Letture festive – 84. Guide – 4a domenica di Pasqua – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

4a Domenica di Pasqua Anno A – 30 aprile 2023
Dagli Atti degli Apostoli – At 2,14a.36-41
Dalla prima lettera di san Pietro apostolo – 1Pt 2,20b-25
Dal Vangelo secondo Giovanni – Gv 10,1-10


Su YouTube l’audio-video si trova cercando:
letture festive 84

Il libro degli Atti degli Apostoli esprime il punto di vista di una comunità cristiana di lingua greca che – pur appartenendo già al mondo ellenistico – intende coltivare il legame con le radici ebraiche e in particolare bibliche del proprio cristianesimo. La composizione di Atti avviene quando – nei primi decenni del secondo secolo – la transizione linguistico-culturale del cristianesimo primitivo è ormai già completamente avvenuta. Ma l’autore di Atti – nella forma di una narrazione mitica di fondazione della chiesa e a partire dall’esperienza attuale della propria comunità cristiana – sottolinea comunque quanto sia importante che ogni processo di transizione ecclesiale possa contare sul supporto di guide autorevoli. Queste guide autorevoli dovrebbero rivelarsi capaci di rispondere alla domanda posta, in questo brano, dagli ascoltatori ebrei dell’annuncio di Pietro: Che cosa dobbiamo fare fratelli? La risposta di Pietro – convertitevi e ciascuno si faccia battezzare – potrebbe suonare come una sorta di manifesto del proselitismo religioso, oggi giustamente criticato anche in ambito cristiano e cattolico. In realtà, si potrebbe leggere questa risposta come ciò che guide cristiane ed ecclesiali autorevoli dovrebbero essere in grado di proporre a con Dio e a senza Dio che chiedessero di diventare discepoli: proporre di coltivare una mentalità evangelica disponibile al cambiamento, per una trasformazione in meglio della propria vita; proporre di accettare che il cristianesimo sia un’esperienza immersiva della propria esistenza in un percorso ispirato al vangelo, anche attraverso quelli che in termini antropologico-religiosi si definirebbero i suoi riti e i suoi miti; proporre di considerare la propria vita come perdonata e come donata, in uno Spirito di apertura a promesse di bene per sé, per le generazioni future e, in fondo, per chiunque, compresi coloro che – in diversi modi – sono o sembrano lontani.

In questo brano della prima lettera di Pietro possiamo riconoscere due guide – anzi tre – del cui prezioso aiuto potrebbero usufruire tanto i con Dio quanto i senza Dio. La prima guida è l’autore stesso della lettera, che invita i suoi lettori a sopportare con pazienza la sofferenza, facendo il bene. Si tratta di un tipo di guida che potremmo assimilare alla guida spirituale tradizionale, quella che offre consigli di tipo sapienziale e ascetico, per affrontare nel modo migliore le avversità della vita. La seconda guida è la figura del Cristo stesso, del quale si dice – in modo inizialmente generico e astratto – che patì per noi, specificando in un secondo momento che si tratta di un patire per i nostri peccati sul legno della croce, lasciandoci un esempio perché ne seguiamo le orme. In questo caso la figura della guida è piuttosto simile a quella della guida di montagna, che apre il cammino e precede, in escursioni o arrampicate, coloro che ne devono seguire le orme, i passi e l’esempio nell’affrontare passaggi particolarmente insidiosi, per non trovarsi in situazioni troppo pericolose. La rappresentazione del Cristo come di una guida di questo tipo assume, però, dei tratti paradossali, perché le orme che si è invitati a seguire sono quelle di un Cristo che patisce e non di uno che evita insidie e pericoli. Anche l’immagine che conclude il brano, quella del pastore e custode al quale si viene ricondotti, come pecore che si erano smarrite, risulta solo parzialmente rassicurante. Anche perché la terza guida – di cui diremo ora – non offre indicazioni molto diverse da quelle della prima e della seconda. La terza guida si presenta come un volume da consultare con attenzione e per orientarsi, perché consiste nelle Scritture bibliche veterotestamentarie. Queste, infatti, vengono liberamente e implicitamente citate dall’autore della lettera di Pietro – autore che abbiamo riconosciuto come la prima guida – il quale le utilizza per delineare le caratteristiche della seconda guida, cioè del Cristo sofferente. I passi di riferimento si trovano al capitolo 53 del libro del profeta Isaia, nella descrizione che viene fatta di un misterioso servo sofferente. Si tratta di un procedimento analogo a quello che sarà in seguito utilizzato per i racconti della passione nei vangeli: utilizzare i passi veterotestamentari per intessere la narrazione della passione e morte di Gesù. Questa terza guida, quella costituita dal volume delle Scritture bibliche, diventa così il punto di accesso anche alle prime due. In questo modo il lettore – con Dio o senza Dio – della prima lettera di Pietro, incontra, attraverso questa pagina neotestamentaria, tre guide che – in modi diversi e su livelli stratificati – si offrono a lui per indicargli come affrontare da discepolo la strada difficile che deve percorrere.

