Letture festive – 114. Anticipare – 32a domenica del Tempo ordinario – Anno A

Briciole dalla tavola. Vangelo per senza Dio

di Alberto Ganzerli

32a domenica del Tempo ordinario – Anno A – 12 novembre 2023
Dal libro della Sapienza – Sap 6,12-16
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicési – 1Ts 4,13-18
Dal Vangelo secondo Matteo – Mt 25,1-13


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letture festive 114

Anticipare è ciò che fa la sapienza personificata dell’omonimo libro veterotestamentario: anticipare nel senso di prevenire coloro che la desiderano, la amano e perciò la cercano, la trovano e la vedono. Riguardo alla sapienza, infatti tutti noi, con Dio o senza Dio, ci troviamo sempre già preceduti da qualcosa o qualcuno che è prima di noi. Secondo l’autore biblico, la sapienza, che tutti ci anticipa, se la si pensa come un fiore, pur essendoci da prima di noi, non sfiorisce né perde il proprio splendore. Se invece la sapienza viene pensata come una persona, la troviamo, uscendo di casa di buon mattino, seduta davanti alla sua porta ad attenderci, forse per iniziare una conversazione. Ma anche sera e notte, tempi della veglia, sono tempi propizi per intrattenersi con la sapienza e trovare così liberazione dagli affanni. Quando l’autore biblico scrive che riflettere su di lei è intelligenza perfetta, il lettore in italiano può giocare sul duplice significato del riflettere, che evoca da una parte uno specchio, che riflette qualcosa che è già presente, e dall’altra un pensiero, che si rivolge a un qualche oggetto o contenuto. Si tratta, in ogni caso del confrontarsi con qualcosa che, anticipandoci, ci precede e preesiste a noi. Per con Dio e per senza Dio questo costituisce insieme un vincolo insuperabile ma anche una preziosa opportunità. Qualcosa o qualcuno che ci preesiste ha già fatto un passo prima che dovessimo fare noi il primo passo. Ci troviamo, perciò, già incamminati in un sentiero che altri hanno aperto prima di noi e ci troviamo a rispondere a parole, vicende, persone, strutture che troviamo in vari modi già anticipate e poste. Questo ci libera dall’angoscia di muoverci nel vuoto e insieme ci impone in anticipo uno spazio già molto ben definito. La sapienza – elaborata anche da coloro che ci hanno anticipato in questa ricerca – è tra le realtà che, secondo l’autore biblico, possono incrociare le nostre strade e sostenere i nostri progetti. Così facendo, potremo forse, con sapienza, anticipare qualcosa di buono per chi, con Dio o senza Dio, verrà dopo di noi.

Voler anticipare la conoscenza di qualcosa che non sappiamo è spesso un modo per placare le nostre ansie di con Dio o di senza Dio, ma non è detto che sia sempre qualcosa di utile e opportuno o anche solo di possibile. A volte, infatti, ritenendo di poter anticipare ciò che avverrà in futuro, si creano più problemi di quelli che si vorrebbero risolvere. Paolo, riguardo alla venuta del Signore Gesù e all’andargli incontro da parte dei vivi e dei morti, scrive ai Tessalonicesi forse per rispondere a una loro domanda o per tranquillizzarli su una preoccupazione da loro espressa. E lo fa dichiarando di basarsi su una “parola del Signore” e cioè, verosimilmente, su una rivelazione personale che Paolo ritiene di aver ricevuto. In realtà, le sue parole aprono un interessante squarcio rivelatore sulle credenze presenti negli ambienti del cristianesimo primitivo e ci fanno capire uno dei principali motivi di crisi che le prime generazioni cristiane hanno dovuto affrontare, cioè il cosiddetto “ritardo della parusia”. Si tratta del fatto che la venuta del Signore Gesù, che i primi cristiani ritenevano imminente e pensavano di poter sperimentare nel corso della loro stessa esistenza terrena, nel momento in cui Paolo scriveva non si era ancora verificata e alcuni credenti erano nel frattempo già morti. Ma la lettera di Paolo, se può aver forse rassicurato qualcuno dei destinatari a lui contemporanei, ha creato però per tutti i lettori successivi non solo imbarazzo ma anche e soprattutto, per con Dio e per senza Dio, un rilevante problema teologico, se non due. Il primo problema è che quanto Paolo anticipa, cioè la venuta del Signore Gesù risorto, certa e relativamente imminente – dal momento che Paolo immagina di essere ancora in vita quando si realizzerà – ebbene questa venuta non si è avverata, né al suo tempo né mai, almeno fino ad ora. E già questo pone il problema teologico di come intendere oggi, da parte di con Dio e di senza Dio, queste affermazioni paoline. Ma un secondo problema teologico e cristologico nasce se si nota – come alcuni fanno con qualche ragione – che il modo in cui questo testo parla di un Gesù morto e risorto che deve venire sulla terra, non chiarisce se si tratti di una figura terrena che, salita al cielo, ritorna sulla terra o piuttosto di una figura divina, morta e risorta nel cielo, che dal cielo verrà a radunare i credenti vivi o morti. In ogni caso, il tentativo di Paolo di anticipare eventi futuri per non lasciare nell’ignoranza i cristiani di Tessalonica – oltre che evidenziare un paio di rilevanti problemi teologici – ha mostrato agli occhi dei lettori di ogni tempo successivo la sua propria ignoranza riguardo alla parusia da lui affermata con tanta convinzione, ma così evidentemente smentita dagli eventi. Per evitare la tristezza, coltivare la speranza e confortarsi a vicenda – che sono gli obiettivi di Paolo nello scrivere ai Tessalonicesi – noi cristiani odierni con Dio o senza Dio dovremmo forse allora cercare altri modi che non siano quelli di provare ad anticipare a noi stessi e ad altri eventi futuri con previsioni che si rivelano errate.

