L’adultera – Giovanni 8,1-11 – La miseria e la misericordia
Continuiamo a presentare la serie di riflessioni che il gesuita belga padre Jean Louis Ska – ben noto a chi frequenta le conferenze del C.I.B. – ha scritte sul Vangelo secondo Giovanni. Tutte le meditazioni in origine sono state pubblicate su Rinascere, rivista del Movimento Rinascita Cristiana, che ringraziamo per la gentile concessione.
di Jean Louis Ska
L’adultera – Giovanni 8,1-11 – La miseria e la misericordia
8,1Gesù invece andò sul monte degli ulivi. 2Di buon mattino si presentò di nuovo al Tempio e tutto il popolo accorreva a lui e, sedutosi, li istruiva.
3Or gli scribi e i farisei conducono una donna, sorpresa in adulterio e, postala in mezzo, 4gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5Ora, nella legge Mosè ci ha comandato di lapidare tali donne. Tu, che ne dici?». 6Questo lo dicevano per tendergli un tranello, per avere di che accusarlo.
Gesù, però, chinatosi, tracciava dei segni per terra con il dito. 7Siccome insistevano nell’interrogarlo, si drizzò e disse loro: «Quello di voi che è senza peccato scagli per primo una pietra contro di lei». 8E chinatosi di nuovo scriveva per terra.
9Quelli, udito ciò, presero a ritirarsi uno dopo l’altro, a cominciare dai più anziani, e fu lasciato solo con la donna che stava nel mezzo.
10Rizzatosi allora, Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11Rispose: «Nessuno, signore». «Neppure io ti condanno, disse Gesù: va’, e d’ora in poi non peccare più».
- L’origine del testo
L’episodio della donna adultera che si trova all’inizio di Gv 8 ha un sapore ben diverso del resto del vangelo. Il racconto è denso, conciso, i dialoghi sono brevi, fatti di poche battute essenziali; e il racconto termina in modo assai repentino, con una frase finale che lascia molte domande aperte. Lo stile è molto più vicino a quello di Luca che non a quello di Giovanni. Si potrebbe paragonare il nostro brano, ad esempio, col racconto della peccatrice perdonata in Lc 7,36-50, per ritrovare alcuni tratti comuni: in entrambi i casi Gesù si trova di fronte ad una donna considerata come peccatrice da scribi e farisei, e Gesù coglie l’occasione per perdonare e dare una lezione sulla misericordia. In entrambi i casi, inoltre, il racconto finisce senza dire molto sulla reazione degli astanti: in Gv 8 gli scribi e i farisei se ne vanno in silenzio, mentre in Lc 7 non sappiamo quale sia la risposta di Simone, il fariseo che ospita Gesù. Non sappiamo neanche come la peccatrice di Lc 7 e l’adultera di Gv 8 reagiscano al perdono e, in seguito, come furono accolte dai familiari quando tornarono a casa. Tutto è centrato sulla reazione e il messaggio di Gesù di Nazaret. Il resto conta molto meno ed è lasciato all’immaginazione dei lettori.
In realtà questo brano non è presente nei più antichi manoscritti e i primi Padri della Chiesa non ne hanno alcuna conoscenza. In alcuni manoscritti più recenti appare nel vangelo di Luca, dopo Lc 21,38 o 24,53 (alla fine del terzo vangelo). Altri manoscritti lo inseriscono dopo Gv 7,36 oppure Gv 21,25 (alla fine del quarto vangelo). Il posto attuale nel quarto vangelo è quello dove si trova soprattutto nella tradizione manoscritta latina. Si tratta ovviamente di un brano indipendente che ha cercato a lungo un suo posto nei vangeli canonici delle prime comunità cristiane. Non si può dubitare, tuttavia, dell’autenticità di questa tradizione, perché la figura di Gesù di Nazaret che appare in questo passo concorda perfettamente con quello che si può scoprire, ad esempio, nel vangelo di Luca.
- Il retroterra giuridico del testo
L’adulterio era un delitto grave nel mondo biblico così come altrove. Il nostro racconto parla soltanto della donna, e non dell’uomo con cui ha commesso adulterio. Occorre ricordare, tuttavia, che i racconti biblici ed evangelici sono dei racconti e non dei resoconti accurati di fatti avvenuti. Obbediscono quindi a esigenze narrative piuttosto che informative. Nel nostro caso vale la pena ricordare che le narrazioni di questo tipo limitano in modo drastico il numero di personaggi. Sono di rado più di tre, e sono proprio tre nel nostro caso: Gesù, l’adultera e il gruppo degli scribi e farisei. Inoltre solamente due personaggi possono essere attivi in una scena; per tale motivo vi è un dialogo o uno scambio di battute fra Gesù e il gruppo degli scribi e farisei nei vv. 3-9. Quando essi sono scomparsi, Gesù rimane solo con la donna e assistiamo al breve dialogo fra i due.
Inoltre i racconti biblici sono unilineari, vale a dire che descrivono un solo problema e la sua soluzione. Per usare un linguaggio alquanto più tecnico, abbiamo una sola trama semplice. La presenza di un uomo, adultero pure lui, creerebbe una complicazione insolita. Possiamo anche pensare che il racconto abbia scelto di parlare di una donna perché la condizione femminile non era invidiabile in quell’epoca e che la società se la prendeva più facilmente con le donne in caso di adulterio. Tutto ciò mette in risalto la reazione inaspettata di Gesù di Nazaret.