Giovanni ambienta questo passo evangelico in un mondo pastorale, nel quale i lettori sono invitati a identificarsi con le pecore, delle quali Gesù si prende cura e alle quali si offre come guida affidabile, come un pastore al quale la porta viene aperta perché possa entrare e far uscire le pecore dal recinto. Ma questo ruolo di guida di Gesù si delinea nella contrapposizione ad altre figure misteriose e minacciose, identificate con ladri e briganti, ma anche con estranei, dei quali non fidarsi, che sono venuti prima di Gesù, i quali non hanno a cuore le pecore e anzi le vogliono rubare, uccidere e distruggere. Il problema è infatti quello di riconoscere chi siano le vere guide e i veri pastori, la cui voce sia riconoscibile e familiare, voce che chiama ciascuna pecora per nome e che le guida camminando e stando davanti, desiderando che queste pecore abbiano vita e vita in abbondanza. Per l’evangelista Giovanni, evidentemente, vi sono anche altri che si sono proposti come guide e pastori, anche prima di Gesù, che si caratterizzano per una voce non riconoscibile, che si introducono nel recinto scavalcandolo, che provano ad avvicinarsi alle pecore con intenzioni maligne e distruttive. Chi si collocasse da un punto di vista religioso potrebbe forse ritenere che questa suddivisione tra vere e false guide, veri e falsi pastori – e potremmo aggiungere: veri e falsi maestri – coincida con quella tra con Dio e senza Dio, ma il fatto che tutti quelli che sono venuti prima di Gesù siano definiti ladri e briganti, fa pensare piuttosto che si tratti di una divisione tutta interna a mondi e ambienti, gruppi e singoli, che si considerano e che sono in effetti tutti molto religiosi. Ma potremmo anche vedere in questa contrapposizione tra Gesù, vero pastore e vera guida, e i falsi pastori e le false guide, una rappresentazione emblematica della lotta che ogni essere umano affronta al proprio esterno e al proprio interno. Queste forze, che si contrappongono come buone e cattive, hanno popolato un tempo l’immaginario religioso di una certa educazione cattolica e sono state raffigurate in tante forme, anche popolari e pittoresche, ma ricche di sapienza. Tra queste il piccolo angelo assegnato da Dio a ciascuno personalmente, come custode nei pericoli e ispiratore di pensieri e azioni buone, cui si contrappone un piccolo diavolo: non a caso un angelo decaduto, cioè pervertito rispetto alla sua vocazione iniziale, che si è trasformato in un maligno suggeritore di pensieri e di azioni cattive. Se si considera questa natura incerta e mutevole dei custodi e delle guide spirituali – in modo particolare di quelle guide spirituali umane che possono rivelarsi angeliche, ma purtroppo anche diaboliche – si capisce bene come il vissuto dell’essere guidati nel proprio cammino e dell’essere custoditi nelle proprie fragilità si carichi di ambiguità e ambivalenze. Il custode protettivo può trasformarsi infatti in carceriere sadico, la guida autorevole in dittatore autoritario, il recinto difensivo in barriera che imprigiona e il pastore amorevole in abusatore violento. Tutto ciò vale, evidentemente, tanto per i con Dio quando per i senza Dio, ed entrambi possono apprezzare come, per sfuggire a queste ambiguità e ambivalenze l’immagine di Gesù come guida venga in certo modo corretta, integrando l’immagine del pastore con quella della porta del recinto, che presenta tre caratteristiche: se uno passa attraverso di essa trova salvezza e non perdizione; è una porta dalla quale si può entrare ma anche uscire, con libertà; è una porta che invita a cercare pascolo e nutrimento, consentendo di ricevere vita in abbondanza. Ciò per cui, come con Dio o come senza Dio, diffidiamo di chiunque si proponga come nostra guida e pastore è in effetti il timore di essere condotti in un vicolo cieco anziché verso una via di uscita e quindi di salvezza; ciò per cui diffidiamo delle guide e dei pastori è il timore di non poterci muovere liberamente, anche tornando indietro e sentendoci autorizzati a uscire dal recinto nel quale siamo stati condotti; ciò per cui diffidiamo delle guide e dei pastori è che in fondo non ci portino a pascoli nutrienti, dove avere vita e averla in abbondanza. Proprio per questo chi si propone come guida e pastore deve essere allo stesso tempo anche porta del recinto, nel modo in cui lo è il Gesù di cui parla il vangelo di Giovanni.

