Riflessioni teologiche – 89. Intermezzo: Thomas L. Brodie e una cristologia teistica possibile senza Gesù storico

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

Nel suo libro del 2012 intitolato Oltre la ricerca sul Gesù storico. Autobiografia di una scoperta, il biblista domenicano irlandese Thomas L. Brodie, nel sostenere la possibilità di una cristologia senza Gesù storico, riprende da Karl Rahner la convinzione che la Chiesa post-conciliare abbia iniziato una transizione epocale, paragonabile solamente a quella dal mondo giudaico a quello greco-romano. Questa transizione dovrebbe condurre a cambiamenti anche radicali, nel modo di concepire non solo il creato e la chiesa, ma anche lo stesso Gesù Cristo, che dovremmo arrivare a vedere non come un individuo umano, ma come un simbolo dell’amore di Dio in mezzo a noi e in noi. Brodie cerca di tratteggiare nelle ultime pagine di questa sua autobiografia intellettuale e spirituale, alcuni “sprazzi” di questa nuova e ancora incompiuta cristologia, intuita più che elaborata. In questa interpretazione simbolica del Gesù Cristo del Nuovo Testamento, Brodie lo vede come simbolo del cuore della realtà, simbolo della misura della realtà, simbolo della forma enigmatica della realtà nella sua oscura bellezza.


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Per contestualizzare e dare legittimità al carattere fortemente innovativo della propria proposta di una cristologia che sia capace di fare a meno del Gesù storico, Thomas L. Brodie riprende alcune affermazioni del teologo Karl Rahner. Quest’ultimo interpreta ciò che è avvenuto nella Chiesa Cattolica con il Concilio Vaticano II come un’iniziale trasformazione della Chiesa da realtà sostanzialmente basata sulla cultura europea, quale era stata fino a quel momento, in una Chiesa realmente planetaria. Si tratta di una transizione così radicale da poter essere paragonata unicamente alla transizione nel cristianesimo primitivo dalla cultura giudaica a quella del mondo greco-romano ed europeo. Brodie cita al riguardo le seguenti tre osservazioni di Rahner, contenute in un saggio del 1979 dedicato all’interpretazione teologico-fondamentale del Concilio Vaticano II: la prima osservazione sottolinea che questa seconda radicale transizione «presenta naturalmente o deve acquisire un contenuto completamente differente da quello della prima [transizione]»; la seconda osservazione riguarda il fatto che «è una questione aperta se e fino a che punto la Chiesa abbia ancora la capacità creativa e l’autorità che aveva nella sua prima grande transizione. La questione aperta è se […] riuscirà a riconoscere come legittime le possibilità che non sono mai state utilizzate durante la sua seconda grande epoca, perché al tempo sarebbero state prive di senso e quindi illegittime»; la terza osservazione è che «nessuno può prevedere con certezza quale sia il futuro verso il quale la Chiesa deve muoversi per interpretare in modo giusto e nuovo la propria fede e la propria essenza come Chiesa planetaria». Il ragionamento di Rahner citato da Brodie si conclude con queste affermazioni: «Nessuno di noi può dire come, con quale tipo di concettualità e sotto quali nuove forme, l’antico messaggio del cristianesimo dovrà in futuro essere proclamato, se questo messaggio è realmente destinato a essere presente in ogni punto del pianeta. Sarà necessario appellarsi alla gerarchia delle verità e ritornare all’ultima e fondamentale sostanza del cristianesimo, ma questo ritorno […] non è facile». A partire da queste osservazioni di Rahner, Thomas Brodie afferma: «Ci troviamo ad affrontare una situazione di radicale transizione che riguarda o sta per riguardare la comprensione tanto della creazione, del cosmo, quanto della chiesa, due entità intrecciate con Cristo. Se le prime cambiano, non potrebbe cambiare anche la comprensione di Cristo? […] Nessuno dubita che la nostra comprensione di Cristo possa cambiare. La sola questione è quanto questo cambiamento possa arrivare lontano. Abbastanza da farci vedere Cristo non come un individuo umano, ma come un simbolo dell’amore di Dio in mezzo a noi, di Dio in noi? È un cambiamento che ci sfida. È qualcosa che ci disturba. Ma potrebbe forse non essere un cambiamento più grande e più disturbante di quanto lo sia re-immaginare la Creazione o la Chiesa? E questo ci chiama ancora una volta a una “conversione dell’immaginazione”». Riferendosi poi a un autore già citato in precedenza, Brodie conclude il suo ragionamento affermando: «Sembrerebbe sia arrivato il momento nel quale – adattando l’immagine di Radcliffe – Gesù Cristo esca dai nostri minuscoli contenitori».