Dal punto di vista giuridico, come detto, l’adulterio era un delitto grave per la legislazione biblica. La pena prevista era la pena capitale, una pena piuttosto rara nelle leggi veterotestamentarie. Ciò significa che la cosa era molto seria. Ecco i principali testi dell’Antico Testamento che ne parlano:
Lv 20,10: «Se uno commette adulterio con la moglie del suo prossimo, l’adultero e l’adultera dovranno essere messi a morte».
Dt 22,22: «Quando un uomo verrà trovato a giacere con una donna maritata, tutti e due dovranno morire: l’uomo che è giaciuto con la donna e la donna. Così estirperai il male da Israele».
Dt 22,23-24: «Quando una fanciulla vergine è fidanzata e un uomo, trovandola in città, giace con lei, condurrete tutti e due alla porta di quella città e li lapiderete a morte: la fanciulla, perché, essendo in città, non ha gridato, e l’uomo perché ha disonorato la donna del suo prossimo. Così estirperai il male in mezzo a te».
Nei casi contemplati il castigo è lo stesso per entrambi i colpevoli. La lapidazione è menzionata esplicitamente in Dt 22,23-24. Il racconto di Gv 8, tuttavia, è molto scarno per quanto riguarda le circostanze. Possiamo soltanto dire che la donna poteva difficilmente essere sola se è stata «sorpresa in flagrante adulterio». Come detto, tuttavia, il racconto si occupa soltanto del caso della donna per quella che si chiama “economia narrativa”.
- La costruzione del brano
Abbiamo due parti nel racconto, dopo la breve introduzione sulle circostanze nei vv. 1-2. Gesù scende dal Monte degli ulivi e si reca nel tempio al mattino. Nel Vicino Oriente Antico il mattino è il momento della giustizia. La luce prende il posto delle tenebre e i giudici si recano di buon mattino alla corte per risolvere i casi a loro sottomessi (cf. 2Sam 15,2; Ger 21,12; Sal 101,8). In effetti Gesù di Nazaret è presentato in questo passo come “giudice” ed è lui che risolve il caso in questione.
La prima scena, più lunga (vv. 3-9), si svolge in due tappe. I vv. 3-6a descrivono l’antefatto, il caso dell’adultera, con la sentenza prevista per tale caso: la lapidazione. Da lì la domanda rivolta a Gesù: lui approva o non approva la sentenza? Se approva la sentenza di morte, si allinea all’interpretazione letterale della legge preconizzata dagli scribi e farisei, abbandonando così la sua linea “liberale”. Invece, se disapprova la sentenza, si dichiara nemico della Legge di Mosè e rischia egli stesso una severa condanna. Come uscire dal dilemma?
Così come in altri casi, Gesù non reagisce immediatamente e obbliga i suoi interlocutori a pronunciarsi sul caso (vv. 6b-8). Egli chiede ai giudici di pronunciare un giudizio su sé stessi, pronunciando ed eseguendo la sentenza di morte: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». In effetti, secondo la legge di Dt 17,6-7, il testimone è il primo che deve eseguire la sentenza di morte in caso di pena capitale: «Colui che dovrà morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni. Non potrà essere messo a morte sulla deposizione di un solo testimone. La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire. Poi sarà la mano di tutto il popolo. Così estirperai il male in mezzo a te».
Aggiungiamo un dettaglio che può avere una certa importanza. In questo brano Gesù «traccia segni» nella sabbia. È l’unico passo dei vangeli che parla di una sua attività simile. Perché questi tratti nella sabbia? Che cosa scriveva Gesù? Il testo non lo dice. Alcuni esegeti citano in merito un testo del profeta Geremia (17,13): «O speranza d’Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva». In questo contesto scrivere nomi nella polvere significa destinarli ad essere portati via dal vento e quindi a scomparire per sempre. È possibile che il richiamo al testo di Geremia abbia condotto ad inserire il brano dopo Gv 7,38, dove Gesù parla di fiumi di acqua viva.
Torniamo però al nostro racconto. La reazione degli scribi e farisei è ben conosciuta: per evitare di auto-condannarsi, se ne vanno in silenzio (v. 9). La mossa di Gesù ha trasformato i giudizi in potenziali imputati. La ritirata è preferibile alla vergogna.
Nell’ultima parte della scena Gesù di Nazaret si ritrova solo con la donna. Notiamo che Gesù è il primo personaggio in questa scena che rivolge la parola alla donna. Gli altri personaggi hanno parlato della donna, ma non alla donna che, in ogni modo, rimane anonima. Inoltre Gesù si rivolge a lei con l’appellativo «donna», segno di una certa cortesia. Potremmo dire che la donna non è più un caso da giudicare, è una persona da stimare. La donna risponde con l’appellativo «signore» che può avere due significati. Il primo, il più semplice, è l’equivalente del nostro «signore»; il secondo, che vale soprattutto per i lettori del vangelo, si scrive piuttosto con una maiuscola, e allude al titolo di Cristo «Signore», come, ad esempio, in Rom 10,9; 1Cor 12,3; Fil 2,11 («E ogni lingua proclami: «Gesù Cristo è Signore!», a gloria di Dio Padre»).
Come dice bene sant’Agostino nel suo commento a questa scena, alla fine la miseria si ritrova sola davanti alla misericordia. La donna è entrata sul palcoscenico condannata a morte e se ne va, viva e perdonata. Aveva come solo futuro la morte, e Gesù le riapre le porte della vita.