitzer – «tale culto precristiano di Gesù è solo parzialmente mitologico. […] Quella serie di nomi favorevoli al successo non avrebbe portato al riconoscimento del dio cultuale Gesù se il culto a lui consacrato non avesse corrisposto a una tendenza della religiosità di quel tempo attraversata da un attacco al pensiero politeistico. Il culto di Gesù era funzionale a questo movimento che si presentava come una “crociata” per il monoteismo». Qualche passo evangelico sembra presentarlo come «“un culto segreto di una società segreta”. […] Dalla Scrittura, inoltre, si apprende che tra gli adoratori del Gesù precristiano esistevano due correnti: un “partito impetuoso ed entusiasta, che richiedeva l’annuncio pubblico del culto”, si batteva “contro la ritrosia e la riservatezza dei conservatori, i quali volevano che il culto continuasse a restare segreto”. […] Con queste formulazioni Smith ha superato lo spartiacque fra concezione mitologia e concezione simbolica e, dopo aver attinto alle sorgenti della prima, passa ora a quelle della seconda. L’interpretazione dei vangeli […] non dimostrerà come quella di Robertson […] che le pretese particolarità storiche sono il precipitato dei miti più diversi. Cercherà in maniera non meno perspicace di provare che tali particolarità sono una storia creata dagli adoratori del Gesù precristiano intorno al nome del Dio del loro culto, nel quale si manifestano in maniera significativa le idee e i destini della prima comunità confessante. Il cristianesimo, quindi, si è creato a poco a poco, secondo le necessità, il Gesù storico e tutti i racconti a lui relativi, utilizzando di certo il dio del culto precristiano. […] Il più antico ciclo narrativo aveva un carattere esclusivamente ultraterreno. Era composto da simboli che apparivano come nuvole purpuree sospese tra cielo e terra, come formule che non potevano venir costruite esattamente. […] Ecco allora “una divinità che muore e rivive”, il “grande sommo sacerdote che sacrifica se stesso”, l’”agnello immolato prima dell’origine del mondo” ed espressioni analoghe che si possono leggere nell’inno dei naasseni, nelle parti non rimeggiate dell’Apocalisse di Giovanni, nei brani autentici di Paolo e nell’“inno” conservato il 1 Tm 3,16». Schweitzer sottolinea che per Smith «la guarigione e la salvezza originarie del Gesù precristiano consistevano nella lotta contro il culto degli idoli. […] Questa spiegazione è […] confermata dalla constatazione che le cacciate dei demoni sono state compiute solo in Galilea, la regione semipagana, mentre in Giudea, dove il monoteismo è già presupposto, non vengono nemmeno menzionate. [Collocando, poi,] gli avvenimenti […] sulle rive del lago di Genezaret […] gli evangelisti volevano […] simboleggiare “la marcia trionfale della nuova religione attraverso tutto l’impero prospiciente il mare Mediteraneo. […] Vi sono tuttavia altre scoperte. Là dove Gesù parla di “bambini”, intende i proseliti; il miracolo di Cana significa l’unione sponsale fra la religione greca e quella giudaica nella “nuova dottrina”; il giovane ricco è il giudaismo, da cui Gesù pretende la rinuncia ai suoi privilegi spirituali e alle sue prerogative per dividerle con i gentili; il cieco di Gerico è un simbolo dell’Israele spiritualmente cieco; l’uomo ricco e il povero Lazzaro sono il giudeo e il gentile; i dieci lebbrosi, che stanno lontano, sono le dieci tribù d’Israele disperse; Giuda è “colui che trasmette” – Smith pensa che originariamente non si possa parlare di tradimento – poiché il popolo giudaico che s’incarna in questa figura “trasmise” il culto di Gesù ai gentili […] il giovane vestito di un panno di lino che fugge via nudo [Mc 14, 51-52] […] è un allusione dell’evangelista, che consiglia il lettore di “non prendere così alla lettera” la narrazione della cattura e dell’esecuzione capitale del dio, e gli sussurra: “È evidente che il dio-Gesù non poteva venir arrestato, ma solo la sua veste che ne nascondeva la divinità, l’abito della carne che ha indossato in questa mia narrazione simbolica”. […] Smith ritiene impossibile affermare con precisione quando “si sia dato l’equivoco” in base al quale la storia originariamente simbolica del culto di Gesù e delle sue esperienze è stata concepita come la conseguenza di eventi veramente accaduti». Come si vedrà in seguito, ritroveremo, anche se in forme diverse, alcuni dei temi posti da Smith all’inizio del Novecento, nelle contestazioni a noi contemporanee dell’esistenza di un Gesù storico.

Riferimenti:

Albert Schweitzer, Storia della ricerca sulla vita di Gesù, Paideia Editrice, Brescia 1986 (1° ediz. tedesca del 1906, 2° ediz. ampliata 1913)
I testi citati sono tratti dal capitolo 22

William B. Smith, Ecce Deus. Studies of primitive Christianity, The Open court publishing company, Chicago 1913.
Il volume può essere consultato integralmente online sul sito: archiv.org