Nella parabola delle ragazze in attesa dello sposo, alcune previdenti e altre no, la pratica dell’anticipare si presenta in due forme diverse e contrapposte. Da una parte abbiamo la pratica virtuosa di prepararsi in anticipo per essere pronte all’incontro, quale che sia il tempo in cui l’atteso arriverà. Dall’altra parte abbiamo l’impossibilità di anticipare la venuta dello sposo, sia nel conoscere in anticipo i tempi del suo arrivo sia – tanto meno – nel decidere i tempi dello sposo in modo che corrispondano ai propri. Due elementi, inoltre, caratterizzano questa esperienza comune e comunitaria da parte di quello che si presenta come un gruppo di ragazze in attesa di partecipare a una festa di nozze: l’esigenza – per la durata necessaria e sufficiente del tempo dell’attesa – di avere luce e quindi di poter vedere e così riconoscere lo sposo al suo arrivo; l’impossibilità che la fonte di questa luce, necessaria per vedere e riconoscere, possa essere prestata o surrogata da altri, anziché alimentata da ciascuno, in modo personale e individuale e per il tempo necessario e sufficiente. Volendo riconoscere una possibile figura di comunità e di chiesa in questo gruppo di persone in attesa, potremmo, come con Dio o come senza Dio, sentirci invitati a riconoscere possibilità e limiti delle nostre comunità ecclesiali. Anche se possiamo trovarvi accoglienza e sostegno, esse non possono però dispensarci dalla necessità di un impegno personale e individuale nel sopportare la fatica spirituale dell’attesa di un qualcosa o di un qualcuno che – pur desiderato – è ancora assente e di cui ci è impossibile anticipare la venuta. Le provocazioni presenti nella parabola, poi, se collegata alle altre due letture della liturgia odierna, ci possono raggiungere in modi diversi. Nella sapienza personificata  della prima lettura, infatti, potremmo vedere sia lo sposo della parabola, con il quale si attende e si ricerca l’incontro, sia ciò che è sufficiente per alimentare le lampade delle ragazze previdenti e di cui invece le ragazze imprevidenti non sono provviste a sufficienza. L’impossibilità di una conoscenza anticipata del tempo in cui arriverà l’atteso, poi, è ciò che sperimentano tanto Paolo e i Tessalonicesi quanto le ragazze in attesa descritte da Matteo nella sua parabola. Da questo punto di vista, le provocazioni che la parabola rivolge ai noi suoi lettori, con Dio o senza Dio, potrebbero assumere la forma di queste domande: di che cosa avremmo bisogno per riuscire ad accettare senza ansie né angosce l’impossibilità di giungere a una conoscenza anticipata del futuro, nostro e delle persone che ci stanno a cuore, oltre che del mondo nel suo insieme?  Chi o che cosa costituisce l’assente atteso, verso cui i nostri desideri ci orientano, ma del quale ci è impossibile anticipare o avvicinare la venuta e l’incontro?