Letture festive – 120. Precursori – 3a domenica di Avvento – Anno B

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

3a domenica di Avvento Anno B – 17 dicembre 2023
Dal libro del profeta Isaìa – Is 61,9-11
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési – 1Ts 5,16-24
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 1,6-8.19-28


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letture festive 120

Si può essere o diventare precursori, con Dio o senza Dio, in modi diversi e in questo passo di Isaia troviamo tre immagini che suggeriscono alcuni di questi possibili modi. La prima immagine è quella della stirpe benedetta e della discendenza in mezzo ai popoli, che evoca la consapevolezza di far parte di una specifica successione storica, che proviene dai nostri primi sconosciuti antenati e che potrà o meno continuare, attraverso una discendenza dopo di noi che potrà essere non solo di figli in senso proprio, ma anche di persone che in qualche modo potranno riferirsi a noi avendo ricevuto da noi o trovato in noi qualcosa per cui essere grate. Essere precursori con Dio o senza Dio significa, da questo punto di vista, essere consapevoli che ciò che possiamo offrire di prezioso e innovativo, dipende anche da ciò che abbiamo ricevuto da chi ci ha preceduto e da ciò che chi verrà dopo di noi sceglierà di fare di quanto abbiamo saputo offrire di prezioso e innovativo. La seconda immagine è quella di una gioiosa esultanza simbolicamente collegata alle vesti e agli ornamenti di uno sposo e di una sposa. L’incontro e la relazione tra persone – certamente nella modalità così significativa degli sposi ma non solo in questa modalità – presenta nei casi migliori quell’aspetto gioioso, generativo e innovativo che caratterizza i veri precursori con Dio o senza Dio. La terza immagine proviene dal mondo vegetale ed è quella – così simbolicamente densa e universale – del seme e del germoglio. Ogni autentico precursore con Dio o senza Dio dovrebbe, infatti, somigliare, nello stesso tempo, al seminatore, al seme e al germoglio: somigliare al seminatore che semina perché cerca di creare le condizioni affinché si possa in futuro avere un raccolto di cui nutrirsi o un giardino nel quale vivere; somigliare al seme, che accetta di morire perché possa in futuro esserci nuova vita; somigliare al germoglio, per mostrare come dai semi che accettano di morire possa realmente germogliare nuova vita.

Ovviamente non esistono libretti di istruzioni per essere o diventare precursori nel senso di persone capaci, nella comunità cristiana, di anticipare i tempi. E tuttavia le esortazioni che Paolo indirizza ai cristiani di Tessalonica delineano un particolare stile, un particolare atteggiamento e comportamento credente che dovremmo fare nostro anche oggi, nel caso fossimo chiamati a essere precursori capaci – con Dio o senza Dio – di anticipare i tempi. Cercare motivi per essere lieti e non rassegnarsi alla tristezza, coltivare l’interiorità attraverso ciò che la preghiera può essere per con Dio e per senza Dio, essere sinceramente grati per ciò che si è e si ha, anziché rammaricarsi per ciò che non si è e non si ha. Se questi tratti caratterizzano gli atteggiamenti, i comportamenti degli autentici precursori con Dio o senza Dio sono invece espressi da Paolo in forma negativa: non spegnere lo Spirito, non disprezzare le profezie, non tenere qualsiasi cosa ma solo ciò che viene riconosciuto come sufficientemente buono. Si tratta di tre comportamenti che, forse più di altri, consentono di vedere lontano, anticipare e quindi precorrere. Potremmo, infatti, riconoscere nello Spirito quella piccola fiamma, che ci consente di rischiarare, anche se debolmente, un ambiente buio, per vedere dove dobbiamo andare e come ci dobbiamo muovere. Ebbene, anziché spegnere questa piccola fiamma perché la riteniamo troppo debole e quindi inutile, come autentici precursori con Dio o senza Dio dovremmo, invece, custodirla e alimentarla perché possa indicarci, passo dopo passo, la direzione da prendere. Se poi, ascoltando parole profetiche che vengono percepite come poco realistiche o troppo utopistiche, anziché disprezzarle e considerarle inutili, scegliessimo di dare loro credito, come a parole che spingono più lontano il nostro sguardo e aprono orizzonti impensati, allora come precursori con Dio o senza Dio riusciremmo forse a intravedere e descrivere questi stessi orizzonti. Soltanto se, davanti a ogni futuro possibile, praticheremo un discernimento critico che cerca il buono riconoscendo nello stesso tempo ciò che invece buono non è, soltanto in questo caso, come precursori con Dio o senza Dio saremo irreprensibili con tutto il nostro essere nei confronti della chiamata ricevuta.