L’ultimo capitolo del volume di Brodie si apre con questa ammissione: «Per il momento io non ho una chiara percezione di che cosa Gesù Cristo significhi. Lo vedo soltanto a sprazzi e vorrei ritornare ai miei vent’anni, per avere la possibilità di ripartire con freschezza nell’esplorare nuovamente il significato del Nuovo Testamento». Gli “sprazzi” di questa cristologia senza Gesù storico che Brodie ritiene di aver intravisto come possibile, vengono introdotti in questo modo: riguardo a Gesù Cristo «nel caso del Nuovo Testamento, la visione non era solamente quella di un’unica persona. Quanto veniva condiviso, veniva poi messo per iscritto da alcuni che avevano la libertà di proporre la loro particolare comprensione di questa visione, così che il Nuovo Testamento non è solo un’unica visione, ma differenti opinioni su questa visione, con differenti comprensioni del significato del Cristo, diverse “cristologie”. Tra queste diverse opinioni, alcuni elementi spiccano, elementi che ci parlano di Gesù come simbolo: (1) [simbolo] del cuore della realtà, (2) [simbolo] della misura della realtà, e (3) [simbolo] della forma enigmatica della realtà nella sua oscura bellezza». Quanto alla rappresentazione neotestamentaria di Gesù Cristo come simbolo del cuore della realtà, Brodie afferma: «queste tre caratteristiche – Figlio di Dio, che muore per i peccati e che risorge per la vita – contengono un dramma che supera le parole. […] La Bibbia utilizza diverse immagini per ritrarre il coinvolgimento nella storia e nelle vite umane del Dio che scende sulla terra e nel Nuovo Testamento queste immagini mutevoli raggiungono un nuovo livello, inclusa l’immagine di Dio come non solo presente nelle vite umane, ma in un modo tutto speciale, come presente in uno specifico individuo, Gesù Cristo Figlio di Dio che morì per i nostri peccati. L’immagine della compassione di Dio in Gesù non deve essere presa letteralmente, ma l’immagine di Gesù chiarisce qualcosa di importante riguardo a Dio. Dio può essere padrone di sé, ma l’intero essere di Dio si muove rivolto all’interno e all’esterno delle persone, così che anche quando vi sono peccato e morte, Dio le tratta offrendo costantemente perdono, un processo di guarigione e varie forme di vita».

Quanto invece alla rappresentazione di Gesù Cristo come simbolo della misura della realtà, Brodie afferma: «uno dei primi passi è quello di evitare di sottoporre le cose a una riduzione. A volte è giusto farlo, per ricondurre problemi eccessivi a dimensioni affrontabili. Ma è anche necessario consentire alle cose di essere vaste e complesse come esse sono in realtà. Il fondamentalismo, in senso ampio, è il rifiuto di accettare una genuina complessità, a partire dalla complessità delle persone, specialmente quelle che oppongono resistenza, o di grandi realtà, specialmente se fondamentali come quelle della creazione, come il creatore o l’incessante ruolo del creatore, ruolo rappresentato attraverso la figura di Gesù. Ma anche la figura di Gesù non deve essere sottoposta a una riduzione. La tragedia della ricerca sul Gesù storico non è soltanto che si tratta della ricerca di qualcosa di impossibile da raggiungere, ma che […] le ricostruzioni storiche presentano forme di Gesù terribilmente riduttive. […] Dagli inizi del cristianesimo e attraverso le epoche, persone di ogni tipo hanno cercato di precisare la realtà della presenza del creatore. Alcuni dei titoli utilizzati nelle prime epistole – Figlio di Dio, Signore, e immagine del Dio invisibile – collocano Gesù nel mondo dell’eterno e del divino. E l’inizio del vangelo di Giovanni si spinge oltre, fino all’interno del Logos, la Parola che significa la Ragione e Mente di Dio, qualcosa di così vicino a Dio, che, come Dio, è la fonte di verità e di bontà […] ovunque vi sia verità e bontà». Quanto, infine, alla rappresentazione di Gesù Cristo come simbolo di un’oscura bellezza, Brodie ne parla in questi termini: «quell’ovunque che riguarda la verità […] arriva con qualcos’altro: la bellezza. La piena rivelazione del Logos o Parola di Dio, che proviene attraverso verità e bontà, coinvolge inevitabilmente la bellezza […] un tema chiave anche nella bibbia, dal ripetersi martellante della bontà della creazione (in Genesi 1) fino al clamoroso emergere della bellezza della nuova Gerusalemme al termine del libro dell’Apocalisse. Nei capitoli iniziali della Bibbia, la parola “buono”, tov, sembra intercambiabile con “bellissimo”. […Ma] la bellezza presenta una sua ambiguità. […] Questa oscura e vivente bellezza che noi chiamiamo Gesù Cristo non è uno specifico essere umano. Essa è visualizzata come un carpentiere di origine ebraica e unicamente a questo livello tale bellezza è una persona correlata alla storia. Gesù Cristo è storico fintanto che simboleggia l’aspetto di un Dio personale interconnesso con le spietate caratteristiche della storia e con la sanguinante bellezza delle vite individuali. […] Ciò che è importante è che, mentre la perdita di Gesù come uno specifico individuo umano può arrecare tristezza, l’unione con il Gesù vivente – l’universale figura vivente della verità, della bontà e dell’oscura bellezza, la figura evangelica che tocca il lebbroso, abbraccia i bambini, e depone la propria vita per i nostri peccati – l’unione con questo Gesù [– conclude Thomas Brodie –] trasmette nuova vita».

Riferimenti:

Thomas L. Brodie, Beyond the Quest for the Historical Jesus. Memoir of a Discovery, Sheffield Phoenix Press, Sheffield UK, 2012.

I testi citati sono tratti (in una mia traduzione) dai capitoli 20 e 21 del volume.

Il saggio di Rahner citato si può leggere anche in edizione italiana:
Karl Rahner, Interpretazione teologica fondamentale del Concilio Vaticano II, in Karl Rahner, Sollecitudine per la Chiesa. Nuovi saggi VIII, Roma, Paoline 1982, pp. 343-361.