Riferimenti:

Dennis E. Smith – Joseph B. Tyson Acts (a cura di), Acts and Christian Beginnings. The Acts Seminar Report, Polebridge Press, Salem (Oregon) 2013.

Le dieci principali acquisizioni del Seminario di studio, dedicato al possibile utilizzo come fonte storica del libro neotestamentario di Atti degli Apostoli, promosso dal Westar Institute in California tra il 2000 e il 2011 (in traduzione dall’introduzione al volume sopra citato, che ne raccoglie gli atti) sono le seguenti:

1. L’autore degli Atti è un esperto narratore/teologo che ha scritto un racconto con finalità decisamente apologetica [in particolare nei confronti della versione del cristianesimo proposta da Marcione e rispetto alla interpretazione marcionita di Paolo e delle sue lettere]
2. Il libro degli Atti è stato composto nei primi decenni del II secolo.
3. L’autore di Atti ha usato le lettere di Paolo come una delle sue fonti.
4. Ad eccezione delle lettere di Paolo, nessun’altra fonte storica attendibile può essere definitivamente identificata per il libro di Atti. Atti utilizza invece una varietà di “fonti” come Giuseppe Flavio, Omero, Virgilio e la versione biblica (veterotestamentaria) dei Settanta. Questi materiali, tuttavia, forniscono unicamente materiale di base o modelli letterari per il racconto di Atti. Non costituiscono di per sé delle fonti storicamente utilizzabili per la ricostruzione delle origini cristiane.
5. Gerusalemme non è stata il luogo di nascita del cristianesimo, contrariamente a quanto narrato in Atti, nei capitoli dall’1 al 7.
6. Atti non può essere considerata una fonte indipendente per la vita e la missione di Paolo. Si può invece affermare che l’uso delle lettere di Paolo come fonte è sufficiente per spiegare tutti i dettagli della vita e dell’itinerario di Paolo in Atti.
7. Atti costruisce il proprio racconto sul modello della letteratura epica e su modelli letterari con caratteristiche analoghe.
8. L’autore di Atti ha creato i nomi dei personaggi come strumenti di carattere narrativo.
9. Atti costruisce i propri racconti per raggiungere obiettivi di tipo ideologico [e teologico]
10. Atti non può essere considerato un resoconto attendibile sul piano storico, a meno che non si dimostri il contrario. L’onere della prova va infatti invertito: Atti deve essere considerato non storico salvo prova contraria.

Questo è l’esito complessivo dei risultati sopra indicati. Mentre Atti è altamente discutibile come risorsa per il cristianesimo del primo secolo, è una risorsa significativa per comprendere i problemi e la forma del cristianesimo del suo proprio tempo, cioè dei primi decenni del secondo secolo.
In conclusione Atti – mentre, come prodotto del secondo secolo, è una risorsa primaria per comprendere il cristianesimo di quel periodo anche dal punto di vista storico – va considerato complessivamente come un mito delle origini cristiane.