La figura di Giovanni delineata in questa pagina del quarto vangelo è quella di un precursore che nel suo stesso modo di presentarsi anticipa e rivela alcune caratteristiche di colui che viene dopo di lui, caratteristiche importanti anche per noi odierni con Dio o senza Dio: l’impossibilità di definirne l’identità in modo esaustivo, il carattere indiretto dell’incontro con lui, l’invito a riconoscere la duplice valenza delle pagine bibliche: strumento non tanto di una definizione ma di una possibile parola che lo riguardi, luogo di un possibile incontro – anche se indiretto – con lui. L’identità sfuggente del precursore si sottrae ai diversi tentativi di definizione introdotti dalla domanda: Tu, chi sei? Giovanni, infatti, secondo il quarto vangelo, da una parte non è il Cristo, ma dall’altra non è Elia e neppure è definibile come il profeta. Ma questa impossibilità di definizione esaustiva vale anche per la figura di colui che viene dopo Giovanni e rimane tale anche per noi lettori odierni con Dio o senza Dio dei vangeli. Riguardo poi al carattere indiretto dell’incontro con colui che viene dopo Giovanni, la domanda che sacerdoti e leviti insistono nel porre a Giovanni, quando gli chiedono: chi sei? non proviene – come peraltro dichiarano apertamente – da loro stessi ma da chi, a Gerusalemme, li ha inviati. A ben vedere si tratta dell’incontro tra due soggetti – Giovanni da una parte e le figure religiose di sacerdoti e leviti dall’altra – che rimandano rispettivamente ed espressamente ad altri soggetti, ritenuti più importanti: Il misterioso lui che deve venire dopo Giovanni da una parte e, dall’altra parte, i Giudei e farisei di Gerusalemme che hanno inviato sacerdoti e leviti. Si tratta qui non di un incontro-scontro diretto tra coloro che saranno effettivamente i protagonisti della successiva narrazione evangelica, cioè tra chi viene dopo Giovanni e chi ha inviato i sacerdoti e leviti. Si tratta infatti sì del loro incontro, ma di un incontro che avviene in modo indiretto, mediato appunto da Giovanni e dagli emissari delle autorità religiose di Gerusalemme. In realtà anche noi, odierni con Dio o senza Dio, sperimentiamo l’incontro in modo indiretto, sia perché colui che viene dopo Giovanni non ci è accessibile direttamente, sia perché noi stessi siamo introdotti all’incontro con lui solo attraverso le innumerevoli mediazioni storiche e geografiche, religiose e umane, sociali e concettuali, artistiche e letterarie che stanno tra noi e le origini cristiane di duemila anni fa. Quanto, poi, alla duplice valenza delle pagine bibliche per noi odierni con Dio o senza Dio, la quasi autodefinizione dello stesso Giovanni come voce, che grida e che invita a preparare nel deserto la via di colui che deve venire, consiste in una citazione di Isaia che viene interpretata alla luce di una specifica situazione. È così, infatti, che i testi biblici possono essere utilizzati per parlare anche di noi odierni con Dio o senza Dio che, per chi verrà dopo di noi, siamo in qualche modo precursori. E – come per Giovanni – anche per noi l’identità non è mai definibile in modo esaustivo. In quanto parlanti, infine, questi stessi testi biblici costituiscono anche per noi, con Dio o senza Dio, il luogo possibile dell’incontro – reale anche se indiretto – con colui che viene dopo Giovanni.